Campo missionario in Benin: “Il campo comincia quando finisce!”

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Lunedì 18 settembre 2023
Ci presentiamo. Siamo un gruppo di undici giovani provenienti da varie città italiane che quest’estate ha vissuto l’esperienza di un campo missionario in Benin, guidati da padre Sohouénou Cakpo Edènan Raoul, missionario comboniano originario proprio di questa meravigliosa terra, oggi animatore missionario nella comunità di Venegono Superiore (Varese).

Il nostro viaggio comincia tra le vie di Abomey-Calavi, 15 km da Cotonou (capitale finanziaria del Paese), ospiti in una struttura dei padri della Congregazione di Gesù e Maria, noti più comunemente come Eudisti. I primi giorni, lenti e di ambientamento, sono stati occasione per entrare fin da subito in contatto con la realtà locale. Tutto era nuovo, tutto era amplificato. Un viaggio all’insegna dell’incontro con l’“altro”. Ma di che “altro” parliamo?

Arrivare in questo paese – per tutti noi “straniero”, distante non solo geograficamente ma anche culturalmente – ci ha posti di fronte alla tentazione di guardare in maniera critica la diversità, come, ad esempio, nell’alimentazione, nelle tempistiche indefinibili, nei contrattempi all’ordine del giorno, nei disservizi pubblici...

Questa costante tentazione, tuttavia, è andata scemando, quando abbiamo fatto davvero esperienza dell’incontro con l’“altro”, con volti di persone che si sono fatte conoscere in maniera del tutto autentica. Stiamo parlando di Noël, un bambino che, nonostante la sua tenera età di due anni, non si mostrava affatto impaurito dalla nostra presenza. Anzi, quando ci vedeva, ci veniva incontro entusiasta e desideroso di giocare con noi, per non passare il tempo da solo, mentre la mamma era occupata nelle faccende domestiche della struttura dove abbiamo alloggiato la prima settimana. Assieme a lui, abbiamo incontrato Karl e Caridad, due fratelli che, nel periodo di vacanza, aiutavano la loro madre a preparare i pasti per noi, ma lo facevano con una tale dedizione e affezione per noi che ci hanno colpito molto.

Speciale è stata l’accoglienza che abbiamo ricevuto dai famigliari di padre Raoul ad Abomey-Calavi e Bohicon, così come quella di due famiglie della parrocchia di Fidjrossè, gestita dai comboniani a Cotonou, per il loro grande senso di ospitalità e di generosità nell’aprirci le porte di casa loro e offrirci dei pasti prelibati.

Tra le esperienze che non potremo dimenticare c’è proprio la prima messa alla Parrocchia di Fidjrossè, un grande momento di festa e, allo stesso tempo, di raccoglimento; il nostro primo e travolgente bagno tra le onde dell’Oceano; la visita alla città di Ouidah, tristemente famosa per la massacrante tratta degli schiavi destinati in sud America, come raccontato dal film The woman king.

Pensando ancora all’alterità, non possiamo dimenticarci di quella religiosa, poiché il Benin è un paese dove coesistono cristiani cattolici e protestanti, musulmani, praticanti della religione vudù e di altre religioni tradizionali. L’incontro con l’imam di Djougou ha segnato, senza dubbio, l’apice del dialogo interreligioso che siamo riusciti a creare, ascoltando con meraviglia come i cattolici e i musulmani stiano camminando nella pace, nel rispetto e aiuto reciproco, e come vivere in pace sia un obiettivo condiviso da tutti

Un altro incontro particolare è stato quello avuto con due rappresentanti della religione vudù a Ouidah: tra le molte cose che ci hanno raccontato, ci ha colpito soprattutto sentire come il vudù sia una religione che insegna a fare del bene, che punta all’unità, ad avere tutti un cuore solo e a sentirsi parte di un’unica famiglia, oltre che a ringraziare Dio per il dono della vita e per tutto ciò che si riesce a realizzare ogni giorno.

Il cuore del nostro viaggio sono stati i brevi ma intensi giorni di campo missionario a Toko-Toko, durante il quale abbiamo vissuto con 160 bambini, i cui volti e sorrisi resteranno indelebili nei nostri cuori, l’idea di “oratorio” attraverso la preghiera, le attività manuali, di gioco e semplicemente lo stare insieme.

Un’esperienza che tutti portiamo nel cuore è stato il pomeriggio trascorso con le famiglie dei villaggi vicini. Abbiamo sentito i loro racconti, visto le condizioni delle loro case e percepito che i veri problemi quali la fame e l’assenza di un sistema sanitario efficiente esistono, eccome, ma che la voglia di sorridere ed essere grati a Dio è comunque più forte di tutto.

Non possiamo certo dire di aver conosciuto a fondo le loro storie e le fatiche che incontrano nel quotidiano. Di una cosa però possiamo essere certi: l’attaccamento alla vita in loro è grande e si sente, ed è proprio nell’incontro interculturale che abbiamo ritrovato la comune essenza dell’essere umano.

Monumento detto all’“Amazzone”, una gigantesca statua (alta 30 metri) raffigurante una giovane guerriera beninese
(simbolo dell’amore, dell’impegno e della bravura delle donne del Benin nel difendere il loro gruppo etnico nel sud del Paese).

Abbiamo trascorso l’ultima settimana del nostro viaggio ad Abomey-Calavi, il luogo da cui eravamo partiti, alloggiando presso il seminario dei comboniani. Questi ultimi giorni sono stati occasione per visitare il centro Sönghai – una realtà agricola e produttiva all’avanguardia in tutta l’Africa –, passeggiare Porto-Novo , la capitale ufficiale del Benin, visitare il monumento detto all’“Amazzone”, una gigantesca statua (alta 30 metri) raffigurante una giovane guerriera beninese (simbolo dell’amore, dell’impegno e della bravura delle donne del Benin nel difendere il loro gruppo etnico nel sud del Paese), tenersi per mano nel caotico mercato di Cotonou, incontrare Grégoire al centro San Camillo dove persone con disabilità psichiche e fragilità, allontanate dalle famiglie di origine perché simbolo di stregoneria, vengono recuperate e reinserite nella società. Conoscere Grégoire è stato un vero privilegio: un uomo illuminato, che, come lui stesso ci ha detto: «Se non c’è Dio dietro tutto questo, chi altro può esserci?».

Concludiamo il nostro viaggio così come è partito, di fronte all’oceano, con l’orizzonte negli occhi, con abbracci che non vogliono finire, con gli occhi lucidi, e con tuffi che simboleggiano paure sconfitte.

Cosa ci portiamo a casa da questa Africa?

Sicuramente, tante domande. Domande che ci hanno accompagnato per tutto il corso della nostra esperienza e che non hanno trovato risposte, ma solo tentativi di svestirci dei nostri panni e provare a indossarne altri a noi sconosciuti; provando a guardare il mondo con gli occhi di questo popolo. Loro – l’abbiamo notato chiaramente – guardano il mondo dagli occhi del cuore. Quel cuore che sa andare all’essenziale, che sa curare le relazioni, che sa accogliere con calore smisurato, che sa godere del momento presente, che sa abitare il tempo in maniera più dilatata e più respirata, che sa far festa, gioire e ringraziare per un Dio che ci ama e ci dona la vita ogni giorno e ci dà ciò di cui abbiamo realmente bisogno, che è davvero molto meno di quanto il nostro mondo occidentale ci fa credere. Queste persone ce l’hanno mostrato e insegnato con la loro vita!

Ci portiamo un forte senso comunitario che abbiamo colto in questo popolo come elemento fondante il loro sistema valoriale e il loro vivere quotidiano e che, in parte, abbiamo sperimentato noi stessi nel nostro piccolo pezzo di cammino che abbiamo condiviso insieme come gruppo di giovani in missione. Nelle gioie che, condivise, straripavano e nelle fatiche portate insieme che si alleggerivano, ognuno di noi è stato quella mano che accoglie e l’altra che dona, in una catena in cui ogni anello è stato fondamentale per vivere l’esperienza che oggi possiamo raccontare. Ci portiamo un forte senso di ingiustizia e responsabilità. Abbiamo sfiorato anche il volto più amaro, più crudo, più duro di questo Paese, e questo non può più farci dormire sonni tranquilli.

Cosa possiamo fare noi, nel nostro piccolo? Ognuno si porta questa domanda, carica di un tormento buono che soltanto il tempo farà fruttificare in modi ancora a noi sconosciuti.

Quel che è certo è che c’è un prima e c’è un dopo l’Africa: il cosiddetto “mal d’Africa” esiste, e noi non possiamo dimenticare, non possiamo più essere gli stessi.

Il campo comincia quando finisce!

Un viaggio come questo è sicuramente difficile da raccontare. Speriamo, tuttavia, di avervi trasmesso un po’ di quell’essenza che non vorremmo se ne andasse mai via dalle nostre menti e dai nostri cuori.

E na cÉ› nuwe, grazie Benin!

A cura di padre Sohouénou Cakpo Edènan Raoul