In Pace Christi

Figlio di Francesco e di Di Francesco Cristina "iscritto all'opera Balilla" (assicurava un pezzo di pane ai poveri n.d.r.) il giovinetto, a detta del suo parroco in un lettera del 18 agosto 1936, era "di ottima indole, diligente e studioso. Ha mostrato da piccolo segni evidenti di vocazione religiosa e, per tale motivo, ha frequentato come chierichetto la chiesa e si è accostato spesso ai santi sacramenti. Dà fondata speranza di riuscire bene.

È figlio di genitori onesti e religiosi, ma poverissimi. La famiglia è composta di otto persone (sei figli e i genitori). Vivono assai miseramente col lavoro quotidiano che spesso manca.

In conseguenza, per il figlio Fiovo sono appena in grado di fornire il vestiario e la biancheria. Non si può domandare di più. Se codesto venerabile Istituto, a titolo caritativo, può riceverlo gratuitamente, abbia la bontà di significarmelo. Distinti ossequi. Dev.mo sac. Luigi Ciabattoni, prevosto".

Fiovo, 11 anni, fu accettato e andò nella scuola apostolica di Sulmona dove si applicò con impegno e con buoni risultati scolastici.

Nel 1938 passò a Brescia, nell'Istituto Comboni, per la quarta e quinta ginnasio e, nel 1941, andò nel noviziato di Firenze. P. Stefano Patroni fu il suo maestro il quale dovette lavorare di mazza e scalpello perché il giovane Fiovo era: "Sanguigno, impetuoso, portato alla rabbia, pessimista, però esternamente riesce a dominarsi abbastanza bene e ha un gran cuore". Questa era la materia prima sulla quale bisognava lavorare.

Dopo due anni di noviziato: "Ha lavorato molto in questi anni riuscendo a raggiungere un buon dominio di sé. Non è mai contento di se stesso perché vorrebbe essere più buono, più perfetto, più avanti nella pratica delle virtù. Questa sua preoccupazione mi sembra piuttosto eccessiva.

Riesce a controllare molto bene la sua natura, ama la vita regolare, è appassionato della missione e ama la sua vocazione. Anche come pratiche di pietà è esemplare".

Emessi i Voti religiosi il 7 ottobre 1943, passò a Venegono per il liceo (1943-1945), poi a Verona per la teologia (1945-1948) che completò a Venegono tra il 1948 e il 1949.

P. Giacomo Andriollo, nello scrutinio per il Suddiaconato, scrisse: "Fu sfollato a Venegono per lo scolasticato filosofico. Da qui andò a Verona per la teologia; il quarto corso teologico lo sta ultimando a Venegono. Sarà ordinato suddiacono il 3 ottobre 1948, a Venegono, da mons. Bini. Carattere un po' impressionabile, intelligente assai, generoso e pio. Tutti i superiori precedenti ne diedero buone informazioni. Molto diligente, pietà sentita, costumi illibati, carattere un po' duro, ma sempre impegnato nel migliorare se stesso. Tutto fa sperare che faccia una buona riuscita".

Venne ordinato a Milano dal card. Schuster l'11 giugno 1949.

Promotore vocazionale

Appena sacerdote P. Fiovo fu inviato nella sua terra, a Sulmona, per fare l'insegnante (1949-50) e il reclutatore (1950-1958). Questo secondo incarico, che assunse con entusiasmo perché il nostro Padre bruciava dal desiderio di moltiplicare i missionari, lo portò in tutte la parrocchie della zona. Col suo bel modo di fare, la sua loquacità e capacità di approccio, riuscì ad accrescere il numero degli amici della casa di Sulmona e portò dentro centinaia di ragazzi.

Vedendo, poi, che la stragrande maggioranza di essi usciva, subì come una specie di schoc per cui, ad una domanda se gli piaceva dedicarsi al reclutamento, rispose un secco "No" senza tanti commenti. Provava in scala minore il senso di frustrazione che provano in maniera molto più accentuata gli animatori vocazionali dei nostri giorni, sempre di meno come numero, che battono le strade di mezzo mondo, fanno raduni e campeggi, moltiplicano le iniziative e poi... si radunano per scambiarsi le loro delusioni.

P. Camaioni si dedicò anche alla formazione. Infatti in una casa come quella di Sulmona e, a quei tempi, i ruoli non erano così distinti, ognuno doveva prestarsi a fare tutto.

Come assistente dei ragazzi il Padre aveva un buon carisma. Usava molto il metodo del dialogo, dell'amicizia, dello stare insieme per aiutare i futuri missionari a formarsi secondo lo spirito della Congregazione.

Post factum, dobbiamo dire che P. Camaioni ha lavorato bene perché tra i ragazzi da lui reclutati sono usciti fior di missionari comboniani.

Missionario in Brasile

Quando, nel 1958 è stato destinato al Brasile, P. Camaioni provò un gran senso di sollievo.

Iniziò il suo lavoro come vice parroco a Nuova Venezia, nello Stato dello Spirito Santo, diocesi di San Matteo. L'anno dopo il suo arrivo (1959) venne eletto vescovo di quella diocesi mons. Giuseppe Dalvit, un uomo buono che logorò la sua vita in pochi anni per le anime e per i suoi missionari.

Dopo un periodo di rodaggio che gli servì per apprendere bene la lingua e conoscere la mentalità e la psicologia della gente, P. Camaioni fu eletto parroco (1960 al 1966) e diresse la parrocchia con competenza e senso di responsabilità. Fr. Moser, che lo conobbe bene, dice: "Non ho mai sentito nessuno parlare male di P. Camaioni. Era un uomo cordiale, sempre contento, disponibile ad ascoltare la gente in ogni momento. Insomma, si vedeva che era in Brasile a disposizione del popolo anche se, qualche volta, questa sua disponibilità gli costava notevoli sacrifici.

Organizzò perfettamente il piccolo clero e i laici nei quali già vedeva i protagonisti per lo sviluppo della Chiesa brasiliana. Sviluppò anche alcune opere materiali di cui la parrocchia aveva bisogno. Egli sapeva coordinare la gente del posto e la faceva lavorare, rimunerandola secondo giustizia, naturalmente. Subito si instaurò un clima che portava la gente verso la Chiesa.

Le doti di bontà e di gentilezza erano esercitate anche verso i confratelli, e in particolare verso i fratelli nei quali vedeva dei veri collaboratori all'opera missionaria. P. Camaioni ha lasciato un segno positivo nel cuore di tutti".

La nuova chiesa-matriz

Sotto la guida di P. Camaioni la gente di Nova Venezia ha costruito la grande chiesa parrocchiale (chiesa matriz) e il ginnasio che ha dato la possibilità a migliaia di ragazzi di poter studiare. Infatti il problema dell'istruzione, visto dal Padre come base per il progresso e per la liberazione dalle diverse emarginazioni alle quali il popolo doveva sottostare, lo preoccupò fin dal primo momento. Fortunatamente nel suo Vescovo trovò un illuminato sostenitore. Ingrandì e modernizzò anche l'ospedale rendendolo degno di questo nome.

Nel febbraio del 1961 è stata smembrata da Nuova Venezia la nuova parrocchia di Guararema che stava prendendo notevole sviluppo sotto il "tutto fuoco e fiamme" di P. Francesco Rinaldi Ceroni.

La nuova chiesa-madre di Nuova Venezia che stava sorgendo era lunga 49 metri e larga 18. La popolazione della cittadina era di 40.000 abitanti di cui circa un quinto erano protestanti o spiritisti.

Il Padre promosse la pratica dei primi venerdì del mese che trovò subito una buona risposta, promosse i gruppi di preparazione al battesimo per cui, nelle feste principali, c'erano dai 150 ai 200 battesimi e ancora di più prime comunioni. Mons. Dalvit nel solo 1961 amministrò bel 7000 cresime.

Il 3 dicembre la parrocchia venne consacrata al Sacro Cuore. Scrisse P. Camaioni: "Dovrebbe essere il primo segnale di altre varie consacrazioni al Sacro Cuore in diocesi". Infatti poco dopo anche la diocesi venne consacrata al Cuore di Gesù.

Fiuto politico

P. Camaioni in Brasile sviluppò quello speciale fiuto politico che, già in Italia, gli consentiva di affrontare e giudicare coloro che stavano al vertice della cosa pubblica. E Dio sa se in Brasile c'era bisogno di idee giuste in questo settore!

La situazione di ingiustizia portata avanti dalle autorità al governo era palese a tutti, ma solo pochi avevano il coraggio di denunciarla anche perché poteva succedere di sparire o di cadere crivellati di colpi in qualche agguato senza sapere chi si dovesse ringraziare.

P. Camaioni, che nel 1968 e fino al 1973 andò come parroco a Joao Neiva, sempre nel Brasile del Sud, grazie alla sua ormai nota fama di uomo di Dio (e lo era davvero) aveva un'autorità morale per cui poteva dire la sua in un settore così delicato e nel quale è facile crearsi dei nemici.

Tanta gente si rivolgeva a lui per risolvere i problemi più svariati. Allora lui accostava i responsabili della pubblica amministrazione e, con bontà e tatto, caldeggiava le cause giuste dei suoi fedeli. Ad un uomo come P. Camaioni era quasi impossibile dire di no, per cui il bene che fece fu veramente notevole.

Nella terra della speranza

La Rondonia era la terra della speranza per migliaia di famiglie di senza terra e senza tutto, che migravano dalle zone in mano ai latifondisti spregiudicati e ingordi verso uno spazio vitale più lontano dove, alla maniera dei primi colonizzatori, dovevano iniziare tutto da zero, ma almeno avevano la speranza di un domani più dignitoso.

Per tutta quella gente occorrevano un sacerdote e una missione che costituissero anche un punto di riferimento umano, oltre che spirituale e religioso.

La Conferenza dei Vescovi del Brasile aveva chiesto  alla provincia comboniana del Brasile Sud di inviare una comunità per accompagnare le famiglie di emigranti.

P. Camaioni si offerse con entusiasmo, con gioia. Nel suo cuore buono sentiva una compassione infinita per quella povera gente che gli ricordava tanti della sua terra, in Italia, che avevano dovuto abbandonare casa, affetti e persone care per cercare un tozzo di pane chissà dove, spesso a prezzo di grosse umiliazioni. E fu parroco a Ouro Preto d'Oeste dal 1974 al 1980.

Con lui erano andati anche i padri Bonomi e Vialetto, ma questi due dovettero trasferirsi nella parrocchia di Pimanta Bueno (200 chilometri più a sud), lasciata libera da un sacerdote tedesco che era partito per la Germania a trovare la mamma vecchissima e malata. P. Camaioni rimase con Fr. Xillo.

Spesso le strade erano autentiche colate di fango a causa delle frequentissime piogge per cui ci si doveva spostare usando il cavallo o a piedi. Con la macchina si faceva poca strada. Poi c'era la malaria che colpiva senza pietà. "Sto rivivendo la poesia dei miei primi anni di missione: polvere e fango, caldo e zanzare, riso e fagioli. Proprio oggi, tornando da una Gleba, ho caricato sulla Rural una famiglia di nove persone, più il cane, tutti malati di malaria".

Per la fine dell'anno (1974) arrivarono anche le suore comboniane. Fr. Xillo scavò il pozzo per la loro casa e trovò subito acqua; scavò per quella dei missionari, ma acqua non ne appariva. Allora la gente diceva: "Si vede che le suore sono più sante".

Il lavoro pastorale consisteva, essenzialmente, in lunghissime camminate per visitare i villaggi dei contadini, per radunarli in gruppo, per formare delle comunità.

Il Padre entrò in stretto contatto con l'INCRA (Istituto Nazionale di Colonizzazione e Riforma Agraria). Se si voleva aiutare la gente bisognava toccare le corde giuste.

Tra quel popolo povero, senza aiuti, abbandonato da tutti, P. Camaioni, e più tardi P. Furlanetto e P. Ugo Lanfranchi realizzarono anche una loro lenta ma sicura conversione in pieno stile Gesù Cristo che scelse per sé i più poveri, i più umili, i più emarginati, coloro che non contavano e che non avevano voce. I missionari di Ouro svolsero un'azione profetica. E quei poveri emigranti si accorsero ben presto che i missionari al seguito condividevano tutta la loro povertà anche se, come potevano, cercavano di sollevarla.

Le comunità di base

Su questa esperienza ci sarebbe da scrivere un libro e speriamo che coloro che l'hanno vissuta sulla loro pelle lo facciano. Noi ci limitiamo a dire che, per venire incontro alla gente, per amalgamarla, per condividere la speranza (spesso non c'era altro) sorsero le prime Comunità di Base.

Non era impresa facile formare i leaders scegliendo tra persone che, spesso, riuscivano a mala pena a leggere e scrivere.

La base della formazione e della discussione era la Parola di Dio, letta e meditata dal capo comunità sotto la guida del missionario per evitare pericolose deviazioni. Evangelizzazione e promozione umana, ma anche giustizia sociale, correttezza politica, onestà negli amministratori che stavano nelle alte sfere. Il popolo doveva prendere coscienza di sé, doveva svegliarsi da un letargo che lo teneva prigioniero da tanti anni. I fautori di questa nuova era erano i missionari.

La personalità forte e decisa di P. Camaioni sembrava tagliata apposta per questo ufficio. Egli infatti divenne un sostenitore convinto del partito dei lavoratori nel quale vedeva una possibilità di unire tutte quelle forze divise, ma più che divise, inconsapevoli di esistere come forza. "L'esercito si forma con tanti singoli soldati uniti da un unico ideale, protesi ad un unico fine", soleva dire.

E guai se vedeva divisioni o liti tra quei poveri. "Non facciamo il gioco dei prepotenti, dei padroni, dividendoci tra noi. È ciò che vogliono loro, ma noi dobbiamo vanificare i loro progetti per portare avanti il nostro: la terra è di chi la lavora. Qualcuno ci taccerà di comunisti. Non badateci, sono loro a parlare così perché vogliono distruggerci, ma noi andiamo avanti nella legalità, senza violenza, con la forza del diritto. La storia cammina nella nostra direzione. Un giorno saremo un popolo". Insomma, chi è stato testimone di questa avventura dice che P. Camaioni aveva la stoffa del tribuno, ma senza demagogia.

Quel benefico virus

Il virus della povertà vissuta e condivisa con migliaia di poveri maturò ancora di più il nostro P. Camaioni e lo preparò ad un ufficio di responsabilità nel settore della stampa. Chi più di lui, ormai, poteva dire una parola definitiva sui problemi di ingiustizia che travagliavano il Brasile? Chi meglio di lui poteva dare delle regole per aiutare i poveri ad uscire da quel tunnel di abiezione?

Con mossa avveduta i superiori lo mandarono a San Paolo come incaricato delle riviste. Il suo ruolo specifico era l'amministrazione, ma era ampiamente autorizzato a dire la sua anche sull'impostazione degli articoli, sui temi da trattare, sul modo di affrontarli.

E poi c'era anche un altro motivo per cui il Padre doveva cambiare aria: la salute. Ouro Preto fu un periodo tanto esaltante per un uomo generoso come Camaioni, ma altrettanto logorante. Il territorio da percorrere era immenso, i mezzi inadeguati, il clima e gli insetti fastidiosi, il cibo alle volte scarso... una vita da pionieri.

A San Paolo il Padre si sarebbe riposato e avrebbe riacquistato la salute un po' compromessa. Ma dopo due anni il fascino della Rondonia, dei poveri, della gente semplice lo inquietava giorno e notte. Chiese ai superiori di poter ritornare.

Fu esaudito e vi ritornò per altri cinque anni, dal 1984 al 1989 completando il lavoro iniziato dieci anni prima e iniziandone di nuovo. Davvero il suo sogno si era in parte avverato: quell'ammasso di poveri era diventato un popolo che pregava unito, che lavorava unito, che unito reclamava i propri diritti.

Cacoal, un sogno tinto di sangue

Nel 1985, intanto, a Cacoal, sempre in Rondonia, ci fu il martirio di P. Lele Ramin, il generoso missionario che, per sconfiggere le ingiustizie usava il metodo di Giovanni Battista: la denuncia aperta, leale, senza peli sulla lingua. E come Giovanni Battista ci lasciò la pelle: 70 colpi in un agguato al ritorno da un raduno di poveri ai quali aveva raccomandato di usare il diritto, la legge e non la violenza. Uomo non violento, fu vittima della violenza. Non è stato il primo e non sarà l'ultimo.

Nel 1989 P. Camaioni chiese di andare proprio a Cacoal dove avrebbe potuto coltivare i semi gettati nel solco da P. Ramin e abbeverati col suo sangue. I superiori lo esaudirono.

Con umiltà e dedizione si dedicò alle comunità di base rurali che sorgevano ovunque facendo un bene immenso. Quando le forze non gli permettevano più lunghi spostamenti, concentrò il suo lavoro nelle zone periferiche della città e si dedicò alla pastorale familiare.

Anche la stabilità della famiglia costituiva un problema notevole nella cultura brasiliana, specie per gente costretta a spostarsi per motivi di lavoro, magari lasciando a casa i propri familiari, un po' come succedeva anche agli emigrati italiani che andavano in Francia o in Germania lasciando in Italia moglie e figli.

Preparare due giovani al matrimonio cristianamente inteso era un compito importante, e così pure sostenere le coppie che, per svariate ragioni, entravano in crisi, non era impresa facile. P. Camaioni lo svolse bene, facilitato anche dal suo cordiale modo di comunicare e dall'amore che ci metteva e che si vedeva.

La salita al calvario

A Cacoal apparvero i primi sintomi della sua malattia, ma non volle arrendersi finché, accorgendosi di non essere utile alla missione già scarsa di personale, chiese di andare a San Paolo per tentare qualche cura che lo rimettesse in sesto.

Nell'aprile del 1996 era a Verona per sottoporsi all'asportazione del tumore alla prostata. L'intervento andò bene per cui chiese ed ottenne di tornare nuovamente a Cacoal. "Per la fine di giugno spero di riabbracciare i confratelli e il popolo di Cacoal. Solo Dio sa ciò che quella buona gente ha fatto e continua a fare per me: preghiere, novene, promesse e tanti sacrifici", scrisse il 30 maggio 1996.

Il male, dopo alcuni mesi di tregua, si svegliò più gagliardo di prima. Solo quando si rese conto che ormai non c'era più niente da fare e che il suo permanere in missione poteva impedire il lavoro di qualche confratello che avrebbe dovuto dedicarsi a lui, chiese di rientrare in Italia.

Ciò gli costò molto, ma lo fece come un servizio alla missione che, come disse al suo provinciale, "non aveva personale da perdere dietro a un ammalato". Parole brutali se non le avesse dette lui, parlando di se stesso. Nel contesto in cui furono pronunciate, però, assumono il valore di un atto eroico, dato che aveva più volte espresso il desiderio di essere sepolto nel cimitero di Cacoal insieme ai poveri.

Nell'aprile del 1997 giunse al Centro Ambrosoli di Milano. Ormai il tumore che lo divorava da tanto tempo era arrivato alla fase finale, per cui vane furono le cure dei sanitari. Dopo neanche un mese, l'8 maggio 1997, sorella morte venne a prenderlo per introdurlo in Cielo insieme ai poveri che ora, finalmente, non erano più tali perché luminosi della luce di Dio.

Se Teresa di Calcutta, ad ognuno dei suoi poveri che lasciavano questo mondo, metteva in mano un biglietto, quasi un ammonimento al Padre eterno, con scritto: "Ha diritto al Paradiso perché è povero" indipendentemente dalla religione professata o dalla vita che aveva vissuto, possiamo dire che anche P. Camaioni, che ha fatto dei poveri lo scopo della sua vita, ha condiviso la stessa sorte.

Il suo provinciale ha scritto: "P. Camaioni, per chi ha avuto la grazia di conoscerlo e di vivere con lui, è sempre stato un amico sincero e amante della Congregazione; un uomo che sapeva lavorare e pregare, ma che sapeva anche trovare il tempo per stare con i confratelli. Le partite a carte con P. Camaioni erano famose, ma soprattutto erano un segno del suo desiderio di stare serenamente in comunità. La malattia lo ha purificato. Egli era solito dire: 'Dio mi ha sempre voluto bene: non ho mai avuto nessun disturbo durante la vita ed ora mi concede il tempo di prepararmi all'incontro con Lui, purificato dalla malattia. Sono tranquillo e sereno: sia fatta la sua volontà'.

Negli ultimi mesi, quando la metastasi ossea gli provocava dolori lancinanti non si è mai lamentato, ma ha accettato quella porzione di sofferenza come un segno della sua missionarietà. Ai familiari ebbe il coraggio di dire: 'Questi miei ultimi mesi di vita sono i più belli di tutta la mia esistenza'".

Di fronte ad un simile confratello viene spontaneo inchinarci e dirgli grazie per quello che è stato, per quello che ci ha insegnato e per come ce lo ha insegnato.

Certamente il beato Comboni, l'apostolo dei più necessitosi, si è riconosciuto in P. Fiovo Camaioni e lo ha accolto nella gloria. E a questo incontro partecipavano felici tanti poveri.

Dopo i funerali nella cappella del Centro Ambrosoli di Milano, la salma è stata portata al paese natale.      

P. Lorenzo Gaiga, mcc

Da Mccj Bulletin n. 197, ottobre 1997, pp. 114-122

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The son of Francesco and Cristina (Di Francesco) came from a very poor family. His Parish priests sums up his story in a letter dated 18 August 1936: "he has a very good character, is diligent and studies hard. He has shown certain clear sings of a religious vocation, and so has been an altar boy and receives the sacraments frequently. There is a very good chance that he will succeed.

His parents are honest and devout, but extremely poor. There are eight in the family (six children and the parents). They live with difficulty on day-work, which is not always available. So for Fiovo they will be able to provide only clothing. It is not possible to ask for more. If your venerable Institute, out of charity, can take him in as a free boarder, please let me know. Yours devotedly, Rev. Luigi Ciabattoni, provost".

Fiovo, 11 years old, was accepted, and entered the junior seminary at Sulmona, where he worked hard and did very well in his studies. In 1938 he went on to Brescia for two years in the Istituto Comboni, then entered the Novitiate at Florence in 1941, where Fr. Stefano Patroni was Novice Master. The good father had to make ample use of "hammer and chisel", because Fiovo was "full-blooded, impetuous, irascible, pessimistic, though externally he managed to keep control fairly well, and has a great heart". So some rough edges to be knocked off in shaping him.

Two years later, at the end of the novitiate: "He has worked hard, and has reached a good level of self-control. He is never satisfied with himself, because he wants to be better, more perfect, further advanced in the practice of virtue. I think his preoccupation is a bit excessive. He manages to control his impulsive nature, fits into the regular life, loves his vocation and has a passion for the missions. He is exemplary in his practices of piety."

He made his Vows on 7 October 1943, went to Venegono until the end of Philosophy, then on to Verona for Theology (1945-48), which he completed back at Venegono for the academic year 48-9.

Fr. Giacomo Andriollo wrote the report for Major Orders: "He was evacuated to Venegono for the Philosophy course, then went to Verona for Theology; he is finishing the fourth year at Venegono. He will be ordained Subdeacon at Venegono by Bishop Bini on 3 October 1948. Rather impressionable, quite intelligent, generous and devout. All superiors along the line have given good reports: very diligent, deep piety, unblemished conduct, rather hard personality, but always trying to improve. All the signs are hopeful."

He was ordained priest in Milan by Cardinal Schuster on 11 June 1949.

Vocations Promoter

Straight after his ordination he was sent down to his home area, based in Sulmona; first as teacher (1949-50), then "recruiter" (1950-1958). He took on the second job with enthusiasm, for he longed to see the number of missionaries grow. He visited all the parishes in the area. With his pleasant manner, his ready "patter" and ease with people, he managed to make a good number of friends for the house of Sulmona, and brought in hundreds of boys.

However, when he saw that the majority of them left, he suffered a king of trauma, and when he was asked once whether he liked being a recruiter, he answered with a sharp  "No!" He felt - on a smaller scale - the frustration of vocations promotion, that is more acute these days: after the long trips, the organising of meetings and vocations weeks and many other initiatives, the recruiters often have only their... disappointments to exchange at their general Meetings!

Fr. Camaioni threw himself more into formation. In those days, roles were not so sharply defined. As Assistant, he had some good gifts. He used the method of dialogue and friendship, spending time with the boys to help to form future missionaries in the spirit of the Congregation.

Looking back, we can say he was more successful than he thought, for there is quite a number of good Comboni Missionaries recruited by him.

Missionary in Brazil

Nevertheless, it was a great relief when he was sent to Brazil in 1958. He started off as curate in Nova Venecia, diocese of Sâo Mateus in the State of Espirito Santo. The year after his arrival, his old friend Fr. Giuseppe Dalvit was nominated Bishop - a good shepherd who wore himself out in a few years for the people and for his missionaries.

After a couple of years, when he had come to grips with the language and learned to know the ways and the mentality of the people, Fr. Camaioni was made PP (1960 to 1966), and guided the parish competently and sensitively. Bro. Moser, who knew him well, says: "I never hear anyone say anything bad about him. He was warm, always content, ready to listen to someone at any moment. One could see he was in Brazil for the sake of the people, so he would be available, even when it cost him a lot.

He organised the altar servers and lay action, because he saw in these the future development of the Church in Brazil. He also developed parish institutions that were needed. He had the ability to get people together and working, and he would give a just wage to those he employed, naturally. So a good climate developed that attracted people towards the Church.

He was good and gentle towards his confreres too, and had a special spot for the Brothers, whom he saw as true collaborators in the missionary enterprise. Fr. Camaioni has left a positive mark in everybody's heart."

The new parish church

Led by Fr. Camaioni, the people of Nova Venecia built a big parish church and a secondary school that is a boon for thousands of adolescents. The father saw education as the foundation for progress and liberation from the various forms of marginalization suffered by the people. And in the Bishop he had an enlightened supporter. He even extended and modernized the hospital, making it worthy of the name.

In February 1961 the parish was split, with the new parish of Guararema established in an area that had begun to develop rapidly under Fr. Francesco Rinaldi Ceroni.

The new mother church of Nova Venecia is 49 metres long by 18 wide. The population at the time was 40,000, of which about 20% were Protestants or Spiritualists.

Fr. Camaioni spread the devotion of the First Fridays, and there was a good response; he set up instruction classes for those who were not yet baptised, and First Communion classes. At times there would be 150 to 200 Baptisms. In 1961 Bishop Dalvit confirmed 7000 candidates.

On 3 December the parish was consecrated to the Sacred Heart. Camaioni wrote: "This should be the first of a number of consecrations to the Sacred Heart in the diocese". In fact, the diocese itself was later consecrated to the Heart of Jesus.

Political acumen

In Brazil Fr. Camaioni developed a political sixth sense that had already enabled him to gauge and to tackle people who were public leaders in Italy. The Lord knows how much such a quality was needed in Brazil! The injustices perpetrated by the authorities themselves were obvious to all, but not many had the courage to denounce them, because there was a serious risk of disappearing or of falling in an ambush.

Fr. Fiovo, who moved to Joâo Neiva as PP in 1968, and worked there until 1973, had a certain moral sway over people because of his reputation as a good priest and man of God: he was able to speak out more than most. So a lot of people came to him with their problems, and he would approach the authorities and, tactfully but firmly, argue the just case of his people. He was very persuasive, and so was able to do a great deal of good.

In the land of hope

Rondonia was the land of promise for thousands of landless families who migrated from the areas under the control of violent and greedy landowners. Having found a living space far away, they had to get to work like all pioneers, starting from scratch, with only the vision of a more dignified future to drive them on. But they needed pastoral care, and a place of worship: a mission would be a point of reference for many human, as well as spiritual, matters.

The Bishops' Conference asked the Comboni Province of Brasil do Sul to send a community to assist all those immigrant families. Fr. Camaioni volunteered enthusiastically. He felt a real compassion for the multitude, and thought of his background, and people at home who had had to emigrate in search of a decent living. So he became PP of Ouro Preto, and was there from 1974 to 1980.

Frs. Bonomi and Vialetto started with him, but after a while they had to take over Pimanta Bueno, 200 km. further South, because the pastor had been forced to return to Europe to look after his old and ailing mother. Fr. Xillo remained with Fr. Camaioni.

Often the roads were just mud-slides as the frequent rains teemed down. The surest way of getting somewhere was to walk, or go on horseback. Malaria was rife. One day, Camaioni wrote: "I am just reminiscing on the poetic times of my early years in the mission: dust and mud, head and mosquitoes, rice and beans. Today, coming back from a village, I squeezed a family of nine people into the jeep with their dog. They were all suffering from malaria!"

At the end of 1974 a community of Comboni Sisters arrived. Fr. Xillo dug a well for them, and found water quite easily. So he dug one for the mission and - not a drop! The people said: "Obviously, the Sisters are holier!"

Pastoral work consisted, on the whole, in very long hikes between settlements, to gather the people together and help them to form communities. The fathers kept in close touch with INCRA (National Institute for Colonisation and Agricultural Reform): one had to pull the right strings to obtain anything for the people.

The people were all very poor, left to themselves, with next to no assistance coming in. The fathers adopted their life-style of the people to a very large extent. Fr. Camaioni, and later Frs. Furlanetto and Ugo Lanfranchi embraced the option to be Christ-like among the poorest, the least and the most neglected; the voiceless, who counted for nothing. In this way the work of the missionaries in Ouro was also prophetic. And the people recognised this, and followed the missionaries who were following them, and doing what little they could to make their lives better.

Small Christian Communities

It would be possible to write a book about this experience, and I hope those who lived it first-hand will do so. Briefly, in order to get closer to the people and to unite them, share their hopes (often they had nothing else), the first CCB (Basic Christian Communities) appeared. It was quite a task to identify and form leaders among a population that was largely illiterate.

The basis of formation and discussion the Word of God, read and commented on by the group leaders under the guidance of the missionaries, to avoid any dangerous interpretations. Evangelization and human development are fine, but they need social justice, open politics, honest leaders. The people had to grow in self-awareness so as to awaken from the passive acceptance that had gone on for generations. The missionaries stimulated this "new age". And the strong and decisive personality of Fr. Camaioni seemed made for this task. He became an active supporter of the workers' party, in which he saw a way of bringing together forces that were not so much divided as unaware that they constituted a power in the land. He used to say: "An army is made up of many individual soldiers, united by a single ideal, striving for the same ends".

He would not brook divisions or quarrels among his poor: "Let us not play into the hands of the powerful, of the bosses, by becoming divided. That is what they want, and we have to foil their projects and push ours through: the land belongs to those who till it. Some will call us communists: take no notice, they only use the term to destroy us. But we must advance by legal means, without violence, with the power of our rights. History is on our side, and one day we will be a people!" He certainly had the language of certain leaders, but without their pretensions.

An ill wind...

Living and sharing poverty along with thousands of poor was a great maturing force, and prepared Fr. Camaioni for another task: using the press. The superiors moved him to Sâo Paulo to take charge of the magazines. His role was intended to be administration, but he was given ample powers to have his say regarding the content of the magazines. It was a good move, though the superiors were also motivated by fears about his health. The times in Ouro Preto may have been exciting and stimulating, but the work was exhausting, especially for one as generous as Camaioni. There was an enormous are to cover, and the heat, the insects and the humidity, along with a sparse diet, were also very wearing.

At Sâo Paulo he was able to recuperate and build up his strength. And after two years he was straining at the leash, thinking about his people in Rondonia, their poverty, their problems - and his longing for them. He asked to return.

His request was granted and he spent a further five years there (1984-9), completing some projects and launching new initiatives. He also saw his dreams fulfilled in part, with a community that prayed together, worked together and claimed its rights as one.

Cacoal: the dream is bloodied

In 1985 Fr. Lele Ramin was killed at Cacoal, also in Rondonia. He was like John the Baptist, using open and honest denunciation of ills to call for reform. Like John the Baptist, he was silenced: struck by 70 projectiles in an ambush on his return from a meeting with the poor, at which he had urged them to use only their rights - the way of non-violence!

In 1989 Fr. Camaioni asked to go to Cacoal, to cultivate the seeds sown in the blood of Fr. Ezechiele. And he offered his humble services and dedication to the scattered rural communities there, with great effect. When he began to grow weaker, he concentrated on pastoral work among families in the slum areas of the town. The stability of the family was a big problem in an area where a lot of men had to leave in search of work. Camaioni had seen some of the strains during his boyhood, as men went off to France and Germany looking for a means of livelihood, and to send money back home.

Fr. Camaioni's task was to prepare couples for a Christian marriage, understanding the implications; and then often, to support the couples through various crises. It was not easy, but his warmth and love helped people to understand what he was trying to do.

Final illness

The first signs of his illness appeared at Cacoal. He tried to ignore it, but soon had to ask to retire to Sâo Paulo, so as not to be a burden on the already overstretched confreres. In April 1996 he was in Verona to have a prostate tumour removed. The operation was such a success that he obtained permission to return to Cacoal. "I hope to embrace my confreres and the people of Cacoal by the end of June. Only God knows how much they have all done, and continue to do for me: prayers, novenas, vows, penances..." he wrote on 30th May.

But after a few months his illness flared up again, and he realised that he could do nothing in the mission except be a burden and a hindrance; so he asked to return to Italy. The sacrifice was made bearable only because it was a service to the mission: "You don't have personnel to waste time looking after an invalid", he said to the Provincial. They would have been brutal words if anyone else had said them! And they were heroic, too, because his dream was to die in Brazil and be buried among his poor in Cacoal cemetery.

He arrived in the Ambrosoli Centre (CAA) in Milan in April 1997, and it was obvious that there was no medical remedy. In less than a month, on 8 May, Sister Death came to take him to pray for his beloved poor from Heaven.

Sr Teresa of Calcutta, used to put a ticket in the hand of the destitute people who died in her hospice, addressed to the Father: "He/she has a right to Heaven, because he/she is poor. Fr Camaioni, who had lived for the poor for so many years, must have had at least a complimentary ticket!

The Provincial wrote: "For anyone who had the grace to know and live with him, Fr. Camaioni was a sincere friend, and loved the Institute. He was a man who worked and prayed, but could also find time to be good company. He was a demon at cards, but it was the company that he enjoyed.

His illness was also a purification. He would say: .

During the final months, when the metastasis into the bones caused him terrible pain, he accepted it without complaint, as part of his missionary charism. He was even able to say: "

We can only bow our heads and thank God for him. Comboni, the apostle of those most in need, must have recognised an authentic follower in him, and welcomed him into the glory of the Kingdom, in the company of a crowd of joyful poor.

After the funeral in the chapel of the Ambrosoli Centre, his body was taken for burial in his home town.