Lunedì 31 marzo 2025
I comboniani sono una testimonianza vivente del legame fra Italia e Sudan. È nel territorio dell’odierno paese africano che oltre un secolo e mezzo fa è iniziata l’avventura del fondatore san Daniele Comboni, parte delle cui spoglie sono conservate nella capitale Khartoum e a cui nome è dedicato un college presso cui ogni anno, compresi questi di guerra, studiano migliaia di studenti sudanesi. [Testo: Nigrizia. Credit photo: NRC]
Solo cosa faremo per il Sudan potrà dire chi siamo
I comboniani sono una testimonianza vivente del legame fra Italia e Sudan. È nel territorio dell’odierno paese africano che oltre un secolo e mezzo fa è iniziata l’avventura del fondatore san Daniele Comboni, parte delle cui spoglie sono conservate nella capitale Khartoum e a cui nome è dedicato un college presso cui ogni anno, compresi questi di guerra, studiano migliaia di studenti sudanesi.
Questa relazione non può diventare lettera morta nel momento in cui questo popolo soffre di più, colpito da un conflitto che in due anni ha causato decine di migliaia di morti e 12 milioni tra persone sfollate e rifugiati all’estero. Deve tradursi in azione politica, trasformare l’inquietudine per una catastrofe in un messaggio da portare a chi ha il potere di fare qualcosa.
A partire dal luogo che ci è più vicino: un messaggio con cui interrogare le autorità del nostro paese, affinché si impegnino nei consessi internazionali nel promuovere una strada per mettere fine a una carneficina. E affinché si riconosca che un conflitto non è mai isolato, nelle sue ragioni e nelle sue conseguenze. Abbiamo deciso di agire quindi. Da dicembre scorso è iniziato un percorso che, tramite conferenze e manifestazioni di solidarietà, ci ha portato da Verona fino al parlamento, lo scorso 12 marzo.
Non lo abbiamo fatto da soli. Abbiamo camminato insieme a parte della diaspora sudanese in Italia e insieme a realtà che conoscono e che operano in Sudan da tempo, come la Comunità di Sant’Egidio e Medici senza frontiere. A Roma ci siamo riuniti per parlare di un documento che abbiamo consegnato al governo e al parlamento, la forma che abbiamo voluto dare a quel messaggio che avevamo urgenza di recapitare.
La priorità è salvare vite, per questo nel testo si chiede alle autorità italiane di spingere per un cessate il fuoco e perché forze armate sudanesi e Forze di supporto rapido (RSF) garantiscano l’accesso umanitario alla popolazione. Urgente al punto che da luglio scorso la parola carestia è tornata ad affacciarsi sui report delle organizzazioni umanitarie internazionali e dei loro sistemi di monitoraggio dell’insicurezza alimentare: è l’unica in grado di descrivere cosa sta avvenendo in aree come il Nord Darfur, e in modo particolare nel campo profughi di Zamzam.
Nel testo si chiede al governo italiano di impegnarsi su altri aspetti che più direttamente toccano la nostra responsabilità nel conflitto. Che senso ha lavorare per la pace se non si è disposti a regolare il commercio delle armi? A dare priorità ai diritti umani quando si fanno accordi con paesi terzi per gestire i flussi migratori, come non è avvenuto nel caso del Sudan dieci anni fa, col Processo di Khartoum di iniziativa europea?
A tutelare sempre, a ogni costo, il diritto d’asilo messo a repentaglio da un’orda di leggi nazionali e comunitarie che fanno pensare al peggio? Il tema non è la sola “pace”, parola che rischia l’eclissi sotto la sagoma dell’ipocrisia, il nodo centrale è «la visione di mondo che vogliamo immaginare», come suggerito dal missionario comboniano padre Jorge Naranjo alla conferenza in parlamento, in collegamento da Port Sudan.
Lungo tutto questo processo, l’imperativo è non dimenticare il popolo sudanese. Lo abbiamo fatto già una volta, quando nel 2019 la società civile del paese ha dato una lezione al mondo e contribuito a rovesciare un regime militare che era al potere da 30 anni, tornando a occupare spazi che sembravano dovessero esserle per sempre preclusi. Quell’impresa è stata cancellata da due golpe e una guerra. L’avessimo sostenuta di più, ora forse non avremmo bisogno di nuovi appelli per la pace.
NIGRIZIA - L’editoriale di aprile 2025
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Da Verona a Khartoum
L’iniziativa per il Sudan ha visto fin da subito il forte coinvolgimento della città scaligera. Il cammino è iniziato il 3 dicembre con una conferenza al polo Zanotto dell’Università di Verona. Una settimana dopo ci siamo ritrovati con bandiere e candele nella centrale piazza Isolo dopo aver ascoltato testimonianze dal Sudan dei missionari comboniani e di Emergency. A firmare il documento che è stato inviato al governo, oltre alla famiglia comboniana, Sant’Egidio e Msf, sono state anche Fondazione Missio, Libera, Movimento nonviolento, Il Centro missionario della diocesi di Verona, la Fondazione Toniolo Verona e l’aps scaligera, Il mondo di Irene.