Mercoledì 20 novembre 2024
Fratel Óscar José Araújo Gomes da Cunha [nella foto], missionario comboniano portoghese, è nato nel 1957. È cresciuto accarezzando il sogno di diventare un giorno missionario. Nel 1977, a vent’anni, è entrato dai Missionari Comboniani. In procinto di partire per un nuovo impegno missionario, nella comunità della Curia generalizia a Roma, ci offre la sua testimonianza.
«Dove sono nato, a Refoios, Ponte de Lima, era consuetudine che passassero i missionari. Sia io che molti giovani abbiamo partecipato agli incontri che organizzavano. È stato in questo contesto che Dio ha toccato il mio cuore, risvegliando in me il desiderio di concretizzare il sogno di essere missionario. Ho iniziato a partecipare a incontri per approfondire le motivazioni che mi spingevano a questo e, finalmente, sono entrato nella casa di formazione dei Fratelli Missionari Comboniani ad Aveiro.
Dopo le tappe formative del postulato e del noviziato in Portogallo, ho lasciato la mia terra per la prima esperienza missionaria in Italia, poi sono andato in Irlanda e infine in Kenya. Sono stati dieci anni di preparazione religiosa, professionale e culturale che mi hanno aiutato ad affrontare la missione.
Nel 1987 sono stato assegnato al Togo-Ghana-Benin, paesi dell'Africa occidentale. Ho vissuto questa sfida con delle difficoltà, ma anche con naturalezza. Si tratta di paesi che hanno la loro cultura, le loro lingue e i loro costumi. È un ambiente che non ha nulla a che vedere con “l'Africa dei leoni”. È un mondo culturale molto particolare, quello del Golfo del Benin, dove esistono anche religioni animiste con preti e sacerdotesse, novizi e novizie, conventi e altari consacrati agli dèi.
In tutto questo, ho trovato un popolo amichevole e accogliente. Ho trascorso dieci anni tra il popolo Ewe. È un popolo profondamente religioso, per il quale tutte le dimensioni della vita sono legate al culto. Con loro ho vissuto disposto più ad imparare che ad insegnare e, ancora di più, a condividere.
Arrivato il momento di tornare nel mio paese, ho passato cinque anni tra Coimbra e Maia. Poi, ho sperimentato un altro tipo di missione: un anno di formazione permanente in Sudafrica.
Pronto per una nuova tappa, sono stato mandato in Zambia, al Centro di Sviluppo Giovanile di Chikowa, dove si offre un’istruzione tecnica ai giovani più bisognosi, con vari corsi (agricoltura, edilizia, falegnameria...). Il lavoro non è mai mancato, ma la salute sì, è venuta meno. Tre anni dopo, quando ho dovuto lasciare la missione, la tristezza ha invaso il mio cuore.
Sono stato mandato in Benin, nella comunità del noviziato, dove, in media, venti giovani provenienti da varie parti dell'Africa francofona si preparano come futuri missionari.
Sento la nostalgia per le esperienze che ho vissuto nella missione oltre frontiera: la gente, l'ambiente, la Chiesa, la liturgia, non ci lasciano indifferenti. La missione, di cui lo Spirito Santo è protagonista, è sempre nuova. In essa, anche noi siamo rinnovati».