Venerdì 26 marzo 2021
“Stavo lavorando come Vicario generale nella diocesi di Malakal ed ero – e sono – molto soddisfatto della mia vocazione e della mia vita di missionario. Credo che il Papa abbia scelto me perché c’era bisogno di una presenza giovane, energetica che ripercorresse le orme di Cesare Mazzolari (il precedente Vescovo di Rumbek, morto nel 2011. [Da allora la sede era vacante, ndr. Nella foto, cattedrale di Rumbek]
Era un Vescovo amatissimo dal popolo e i fedeli della diocesi chiedevano qualcuno in continuità, orientato sulla pastorale. Cesare era comboniano come me e spero di imboccare quella strada, con una risposta umana e umanitaria”. Si presenta così all’Agenzia Fides Mons. Christian Carlassare, il nuovo Vescovo della diocesi di Rumbek, il Vescovo italiano più giovane a servizio della Chiesa, da 16 anni in Sud Sudan. Lascia Malakal, nello Stato dell’Alto Nilo, e si immerge in una nuova realtà, nello Stato dei Laghi. La sua storia di passione per il Sud Sudan, quindi, continua e si approfondisce, nel solco di una presenza di vicinanza della Chiesa cattolica al più giovane Paese del mondo (creato nel 2011).
“Credo sia necessario fare un passo in avanti nella formazione catechetica, nell’ evangelizzazione. Il mio predecessore aveva dato vita a un primo centro catechistico, ma era un periodo molto difficile, prima dell’indipendenza. È arrivato il tempo di rilanciare l’opera pastorale e di evangelizzazione diretta. A Rumbek vivono un milione e 800mila persone, i cattolici battezzati sono 200mila mentre 800mila i protestanti. La Chiesa cattolica, in ogni caso, è vista da tutti i fedeli, anche di altre religioni, con grande rispetto, sia per la tradizione di vicinanza al popolo nei campi sociale e sanitario - oltre che di promozione della pace -, sia per quanto Papa Francesco sta portando avanti con il suo interesse costante verso il Paese. Per noi sarà fondamentale mettere al centro Cristo e favorire l’esperienza di Cristo. Si può avere tanta gente in chiesa ma percepire una limitata esperienza della presenza di Gesù”.
La giovane età di Mons. Carlassare è in linea con le esigenze di un popolo di fedeli molto giovane e di una popolazione che per più del 50% ha meno di 18 anni. Le nuove generazioni si stanno avvicinando con maggiore intensità alla fede cristiana.
“Da noi i cristiani rappresentano il 60% della popolazione, poi c’è un 8% di musulmani, e il resto animisti, per meglio dire, fedeli delle religioni nilotiche. Ciò che mi ripropongo di fare nei primi tempi della mia nuova missione è mettere su strutture diocesane che promuovano ministerialità per mettere a disposizione del Paese una Chiesa sempre più collaborativa, capace di valorizzare ciò che ognuno può offrire. E poi puntare sulla formazione dei catechisti e di chi si occupa della liturgia. La Chiesa deve essere fondata sul contributo dei laici, anche per il basso numero di ministri ordinati, possiamo puntare su piccole comunità cristiane fatte da laici, che fanno fatica, però, a crescere, non per incapacità, ma per il permanere del conflitto”.
La guerra resta il problema principale del Sud Sudan. Nonostante l’accordo di pace del 2018 e il tentativo di governo di unità nazionale inaugurato a novembre 2019 (che reggono ma restano estremamente fragili), resta il conflitto che insanguina il paese dal 2013, due anni dopo la proclamazione dell’indipendenza. Gli oltre 400.000 morti e i milioni di transfughi interni ed esterni, marcano ferite tuttora sanguinanti e spiegano la fatica di una ripartenza in cui sia la riconciliazione nazionale a dominare la scena.
“Tutta la popolazione si definisce ‘traumatizzata’ e si nota quotidianamente: c’è tanta paura, è molto difficile immaginare un programma a lungo termine. In questo senso la Chiesa gioca un ruolo fondamentale e, sebbene sia chiaro che siamo ancora lontani da uno stato di pace definitiva, vediamo con speranza gli ultimi sviluppi. Dal famoso bacio del Papa a Roma ai piedi dei leader politici convocati per la Pasqua esattamente due anni fa, molte cose sono cambiate ed è indubbio che i responsabili delle fazioni abbiano sentito nel profondo la responsabilità a superare le divisioni. Vediamo che c’è un impegno in campo politico. Ma persistono molti problemi: se a livello nazionale tutti parlano di pace, a livello locale le piccole comunità restano molto ferite da 8 anni di conflitto. Nell’Alto Nilo, ad esempio, c’è il grande problema della terra che scatena scontri tribali sui confini, ma è impensabile, come qualcuno chiede, dividere il territorio tribù per tribù. La Chiesa va oltre le tribù ed è presente tra tutti i gruppi, ma le scelte sono dettate più dall’economia che dai valori. Lo sfruttamento del petrolio è uno degli elementi più catastrofici”.
Oltre al noto gesto del Papa, che non perde occasione di parlare e invocare riconciliazione per il Sud Sudan, la Chiesa promuove un’azione capillare di promozione della pace: “Vi sono uffici di Giustizia e Pace nelle diocesi che incontrano le comunità locali e cercano di risolvere le divisioni con un approccio evangelico. Gli operatori raccolgono inoltre informazioni su ciò che accade, le ingiustizie perpetuate e, oltre a provare a sanarle, le riportano al governo anche come riflessione e segnalazioni. Per noi è fondamentale inserire persone con una formazione cristiana all’interno delle realtà che si occupano della amministrazione della giustizia. Poi c’è un forte impegno a livello nazionale grazie al Consiglio Ecumenico delle Chiese, molto attivo anche nei processi di cura dei traumi.
Vi sono molti esempi concreti di come la Chiesa agisce sul territorio per favorire la pace. C’è la Malakal peace iniziative, organizzata da gruppi ecclesiali per favorire il dialogo tra etnie Scilluk e Denka. Alcuni progetti hanno avuto un incredibile successo riuscendo a mettere insieme persone che non si erano mai incontrate prima. Il Vescovo emerito mons. Paride Taban, poi, ha promosso il 'Kuron peace village', un villaggio dove persone di diverse tribù vivono e lavorano insieme pacificamente. Vi sono, inoltre, tutte quelle situazioni in cui le scuole gestite dai religiosi accolgono giovani da tutto il paese dove c’è armonica convivenza, al di là delle diverse appartenenze tribali”.
Comincia la nuova avventura di un Vescovo giovane in un popolo giovane, con una missione importante, a cominciare dalla conquista della fiducia della sua nuova gente: “Sono rimasto meravigliato dai tanti messaggi di apprezzamento da tantissime persone, soprattutto dai giovani. Per prima cosa mi metterò in ascolto degli agenti pastorali, i preti diocesani, i catechisti e poi dovrò immergermi per identificarmi con questo popolo”, conclude.
[LA – Fides]
I martiri umanizzano il mondo. «Durante la quaresima siamo sempre chiamati a fermarci e a guardare ai missionari martiri. Siamo chiamati a guardare a coloro – spiega monsignor Christian Carlassare, vescovo eletto di Rumbek – che hanno donato la propria vita fino al sangue per amore di Gesù Cristo e per dire no alla violenza che spezza la fraternità». Carlassare, comboniano nato nel 1977, è il più giovane vescovo italiano. Opera in Sud Sudan dal 2004, l’anno in cui è stato ordinato sacerdote. Nella Giornata dei missionari martiri «mi sono fermato un momento – racconta – per fare memoria della giovane storia del Sud Sudan così marcata dalla violenza e dal conflitto. Quanti giovani hanno perso la vita ingiustamente: alcuni l’hanno smarrita con le armi in mano ingannati da una sterile propaganda, ad altri è stata tolta perché si sono opposti alla legge del più forte, perché hanno creduto nella dignità di ogni persona nonostante l’appartenenza tribale, perché hanno aspirato a una nazione equa, solidale e in pace».
Il sogno della pace per questa terra è ancora lontano. «Fino a oggi ci sono giovani armati fino ai denti per proteggere il proprio bestiame, la propria terra, il proprio clan e contribuiscono ad aumentare la spirale di violenza disumanizzando sé stessi e il Paese. In questi giorni, nel territorio di una parrocchia della diocesi di Rumbek, ci sono stati più di 70 morti in scontri fra milizie formate da giovani». C’è chi soddisfa la propria sete di vendetta e chi si sforza di seminare il bene. «Il popolo accetta il martirio tutti i giorni: perdere tutto pur di non rispondere al male con il male».
Chi non si è affidato alle armi «ha contribuito a umanizzare e rendere più bello il Sud Sudan, un Paese in cui la vita è talmente messa a dura prova, che solo la solidarietà vissuta può preservarla e promuoverla. Ecco allora che sono proprio le persone come i martiri, e non altri, ad umanizzare il mondo. Manteniamo viva la nostra preghiera per la pace in Sud Sudan. Camminiamo verso la vita nuova della Pasqua».
Nella Cattedrale di Rumbek si prega sulla tomba di monsignor Cesare Mazzolari (1937 – 2011), anche lui missionario comboniano, che è considerato tra i padri fondatori della nazione sorta il 9 luglio del 2011 dopo l’indipendenza dal governo di Khartoum. Prima come amministratore apostolico e poi come vescovo di una Diocesi grande come la Lombardia e il Veneto messi insieme e con cinque milioni di abitanti, Mazzolari condivise la tragedia di un popolo piegato dalla guerra civile e si impegnò per la riconciliazione. Lavorò per la pace e a più riprese sensibilizzò la comunità internazionale. Padre Carlassare ha accolto, quindi, «una responsabilità grande che fa anche un po’ paura. Ma l’affetto e la gioia che ha suscitato non solo in Italia, ma anche fra la gente di Rumbek che mi conosceva poco, mi incoraggiano nel ministero che mi sarà chiesto. So che il Signore sarà sempre presente per aprire la strada e conto che molte persone si metteranno in cammino con me…».
In questo tempo così incerto arrivano, comunque, delle buone notizie. A Naivasha (Kenya) si sono conclusi i negoziati per il cessate il fuoco tra il governo del Sud Sudan e i due gruppi che non avevano firmato il Rarcss (Revitalised Agreement). Una notizia positiva in un continente, quello africano, che continua a essere meta privilegiata per l’esportazione di armi, anche italiane, che alimentano le tensioni.
Nel frattempo la gente continua, purtroppo, a morire di fame. Save the Children ha lanciato un appello per un’azione immediata: solo così, infatti, si può evitare la morte di migliaia di bambini. La crisi alimentare ha colpito 6,5 milioni di persone, il 53% della popolazione. Diverse le cause: le alluvioni del luglio scorso, le violenze tra le comunità e le conseguenze del Covid-19.
[Luciano Zanardini - Lastampa-vatican-insider]