In Pace Christi

Raumer Remo

Raumer Remo
Fecha de nacimiento : 27/06/1939
Lugar de nacimiento : Sant'Uderico di Tretto VI/I
Votos temporales : 01/11/1958
Votos perpetuos : 01/11/1964
Fecha de fallecimiento : 27/11/1992
Lugar de fallecimiento : Verona/I

La famiglia di Fr. Raumer era composta da papà Daniele, mamma Calgaro Caterina e da undici fratelli, sei femmine e cinque maschi. Il babbo lavorava nella miniera di caolino un po' più a valle del paese e, alla sera, dopo una dura giornata, completava il lavoro della moglie e dei figli nei pochi campi di sua proprietà.

Accanto al piccolo appezzamento di terra sfruttata al massimo per assicurare l'indispensabile alla famiglia, c'era anche la stalla con una sola mucca e qualche pecora. Di più proprio non si poteva. La famiglia era saldamente cristiana. I ragazzi, mam mano che crescevano, imparavano la legge del lavoro e vivevano in un clima di semplicità, di armonia e di preghiera.

Il carattere piuttosto duro e severo del futuro missionario era la conseguenza del suo temperamento timido e dell'ambiente in cui nacque e crebbe. La sorella lo ricorda come "vivace, deciso e testardo nelle proprie idee". Tra i suoi giochi preferiti c'erano il salto della corda, il nascondino, il tiro alla fune e, d'inverno, qualche scivolata sulla neve con uno slittino che si era costruito con le proprie mani. La sorella ricorda anche che: "di tanto in tanto gli piaceva travestirsi da sacerdote e fingere di celebrare la messa. Quanto a dottrina cristiana, poi, era uno dei migliori".

Il suo paese, Sant'Uderico, è situato nelle prealpi venete. La vita della gente, assai dura da sempre, lo era ancora di più in quell'immediato dopoguerra caratterizzato dalla disoccupazione e dal bisogno, per molti, di emigrare.

La vocazione missionaria di fr. Raumer nacque nell'ambito della chiesa, dove amava recarsi ogni mattina di buon'ora per la messa e per esercitare il piccolo ministero di chierichetto.

Dopo le elementari, il parroco lo indirizzò all'Istituto dei missionari comboniani. "E' un giovinetto che dà buon affidamento ed è di buona volontà. Confido che abbia la vocazione religiosa missionaria e che riuscirà bene", scrisse. Così, a 12 anni, Remo entrò tra i Comboniani di Thiene, cittadina non molto lontana dal suo paese. Era il 1951.

Più tardi un altro suo fratello opterà per i missionari saveriani, ed ora si trova nello Zaire.

A quel tempo la casa comboniana di Thiene era un centro specializzato per i Fratelli missionari con officine e laboratori. Da essa uscirono molti ottimi fratelli che ora lavorano in missione. La vita in quella casa era piuttosto spartana, la disciplina stretta e l'ambiente povero. Ciò contribuiva a formare la personalità dei futuri fratelli missionari proprio come il Comboni aveva desiderato.

Remo, che era già allenato al sacrificio, si trovò a suo agio e si applicò seriamente ad apprendere un mestiere sotto la guida di p. Mario Martelli, superiore.

Falegname

Dopo il corso preparatorio, fece il primo e secondo anno di falegnameria e quindi l'anno di addestramento. Seguì il primo corso di qualifica, al termine del quale era un vero esperto nella sua materia.

Ma intanto aveva 17 anni, l'età giusta - allora - per entrare in noviziato. "Prego il Signore che esaudisca il mio grande desiderio di farmi Fratello coadiutore missionario comboniano", scrisse nella sua domanda di ammissione al noviziato.

P. Martelli annotò sulla sua cartella: "Docile e obbediente è pieno di buona volontà. Ama il lavoro e si adatta a tutto. Non ha pretese a va d'accordo con tutti. Come carattere è semplice e sincero. E' un giovane di preghiera e osservante scrupoloso del regolamento".

Il 13 settembre 1956 Remo entrò nel noviziato di Gozzano (Novara), e subito s'immerse nel lavoro spirituale con impegno e profitto. Quando si trattò di scegliere alcuni novizi da inviare in Inghilterra per rimpolpare il noviziato di Sunningdale, il p. maestro, Pietro Rossi, pose gli occhi anche su di lui.

"E' uno dei migliori e dà buon affidamento. Sarà certamente di esempio ai suoi connovizi", scrisse. E lo imbarcò per l'Inghilterra.

... ma le mucche gli mangiarono i libri

Camminando nella via della perfezione religiosa, Remo avrebbe anche appreso la lingua inglese. Ma in Inghilterra fu incaricato della stalla dove c'erano parecchie mucche. Sorridendo diceva: "Come è vero il Vangelo! Ne ho lasciata una e ne ho trovate tante!". Forse troppe per potersi dedicare, come avrebbe voluto, allo studio della lingua. Ciò gli procurerà qualche dispiacere, specie in missione.

Rammaricandosi per questa sua carenza, commentava: "Le vacche inglesi mi hanno mangiato i libri".

Al termine del noviziato, con la probabilità di riuscita del 95% e il giudizio favorevole di tutti i Padri della casa, emise la professione religiosa. Era il primo novembre 1958.

Immediatamente, dopo una fugace visita in famiglia dove si mostrò con la veste e il crocifisso, fu inviato a Pordenone come assistente degli aspiranti Fratelli. Ma oltre che assistente dei futuri fratelli, fu maestro nella lavorazione del legno e nel disegno tecnico.

Esigente con amabilità

Scrive fratel Artuso: "Ho conosciuto fr. Raumer nel 1961 quando sono entrato nel Seminario Minore dei Missionari Comboniani di Pordenone. Egli aveva terminato da poco il noviziato per cui era molto fervoroso. Ciò lo induceva ad essere esigente anche con noi quanto a disciplina. Ma nonostante la sua severità, più apparente che reale, era buono e ci amava davvero. Sapeva, inoltre, organizzare le diverse attività della giornata con diligenza e fantasia per cui il nostro entusiasmo era sempre alle stelle".

Un  suo alunno dice: "Ho ammirato la pazienza e la padronanza di sé nell'insegnare il mestiere a coloro che di pialla e scalpello non ne sapevano proprio niente".

In questo periodo fr. Remo si iscrisse a un corso di cultura biblica per corrispondenza ottenendo, nel luglio del 1962, l'attestato di lode.

Padre Antonio Figini, superiore degli aspiranti fratelli di Pordenone nel 1959, scrive di lui: "E' scrupoloso osservante della regola, di pietà sentita e di obbedienza pronta e allegra. Molto diligente nel suo ufficio esercita in maniera pratica la carità fraterna ed ha un "contagioso" attaccamento alla sua vocazione. E' la persona giusta al posto giusto.

Analogo giudizio dà p. Silvio Bressan nel 1960, e p. Pietro Rossi, divenuto superiore a Pordenone dal 1962 in poi aggiunge: "Non solo fa tutte le pratiche di pietà prescritte dalla regola, ma nei momenti di tempo libero lo vedo in chiesa per qualche visitina a Gesù. Il suo desiderio di continuare nella vita religiosa e le buone qualità che possiede e che mette in atto garantiscono che sarà un ottimo missionario".

In Africa

Dopo cinque anni di permanenza a Pordenone, partì per l'Africa con destinazione Uganda. Si era nel 1963. L'inizio della sua missione fu segnato da un duplice dolore: la morte della mamma e, qualche mese dopo, anche quella del papà

Avrebbe voluto essere vicino ai suoi cari in un momento tanto doloroso, ma non fu possibile. Ciò costituì un grosso sacrificio che offrì al Signore con generosità, sicuro che sarebbe servito di suffragio alle loro anime e di benedizione per la sua vita missionaria.

Dopo il primo approccio con la missione, fu inviato a Pajule come addetto alla casa. Cercò subito di imparare la lingua acioli. Dovette anche cambiare il suo nome "Remo" in quello di "Daniele" perché il primo significa "sangue", termine poco gradito alla gente.

Scrivendo ai suoi ex alunni, fr. Raumer diceva come in missione il Fratello deve essere l'uomo della disponibilità, capace di dimenticare ciò che ha imparato per fare ciò che è più necessario, in quel momento, per la missione.

A Pajule si prestò per la costruzione della chiesa parrocchiale, sicché divenne anche un bravo muratore. Scrive fr. Artuso: "La sua attività non si limitò alle opere materiali, ma si occupò dell'apostolato nelle varie cappelle, ed erano tante. Il suo interesse e la sua attenzione furono rivolti particolarmente ai poveri ed ai giovani che seguiva con particolare dedizione".

In occasione della professione perpetua, p. Gino Albrigo scrisse: "E' un bravo fratello che ama la propria vocazione e la vive. Ama gli africani e con essi si trova a suo agio. Ci sa anche fare come istruttore".

Fratello costruttore

Cinque anni più tardi, nel 1968, troviamo fr. Raumer a Gulu dedicato (è la parola giusta) ai Crusaders, senza tuttavia escludere le altre attività che occorrevano per mandare avanti la missione.

Seguiva i Crociatini con competenza, organizzava per loro incontri, attività caritative e gruppi di preghiera.

Tra quei giovani il Signore scelse alcune decine di bravi sacerdoti e religiosi. E fr. Raumer era santamente fiero di questo.

La missione di Awach fu il suo terzo posto di lavoro. Anche in questa parrocchia costruì la chiesa coinvolgendo la gente del posto. Prima di tutto mostrava il progetto ai cristiani e voleva che esprimessero il loro parere, poi esigeva la loro collaborazione in modo che sentissero la casa di Dio come la "loro" casa. Non gli piacevano inutili ornamenti o abbellimenti superflui. Andava all'essenziale e preferiva la sobrietà e la praticità in modo che i cristiani si trovassero a loro agio per la preghiera e per le funzioni liturgiche.

In queste costruzioni egli si mostrò anche un po' artista, decorando le pareti con gustose pitture. Dal 1971 al 1972 fu a Kitgum, sempre come addetto alle costruzioni.

Abbiamo già accennato al suo amore e alla stima per la gente. Rispettava, inoltre, la cultura del luogo; era interessato alla musica e voleva che fosse eseguita con arte. In tutte le missioni dove ha lavorato, ha saputo organizzare e dirigere il gruppo dei cantori, dei chierichetti e dei ballerini. Li preparava, li incoraggiava e li sosteneva con entusiasmo e con notevole sacrificio, specie dopo tante giornate passate sulle impalcature degli edifici.

In Italia

Dopo un decina di anni di lavoro nelle varie missioni, ritornò in Italia per un meritato riposo. Durante i mesi passati in patria, trovò il tempo per fermarsi a Pordenone dove frequentò un breve corso di teologia dogmatica e morale. Fu felicissimo di questa opportunità di aggiornamento. Scrivendo al suo superiore provinciale disse: "Sono felice d'aver potuto studiare un po' di dogmatica e morale. C'è sempre tanto da imparare, specie per chi è stato per tanto tempo in missione. La Chiesa del Concilio Vaticano II ha fatto grandi passi".

Ritornò in Uganda nel gennaio del 1973. Lavorò a Kitgum, poi tornò a Gulu per dare nuovo impulso al movimento dei Crusaders dei quali divenne responsabile per tutta la diocesi. Sfortunatamente non poté mai applicarsi a tempo pieno a questa attività poiché fu incaricato anche dell'officina e della procura diocesana.

L'Amministrazione generale dei comboniani di Roma chiese la sua presenza in Italia quale promotore vocazionale. Fr. Raumer rispose che non si sentiva preparato a coprire questo incarico in un ambiente così sofisticato come quello italiano. Egli si sentiva più a suo agio tra i Crociatini, gli operai e la gente di cui conosceva bene la lingua, gli usi e la mentalità.

Espulso

A facilitargli il ritorno in Italia pensò il presidente Amin che, nel 1975, lo fece espellere dall'Uganda insieme ad altri confratelli, molto probabilmente a causa dell'invidia dei protestanti che volevano il predominio della regione. La maggior parte degli espulsi appartenevano, infatti, alla diocesi di Gulu, e svolgevano attività importanti tra la gioventù.

P. Agostoni gli fu vicino in un momento così difficile... "Prima di tutto ti esprimo con cuore ancora una volta la mia solidarietà e la mia simpatia per la tua espulsione. Ti esprimo pure la mia convinzione che tu nulla hai fatto per provocare l'espulsione. Prendi la cosa come espressione di un piano di Dio che ci porta sulla strada della salvezza anche per mezzo dei peccati nostri e di altri...".

La provincia italiana ebbe in questo modo l'opportunità di avere fr. Raumer tra i suoi membri. Egli fu subito incaricato della formazione (2 anni) e poi della promozione vocazionale per i Fratelli (4 anni), in sostituzione di fr. Lucio Cariani, presso la comunità di Rebbio (Como).

"Il numero di aspiranti fratelli va sempre più assottigliandosi - gli aveva scritto p. Malugani nel febbraio del 1974 - e non vorrei che undomani le missioni venissero a mancare del loro apporto perché non abbiamo tentato il tutto per tutto".

Sebbene egli avesse ripetuto di non essere in grado di compiere adeguatamente questo compito, incontrò il favore dei parroci e dei giovani ai quali comunicava la sua esperienza e la testimonianza della sua vita. Per fare bene questo lavoro tanto delicato e impegnativo, fr. Raumer intensificò la sua preghiera e cercò di non perdere i contatti con l'Uganda dove ormai aveva il cuore.

I risultati del suo lavoro furono scarsi, giudicando dai risultati (ai suoi funerali, però, c'era anche un comboniano reclutato da lui). Egli, tuttavia, scrisse a p. Agostoni, sup. generale: "L'entusiasmo missionario non mi è mai venuto meno, nonostante i risultati poco tangibili del mio lavoro". Nell'orazione funebre per fr. Raumer, fr. Lagatolla ha sottolineato questo entusiasmo che riusciva a trasmettere e che lo rendeva un autentico discepolo del Comboni.

Nuovamente in missione

Finalmente, dopo 6 anni di esilio in Italia, nel 1981 fu nuovamente destinato all'Uganda e mandato a Gulu con l'incarico di magazziniere per i rifornimenti alle varie missioni della diocesi.

Appena mons. Cipriano, vescovo di Gulu, seppe del suo ritorno, lo mise ufficialmente a capo dei Crusaders. Il Fratello si dedicò anima e corpo a lavoro di animazione di questo movimento. Egli avrebbe desiderato lavorare a tempo pieno per i suoi giovani, ma non gli fu possibile dato lo scarso numero di Fratelli e le loro molteplici attività.

In questo periodo costruì la chiesa di Lajibi, vicinissima a Gulu, sempre con la collaborazione della gente che lo seguiva e lo amava.

Nel 1983 i Superiori lo destinarono come promotore delle vocazioni dei Brothers in Uganda insieme a p. Carraro. In quell'occasione scrisse loro: "Vi ringrazio della fiducia posta in me scegliendomi quale promotore delle vocazioni dei Fratelli ugandesi. Io vi ho già fatto notare la mia difficoltà per la lingue inglese. In questo mi sento veramente handycappato. In Inghilterra, invece di mungere tante vacche, i Superiori avrebbero dovuto darmi la possibilità di studiare un po' di più l'inglese"... Una legittima amarezza.

La guerra

Nel 1985, con la sconfitta dell'armata degli Okellos ci furono grandi confusioni e numerose ruberie in Gulu e dintorni. La comunità di Lajibi, dato che si trovava un po' fuori dalla città ed era sede del grande magazzino di viveri e di materiali vari, divenne oggetto di assalti e di saccheggi da parte dei soldati in fuga dopo la disfatta di Kampala. Per molti giorni ci fu un andirivieni di truppe, di sbandati che avevano bisogno di tutto e lo pretendevano con le armi in pugno. Fu fratel Raumer a salvare la situazione: molti di quei soldati erano acioli e il Fratello ne conosceva parecchi, così riuscì ad evitare il saccheggio.

Dopo la liberazione operata da Museveni, proclamatosi poi presidente dell'Uganda, fr. Raumer lasciò l'Uganda per un breve periodo di vacanza in Italia. La guerra con tanti massacri, distruzioni, incendi e paure, aveva inciso profondamente sulla sua salute.

Nel luglio del 1986, però, era nuovamente a Lajibi. La situazione, però, non era per nulla migliorata. Il gruppo di Alice Lakuena aveva già incominciato a creare confusione e violenza e i suoi guerriglieri raggiunsero anche quella località. Tra il 1986 e il 1987 non si sa se da parte di ribelli o di soldati governativi in fuga, Lajibi si trovò al centro di inaudite violenze e ruberie. Fr. Raumer si trovò in mezzo a quell'inferno. Fr. Ongaro fu ferito da una pallottola, mentre i fratelli Alberti e Fanti, più anziani, furono malmenati, e fr. Raumer fu bastonato con molta ferocia.

Il giorno dopo, mercoledì delle ceneri del 1987, durante la notte, una quindicina di uomini armati assalì la missione sparando all'impazzata. I guerriglieri andarono diritti verso la stanza dove si trovava fr. Raumer e, battendo alla sua porta, chiesero delle medicine. Il Fratello cercò di negoziare restando all'interno della stanza, ma vedendo che la loro arroganza aumentava, chiuse la porta e si barricò dentro. Allora quei mascalzoni cominciarono a sparare contro la porta usando anche una mitraglietta per cui, anche se la porta era corazzata, dopo un poco riuscirono a fare un buco per entrare. Allora il Fratello uscì dalla porta comprendendo bene che non cercavano medicine, ma denaro e altre cose di valore come avevano fatto in altre missioni. Più tardi anche le altre stanze furono "visitate" dagli stessi criminali.

Durante la sparatoria il Fratello rimase ferito, fortunatamente in modo lieve. Due giovani del suo gruppo, invece, furono presi e uccisi davanti ai suoi occhi, a sangue freddo.

Di fronte a tanta ferocia, la missione di Lajibi, divenuta troppo pericolosa, fu chiusa. Fr. Raumer si ritirò ad Angal, nella provincia del West Nile dove sostituì fr. Magistrelli e si dedicò all'apostolato tra i giovani. Anche questa zona aveva subito le tristi esperienze degli attacchi e dei saccheggi da parte di bande armate. Anche qui fr. Raumer ebbe prove e spaventi per cui i superiori credettero bene mandarlo in Italia per un periodo di vacanza.

L'ultima tappa africana

Nel 1990 il Fratello fu assegnato nuovamente a Gulu con l'incarico di riaprire Lajibi e di riorganizzarla, ma essendo il territorio ancora insicuro, stava in missione solamente durante il giorno, mentre alla sera tornava a Gulu presso la comunità della Cattedrale. Tuttavia rimise in funzione la falegnameria e il laboratorio di Lajibi e si dedicò ancora una volta alla gioventù. Formò anche un bel gruppo di operai che lo aiutò a preparare il materiale in vista della ricostruzione delle missioni distrutte dalla guerra.

Essendosi intanto calmate le acque, nella festa del Sacro Cuore del 1990, fu deciso di riaprire definitivamente la comunità di Lajibi e così il Fratello vi si trasferì definitivamente insieme ad altri missionari.

Il Calvario

Subito dopo cominciò a sentire i primi sintomi del male che lo avrebbe portato alla tomba. Inizialmente si pensava a una forma di malaria perniciosa che si manifestava con violenti attacchi di febbre alta e con svenimenti. Portato all'ospedale di Lacor i medici dissero che molto probabilmente si trattava di qualcosa di più grave, e fu mandato immediatamente in Italia. Spesso il Fratello perdeva conoscenza  e mostrava graduali segno di paralisi alla gamba sinistra e al braccio destro.

Ricoverato all'ospedale di Negrar e poi nel reparto infettivi di Borgo Trento (Verona), migliorò sensibilmente. La sua ultima lettera scritta al superiore provinciale d'Uganda (p. Cona) esprime grande speranza per un prossimo ritorno in missione. "Sono migliorato molto; ho ricuperato 7 chilogrammi di peso. Con tutti i rosari che ho recitato in questo tempo di riposo forzato sono sicuro che la Santa Vergine mi aiuterà a ricuperare completamente la salute in modo da poter far ritorno alla mia amata missione d'Uganda prima di Natale. Desidero ardentemente ritornare in Uganda per la visita del Papa in febbraio, e così rivedere molti confratelli che verranno a Gulu per l'occasione. Io mio sento completamente disponibile anche per riorganizzare i Crusaders. Con dispiacere ho sentito che i miei operai di Lajibi sono rimasti senza lavoro. Il Signore ha voluto così e noi ci sottomettiamo interamente. Io pongo tutta la mia fiducia in Dio per poter far ritorno il più presto possibile...".

Dio aveva altri piani. Dopo un periodo di stasi, il male ricominciò a galoppare fino al punto di ridurre il povero Fratello ad uno stato pietoso. Poi sopravvenne il coma irreversibile finché, la sera del 27 novembre spirò all'ospedale di Borgo Trento (VR). Il tumore al cervello che lo uccise era accompagnato da altri guai collezionati in missione, che lo fecero soffrire parecchio. Egli accettò tutto con coraggio offrendo le sue sofferenze per le missioni e, in particolare, per le vocazioni.

I funerali ebbero luogo in Casa Madre e poi la salma fu tumulata nel cimitero di Sant'Ulderico di Tretto, suo paese natale.

Il sacrificio di questo giovane e bravo Fratello se è stato, da un lato, una grave perdita per l'Uganda e un grande vuoto per la sua famiglia, costituisce dall'altro una speranza di nuove vocazioni, specialmente africane. Fr. Raumer, infatti, ha lavorato molto per esse e ai giovani, africani e italiani, lascia la testimonianza di una vita dedicata alla causa degli africani, caratterizzata dalla disponibilità, dall'entusiasmo e dall'amabile serenità che faceva sentire le persone a proprio agio, e dalla gioia. Doti con le quali ha saputo servire il Signore e a donargli la sua giovane vita.       p. Lorenzo Gaiga

Da Mccj Bulletin n. 179, luglio 1993, pp. 58-65