In un primo momento, una volta eretto il Vicariato dell’Africa Centrale nel 1846, qualcuno pensa di arrivarci attraversando la Libia e il Ciad. Poi invece si sceglie la via più “facile”, che dall’Egitto risale il corso del Nilo. È il percorso fatto da Comboni, al cui Vicariato appartiene anche il territorio del Ciad. Sottratto alla sua giurisdizione nel 1878, il Ciad viene restituito al giovane istituto comboniano agli inizi del 1900. I Figli del Sacro Cuore di Gesù ad un certo punto chiedono di stabilirsi nella parte centrale del paese. Il governo locale risponde di non avere obiezioni, purché i missionari siano… francesi! Non ce ne sono, e così non se ne fa nulla…
Mezzo secolo più tardi, nel 1973, sono le suore comboniane a varcare per prime i confini del Ciad. Cominciano a Djoli, nella diocesi di Sarh, nel sud del paese. Nel 1974 vanno a Danamadji. Si dedicano all’animazione parrocchiale, azione cattolica, catechesi, servizio sanitario nei villaggi. Nel frattempo, il gruppo dei comboniani in Centrafrica appoggia la richiesta di qualche vescovo che li vorrebbe a lavorare in Ciad. L’instabilità sociale e politica dell’Africa, la minaccia di espulsioni in Uganda e la prospettiva di collaborazione con altre forze missionarie consigliano all’istituto una strategia di presenze in gruppi numericamente ridotti ma distribuiti in più paesi africani.
Nel 1975 il Capitolo Generale autorizza l’espansione comboniana in Ciad. E' il 1977 quando i comboniani arrivano a Moissala. L’anno seguente sono a Bedjondo, dove verranno raggiunti dalle suore comboniane. Poco dopo vanno a Doba. Kassai e Bégou, due zone di periferia della città di Sarh accolgono i comboniani nel 1983 e ’84. La metà degli anni ’80 sono particolarmente duri per il paese, colpito dalla carestia e sconvolto dalla guerra civile. In varie località i missionari si trovano in difficoltà, condannano i massacri e sono minacciati di espulsione. Padri, fratelli e suore restano a fianco della gente, segno di speranza e sostegno di tutti, senza distinzione di credo religioso.
A Bedjondo, nel 1984, la situazione è tale che le suore devono abbandonare la missione. Poi tocca ai padri, di notte, su un carretto. Tornano dopo quasi due anni. La carestia ha fatto circa 3.500 vittime, ma si riprende daccapo, con coraggio, ad aiutare tutti. All’assistenza infermieristica, le suore aggiungono la guida di una école ménagère, quanto mai utile e preziosa. L’ultimo decennio vede le Suore stabilirsi a Bebedja (’93), Sarh (’99) e Deressia (2003), mentre i comboniani aprono Bodo (1997) e Bendoné (2001), estendono il loro raggio di azione a Lai-Deressia (2000) e danno inizio al postulato di Sarh (2000). Nella nuova diocesi di Lai, retta come quella di Doba da un vescovo comboniano, viene aperta nel 2003 la comunità di Dono-Manga. Quasi contemporaneamente, una nuova presenza in un quartiere musulmano della capitale N’djamena (2002) cerca di favorire l’incontro e il dialogo fra cristiani e musulmani.
Giuridicamente, il gruppo comboniano in Ciad è rimasto unito al Centrafrica fino a luglio del’89, divenendo in seguito Delegazione e quindi, nel 2002, Provincia autonoma. Non c’e dubbio che quella comboniana in Ciad è missione di prima evangelizzazione, in fedeltà al carisma e al Piano di Comboni, in un’area storicamente appartenente al suo immenso vicariato. Suore, sacerdoti e fratelli continuano l’opera del fondatore, nella cura pastorale e nello sviluppo sociale, sanitario e scolastico delle popolazioni loro affidate, in collaborazione con la giovane Chiesa locale.
A poco a poco la delegazione è cresciuta. Il 15 aprile 2001 fu emanato il decreto di erezione della provincia del Ciad, formata da trenta comboniani di undici nazionalità diverse, con un’età media di 42 anni. Il 1 gennaio 2014 il Ciad è ridiventato Delegazione con 25 membri di 13 nazionalità. Secondo gli ultimi dati, i 28 comboniani presenti in Ciad sono di 15 nazionalità.
La situazione del Ciad, paese cerniera fra mondo musulmano e Africa subsahariana, li spinge ad un impegno più qualificato nel mondo islamico, mentre la realtà quotidiana di ingiustizia e violenza è un richiamo per un maggior impegno nel campo della giustizia e della pace. La collaborazione con le Chiese locali si sta muovendo dall’ambito della pastorale parrocchiale a servizi specifici di carattere diocesano con un respiro più ampio, come quello apprezzato della radio. In un paese diviso, acquista particolare importanza la formazione degli agenti pastorali. Laici, uomini e donne, ma anche seminaristi e clero che sappiano collaborare con gente di altre etnie.