Aveva appena due anni il piccolo Giuseppe quando papà Rinaldo lasciò quasi improvvisamente questo mondo stroncato da “un’ulcera intestinale con perforazione”.
La mamma, Bertoldi Chiara, si trovò improvvisamente in una situazione dolorosa. Fortunatamente intervenne la famiglia, una famiglia profondamente cristiana e onesta, che crebbe i tre orfanelli (il futuro missionario era il secondo). Lo zio Giacomo divenne tutore dei tre piccoli. Infatti sarà lui a dare il permesso a Giuseppe di entrare nel seminario missionario di Padova.
Giuseppe crebbe buono e sempre piuttosto riservato. Ancora prima di ricevere la Prima Comunione era chierichetto e dimostrava un grande attaccamento alle pratiche di pietà e al servizio dell’altare. Con i compagni e i fratellini stava sempre “un passo indietro”. A scuola riusciva bene per cui il parroco pensava già di mandarlo in seminario riconoscendo in lui la stoffa del sacerdote.
Tra le letture preferite di Giuseppe c’era il “Piccolo Missionario” e qualche libro che il parroco gli passava. Intanto in paese ci si preparava ad un avvenimento importante: la prima Messa di P. Santo Pizzocolo, Missionario Comboniano, ordinato il 4 aprile 1942. Il piccolo Giuseppe prese parte a tutte le iniziative e a quella preparazione spirituale che il parroco raccomandava perché la festa riuscisse bella e fruttuosa.
La vocazione
In un’intervista rilasciata a Brescia nel 2002, durante le sue ultime vacanze in Italia, P. Valente scrive: “La vocazione missionaria è sorta nel mio cuore il giorno in cui il mio compaesano P. Santo Pizzocolo, celebrò in paese la prima Messa. Anzi, fu proprio P. Pizzocolo a ‘reclutarmi’, allorché, chierichetto di 12 anni, servivo all’altare. D’accordo con la mamma e con il parroco, mi fece entrare nella scuola apostolica dei Comboniani di Padova. Questo momento di grazia era stato preparato da una serie di letture missionarie alle quali mi dedicavo con vera passione, in special modo il Piccolo Missionario”.
Il parroco, formulando un giudizio sul giovinetto, scrisse: “È buono, molto riservato, fin troppo serio e quieto. È poco vivace, ma ciò dipende dal fatto che è nel periodo della crescita. Partecipa quotidianamente alla santa Messa, non è mai andato a zonzo, ama la preghiera e le pratiche di pietà, con gli altri è molto rispettoso. La famiglia del padre è ottima sotto tutti gli aspetti; quella della madre non la conosco perché è di Recoaro, Vicenza”.
Lo zio Giacomo, dandogli il permesso di entrare in seminario, aggiunse. “Nel contempo dichiaro che, qualora mio nipote non fosse trovato idoneo alla vita missionaria, sono sempre disposto a riprenderlo in famiglia”.
Dopo le medie a Padova, Giuseppe passò a Brescia per il ginnasio. Nel gennaio del 1947 il nostro giovane fu colpito da un’influenza che degenerò in broncopolmonite. Il superiore, scrivendo ai familiari, disse: “Al fine di poter assicurare una maggior assistenza al caro ammalato, pensammo più tranquillizzante farlo ricoverare all’ospedale civile. Pensiamo che la malattia si abbia a svolgere bene e che fra pochi giorni sia completamente fuori pericolo. A buon conto sarà mio preciso dovere tenervi bene informati… P. Angelo Dell’Oro”.
Per una buona convalescenza, Giuseppe fu inviato in famiglia. In data 14 febbraio 1947 scrisse ai superiori: “Il viaggio è andato bene. La macchina mi ha portato fin davanti alla porta di casa. Ho riveduto con molta gioia tutti i miei cari, soprattutto la mamma… Spero di rimettermi in breve tempo in modo da poter tornare al caro Istituto…”.
Giuseppe guarì perfettamente per cui, il 23 settembre 1948, andò a Gozzano in provincia di Novara, per il noviziato. Fu accolto da P. Giovanni Giordani, maestro dei novizi, che lo trovò “flemmatico, lento, riservato e di non molte parole. Tuttavia si è messo subito con buona volontà per progredire nell’acquisto delle virtù del buon missionario”.
Dopo un anno i superiori lo mandarono in Inghilterra, sia per concludere il noviziato e sia per imparare la lingua. P. Vittorio Albertini completò in lui la formazione per cui il 9 settembre 1950 emise la professione religiosa pronunciando i voti di povertà, castità e obbedienza che lo consacrarono missionario. Frequentò il liceo parte a Sunningdale (1950-1952) e parte a Stillington (1952-1953). Frequentando l’Università di Oxford si diplomò in latino, italiano e lingua inglese.
Nel Sudan meridionale
Per la teologia ritornò in Italia, precisamente a Venegono Superiore, dove i Comboniani avevano il loro scolasticato. Fu ordinato sacerdote a Milano il 15 giugno 1957 dall’arcivescovo Mons. Giovanni Battista Montini.
Dopo due anni di insegnamento ai novizi di Firenze (1957-1959), venne inviato nel Sudan meridionale come insegnante nel seminario del Bussere, del quale poi fu anche padre spirituale. Ma P. Valente fu anche missionario di prima linea, impegnato nell’assistenza ai catecumeni che si preparavano al battesimo. Periodicamente si dedicava alle visite ai villaggi dove incontrava gli anziani e i malati ai quali distribuiva medicine, coperte e vestiario.
Nel 1955 era iniziata la guerra tra i Neri del sud contro gli Arabi del nord. Nel 1956 il Sudan raggiunse l’indipendenza dall’Inghilterra e per le missioni cominciò una sorda persecuzione. Alcuni missionari furono espulsi, altri imprigionati, tutti furono soggetti a gravose restrizioni.
Nel 1964 tutti i missionari e le suore furono espulsi nel giro di 24 ore. P. Valente era con loro. La Chiesa del Sudan meridionale si trovò con un solo vescovo africano, Mons. Ireneo Dud e una ventina di sacerdoti che, essendo sudanesi, non potevano essere espulsi. Molte fiorenti missioni furono requisite dai soldati, altre andarono in rovina.
P. Valente venne inviato in Canada (1964-1970) con l’incarico di parroco della parrocchia di San Jean de Quebec. “Sono molto contento di essere in Canada, soprattutto perché so di compiere la volontà di Dio e dei superiori. Ho sempre creduto che proprio in questo stia la gioia di essere missionari. La nostalgia dell’Africa, che non mi ha ancora abbandonato, e credo che non mi abbandonerà mai, non mi diminuisce questa gioia. I miei parrocchiani sono in gran parte buona gente, attaccati alle tradizioni cristiane, nonostante le più svariate origini (giugno 1965)”.
Il suo carattere calmo, gentile, sempre accogliente e paziente apparve subito come una qualità importante per la formazione. Così i superiori lo mandarono a Monroe, negli Stati Uniti, come padre maestro dei novizi (1966-1968).
Con lo stesso incarico di padre maestro passò poi a Cincinnati (1968-1970) sempre negli Stati Uniti. Passando in rassegna le numerose lettere scritte in questo periodo, vediamo la lotta per adeguare le aperture del Concilio Vaticano II alle nuove esigenze dei giovani che aspiravano alla vita missionaria. Scrisse addirittura un nuovo regolamento per il noviziato che sottopose ai superiori. “Cerco di aprire leggermente la porta verso qualche esperimento di aggiornamento nel nostro noviziato, nella speranza di trovare sostegno nei superiori piuttosto che semplici censori… Un altro caro sogno che spero sia vicino alla realtà: l’unione con i confratelli tedeschi. Che bella “challange” per la nostra Congregazione in questi tempi! (18 marzo 1967)”.
Dobbiamo dire che questi furono anni difficili, impegnativi e che procurarono a P. Valente non poca sofferenza. Ma egli seppe sempre governare la barca con polso fermo, accogliendo il nuovo senza rigettare totalmente i valori che venivano dalla tradizione antica.
In Scozia
Negli Stati Uniti P. Valente diede un’ottima prova di sé tanto che i superiori pensarono di mandarlo ad Androssan, in Scozia, per animare quel noviziato comboniano. Passando per Roma fece tappa per acquisire il diploma di pedagogia presso il Pontificio Ateneo Salesiano. Capiva che per trattare con i giovani, la preparazione non era mai sufficiente. Giunto in Inghilterra si diplomò in scienze psico-pedagogiche e acquisì il certificato generale di educazione che gli sarebbe servito per l’insegnamento. Dal 1971 al 1974 fu padre maestro dei novizi inglesi, prima ad Androssan e poi, mentre ristrutturavano quella sede, a Mirfield, ma si dedicò anche alla promozione vocazionale e al ministero.
Intanto il desiderio di tornare in Africa si faceva sempre più sentire nel suo cuore. Finalmente, il Superiore Generale, P. Tarcisio Agostoni, gli propose di andare in Uganda a sostituire P. Pietro Zuani che avrebbe preso il suo posto di padre maestro in Inghilterra. P. Valente, in data 24 aprile 1974, rispose: “Sono più che contento di andare a sostituire P. Zuani in Uganda. Spero che non ci siano difficoltà per le pratiche”. Il Superiore Generale gli rispose: “Approfitto di questa occasione per ringraziarti di quanto hai fatto per la Congregazione in questi anni, sia in Canada, come negli Stati Uniti e in Inghilterra. Il Signore ricompensi il tuo lavoro e ti dia una grande gioia e una grande fecondità nel tuo futuro apostolato di missione”.
Il difficile mestiere del formatore
Finalmente nel 1975 P. Valente poté partire per l’Uganda. Sua prima tappa fu la missione di Warr-Zeu come vice parroco, tra gli Alur. Vi rimase tre anni. Nel 1979 i superiori lo mandarono in aiuto a P. Giovanni Marengoni che aveva fondato la Congregazione degli Apostoli di Gesù, sacerdoti e fratelli africani, con sede a Moroto in Uganda. Cooperò con P. Marengoni dal 1978 al 1989, come formatore di quei giovani, quindi passò come superiore locale e formatore nel Postulato di Jinja, fino al 1991.
Dopo un “anno sabbatico” a Kasaala per aggiornarsi, P. Valente fu inviato a Namugongo come vice padre maestro dei novizi. E vi rimase fino alla morte.
Namugongo si trova a circa 10 chilometri da Kampala. Lì, nel 1886 furono bruciati vivi la maggior parte dei martiri ugandesi. Oggi affluiscono continuamente pellegrini al santuario eretto alla loro memoria.
Il noviziato, raccoglie giovani dalle varie parti dell’Africa anglofona, del Sud Africa e del Sudan. Arrivano a Namugongo dopo tre anni di formazione comboniana nei loro paesi di origine per cui, idealmente, hanno già avuto una certa preparazione per convivere con giovani di altre tribù.
Il lavoro, molto delicato, di P. Valente e del padre maestro, consisteva nell’aiutare i giovani ad una mutua accettazione nello spirito del Vangelo superando il tribalismo che tanti danni ha prodotto e produce all’Africa. Scrisse a questo proposito P. Valente: “Siamo chiamati a vivere come fratelli che si accettano dal profondo del cuore per amore di Cristo e della comune chiamata al carisma missionario di Comboni che voleva che i suoi missionari vivessero come cenacolo di apostoli. Tra i novizi possono sorgere dei conflitti per diversità di cultura, mentalità e carattere. Aiutandoli, cerchiamo di portarli ad integrarsi nella comunità e ad allargare il loro cuore a tutti attraverso la pazienza, la tolleranza e il perdono. Non è raro il caso di chi deve essere consigliato di tornare a casa, proprio per questa incapacità ad integrarsi serenamente con gli altri. Credo che questo sia uno dei punti più difficili per la loro vita consacrata in un Istituto missionario e internazionale come è quello dei Comboniani.
Un altro problema è quello del distacco dalla famiglia e dal clan. I sacerdoti e i religiosi africani si sentono spesso in dovere di aiutare i familiari, che molte volte sono in situazioni di povertà e di urgente necessità. Non è facile, ma dobbiamo ottenere una certa garanzia da parte dei familiari che, in futuro, non dovranno aspettare aiuti dal loro familiare Comboniano.
Un altro punto difficile è la pratica della povertà religiosa: la formazione al distacco dalle cose materiali, la dipendenza dai superiori, il rendere conto dell’uso del denaro…
Lo spirito di obbedienza e cooperazione con la comunità è un altro punto delicato che spesso costituisce un criterio importante per la non accettazione di giovani nella comunità comboniana. Questo porta ad un altro punto difficile: l’educazione alla franchezza e all’apertura con i superiori e con i confratelli. Come percentuale di riuscita l’esperienza di questi anni ci ha detto che, dei nostri giovani, giunge al sacerdozio il settanta per cento. Una buona percentuale. Inoltre i Missionari Comboniani africani sono disposti ad andare in qualsiasi parte del mondo dove i superiori li vorranno mandare”.
Con i ragazzi di strada
Oltre che formatore dei futuri missionari africani, P. Valente ha dedicato una buona parte del suo tempo ai ragazzi di strada che anche in Uganda sono tanti. A questo proposito sentiamo quanto lui stesso ha scritto: “Nella mia piccola esperienza tra i ragazzi di strada di Kampala, che condivido abbondantemente con i nostri novizi Comboniani africani, dispongo anche di un modesto fondo per le necessità più urgenti (alloggio, cibo, indumenti, medicine) grazie ai benefattori italiani. Ma si sente più urgente il bisogno di offrire a questi poveri ragazzi, figli di nessuno, che aumentano a dismisura in tutte le metropoli del Terzo Mondo, delle persone capaci di dedicarsi a loro con vera dedizione e disinteresse, capaci di amarli davvero e così educarli all’amore, alla stima di sé, all’autocontrollo. Queste persone non sono facili a trovarsi in una città come Kampala dove chi è fortunato da avere una buona educazione e un buon lavoro generalmente pensa solo a se stesso. Persone di questo genere, laggiù, sono difficili da trovarsi anche tra il clero, i religiosi e i missionari. Questi ultimi perché preferiscono in genere vivere lontano dalle grandi città, tra i boschi e in villaggi sperduti dove mancano del tutto i sacerdoti anche per la prima evangelizzazione.
Mentre le zone rurali si vanno spopolando, le periferie delle città continuano ad espandersi con i problemi che un urbanesimo forzato produce”.
In una lettera del 1998, con molta umiltà P. Valente afferma: “Non è che abbia realizzato gran che in favore dei ragazzi di strada, ma bazzico spesso fra loro e mi sono affezionato a loro. Quando ho dei mezzi, sono più che felice di venire incontro ai loro bisogni che sono tanti. Ciò che maggiormente turba questi ragazzi è l’incertezza del loro domani. Cosa faranno? Dove andranno? Quale sarà la loro esistenza?”.
In questo suo lavoro P. Valente si faceva aiutare dalle suore ugandesi che, pur poverissime e prive di mezzi, accoglievano i ragazzi che egli portava loro, magari sottraendoli al carcere, tentando di offrire loro un’istruzione, un po’ di cibo e un vestito.
Dobbiamo dire che la gente del suo paese, Castelgoffredo, è sempre stata vicina a P. Valente e lo ha aiutato in questo suo apostolato di carità. Il suo sogno era quello di offrire almeno “un piatto caldo” ai ragazzi di strada che incontrava nelle sue peregrinazioni, perché “non si può parlare di Dio e della Madonna a gente con lo stomaco vuoto”, ripeteva nella sue lettere. Per aiutarlo a realizzare questo sogno, a Castelgoffredo, accanto al gruppo missionario, da nove anni è sorto un secondo gruppo di persone denominato “Per un piatto caldo” che si propone di versare annualmente una quota a favore dell’iniziativa.
In paese è ancora vivo il ricordo di quel 26 luglio 1998, quando Mons. Agostino Baroni, arcivescovo emerito di Khartoum, venne da Bologna per presenziare la cerimonia durante la quale fu offerta a P. Valente la somma di 20 milioni di lire da parte della Cassa Rurale e Artigiana. Alla fine, Mons. Baroni prestò la propria voce a P. Valente, che era in Africa, per ringraziare la popolazione.
Una personalità completa ed equilibrata
Importante è la testimonianza di P. Guido Oliana, superiore provinciale d’Uganda, su P. Valente. Egli scrive: “P. Valente era una persona calma e tranquilla, ma sapeva dire la sua quando ce n’era bisogno. Quando era tra gli Alur, scrisse al provinciale lamentando la mancanza di dialogo e di ponderazione nelle decisioni: ‘Sembra che abbiate una scarsa visione dei problemi delle singole comunità e loro membri nonché delle difficoltà che esse devono affrontare in seguito a certi spostamenti, e questo è grave sopratutto per ciò che concerne i problemi della pastorale. C’è un po’ l’impressione che parecchie decisioni non procedano dal dialogo ma da una certa arbitrarietà”. Tuttavia era disposto ad obbedire manifestando fiducia nei superiori.
P. Valente era molto ordinato. La sua scrittura nitida e regolare, l’ordine e la precisione che aveva nella sua stanza, ne sono una testimonianza. Dopo la sua morte, quando il padre maestro di Namugongo, P. Pierpaolo Monella, dovette cercare degli importanti documenti, trovò tutto in perfetto ordine.
Quando era necessario, P. Valente sapeva chiedere consiglio. Descrivendone la personalità, P. Monella sottolinea che “nonostante l’età, quando si trovava nel dubbio, non esitava a chiedere consigli e pareri a gente molto più giovane di lui, condividendo apertamente anche certe sue difficoltà”. P. John Baptist Opargiw, che fu suo collaboratore in formazione nel Postulato di Jinja, scrive: “Ho imparato molto dalla sua leadership umile, saggia e senza pretese. Molti ne sentiranno la mancanza”.
Amore alla missione
P. Valente amava molto la missione. Dopo l’esperienza di padre maestro negli Stati Uniti e in Inghilterra, poté finalmente ritornare con gioia in Africa per rendersi disponibile al servizio missionario. Nel 1974, in attesa di andare in Uganda, espresse al provinciale la sua ansia apostolica. “L’unica mia speranza è quella di potermi rendere davvero utile alla Chiesa e missione ugandese”.
La lontananza dalla missione per motivi di salute gli pesava parecchio. La sentiva come una croce. In una lettera del 1990, scrivendo al provinciale di quell’epoca, disse: “Si tratta di una questione di salute. È da un paio di mesi che sono sotto cura per la pressione alta. Questo mio ritardo è una vera croce per me, ma la offro volentieri al Signore per le nostre missioni e seminari in Uganda, specialmente Jinja”.
Nel 2000 fu costretto a rientrare in Italia per problemi di salute. Nell’attesa di una soluzione, sente la mancanza dei novizi e dei suoi ragazzi di strada, ma si affida con fiducia alla volontà del Signore: “Sono molto dispiacente del disagio che sto causando ai membri della comunità, e al padre provinciale, ma questa croce la porto tutta per voi e i cari novizi. Sento molto la vostra lontananza e vorrei pregare che il Signore mi faccia tornare presto. Ma si faccia la volontà di Dio. Egli conosce il meglio. Lascio tutto nelle sue mani”.
Uomo di intensa spiritualità
Come si può rilevare dalle espressioni sopra riportate, P. Valente era un uomo profondamente spirituale e, nello stesso tempo, molto umano, legato da affetto alle persone, a cui prestava servizio. Nel momento della degenza ospedaliera, a Verona, nel 2000, scrive ancora: “In questi miei mesi di ‘esilio’ non c’è stato nulla di esilarante esteriormente: solo lunga attesa, nascosta ed orante, con il buon Dio che non ha cessato di essermi maestro, compagno e conforto nel Figlio suo dilettissimo. Il Signore ha cercato di educarmi ad essere un suo buon paziente, ma ho notato che i nostri novizi mi possono facilmente battere in docilità.
Comunque ti invito a ringraziare il Signore per tanta sua bontà verso di me e per avermi scelto questa forma di celebrazione giubilare: conversione, peregrinare, unione più intima col Redentore: tutto ad majorem Dei gloriam e per i nostri novizi”.
Indirizzandosi al cardinale di Kampala nel 2001 a proposito del suo centro per il recupero dei ragazzi di strada chiede la benedizione di Dio ed esprime, come buon Comboniano, il suo interesse per i più poveri: “Invochiamo la benedizione di Dio sul nostro umile progetto, frutto della nostra preoccupazione per i più poveri”.
P. Monella evidenzia l’impegno di P. Valente nell’apostolato con i ragazzi di strada: “Il suo impegno pastorale era soprattutto volto al recupero di ragazzi e giovani di strada. In questo campo P. Valente diventò presto una figura significativa in tutta Kampala. Infatti la sua intuizione, la sua saggezza e pazienza l’avevano reso ben presto un punto di riferimento anche per altri centri di accoglienza e di recupero di ragazzi, che incominciavano a sorgere in varie parti della città.
Negli ultimi quattro anni si era concentrato su un nuovo centro di recupero di cui era il direttore (a livello ufficiale), padre e nonno (a livello di rapporti con il personale e i ragazzi). Il giorno della sua morte, avvenuta durante la notte, trascorse parecchie ore in questo centro, discutendo, pianificando e stando in mezzo a quei bambini, che gli si stringevano attorno e gli trasmettevano tanta gioia; una gioia che ha portato con sé nella vita eterna come frutto di quel servizio umile, generoso e silenzioso, che ha mostrato fino alla fine”.
Nella volontà di Dio c’è l’amore di Dio
Il provinciale, P. Guido Oliana, rievocando la figura di P. Valente nell’omelia funebre, ha aggiunto tra l’altro: “Ammirai P. Giuseppe specialmente in occasione della morte cruenta di P. Mario Mantovani e Fr. Godfrey Kiryowa, durante la mia assenza dall’Uganda per il Capitolo Generale. Come vice-provinciale mostrò coraggio nell’affrontare l’insicurezza del Karamoja per raggiungere Kanawat per potere attendere al funerale dei due confratelli.
Accompagnò nel ritorno la salma di Fr. Godfrey, suo ex-novizio, fino a Kasaala dove fu sepolto. Apprezzai il suo spirito di solidarietà, che mostrava in particolare nel suo grande amore per i ragazzi di strada. Con la morte improvvisa di P. Valente, umanamente abbiamo perso una persona buona e un esperto formatore. Spiritualmente abbiamo guadagnato un intercessore per le difficili situazioni di formazione che abbiamo nei nostri Istituti comboniani. I ragazzi del Centro, qui presenti, sono oggi le persone più importanti. Umanamente, essi hanno perso un caro papà, che li ha amati e si è davvero interessato a loro, ma spiritualmente hanno guadagnato un protettore in cielo”.
La vita di P. Valente può essere riassunta da una delle sue frasi incisive, ricche di saggezza e spiritualità, pronunciata negli ultimi giorni: “God’s will is God’s love”, nella volontà di Dio consiste l’amore di Dio. Questa frase davvero sintetizza tutta la vita di questo confratello, che ci ha lasciato un esempio vissuto delle beatitudini.
Riposa in Africa
Pur non avendo una grande salute, P. Valente ha sempre lavorato con entusiasmo e dedizione fino all’ultimo giorno della sua vita. Scrive P. Dal Fovo, suo compagno di missione: “P. Giuseppe Valente se n’è andato com’era vissuto, senza far rumore, alla chetichella. Ha lavorato molto, con zelo e metodo, instancabilmente, ma sempre con modestia ed umiltà.
Negli ultimi quindici anni fu anche consigliere provinciale e vice provinciale. Il suo ministero ‘fuori casa’ era rivolto soprattutto ai ragazzi delle strade di Kampala. Un gruppo di questi erano accomodati in una casa dove trovavano assistenza, educazione e attenzione religiosa. Li visitava ogni fine settimana. Lungo la settimana collaborava nell’assicurare l’assistenza spirituale a diverse comunità di suore a Kampala e dintorni.
Tutti i suoi impegni erano svolti con ordine, serietà e grande rispetto per le persone che incontrava. Il suo stile di lavoro fu eminentemente ‘comunitario’ nel senso che non si sentiva assolutamente ‘protagonista’ in esso. Era convinto che quello che riusciva a fare era dovuto alla presenza degli altri. Questi ‘altri’ erano le persone con le quali lavorava (collaboratori) o le persone in favore delle quali lavorava (ragazzi di strada e novizi) o coloro che gli mandavano aiuti e finanziamenti.
Questo suo approccio ‘comunitario’ al ministero appariva non solo quando lo svolgeva, ma anche quando ne doveva parlare. Lo sottolineava nella sua attività formativa dei novizi e nei suoi interventi in occasione di ritiri, raduni e discussioni.
Era molto prudente ed equilibrato nel parlare. Se doveva esprimere qualche parere, lo faceva facendo emergere il positivo oppure lenendo il più possibile gli aspetti negativi di cui doveva parlare. Non adulava e non esagerava, ma diceva semplicemente la verità nel senso evangelico animato dalla sua fede in Dio, dalla sua fiducia negli altri, da speranza ed ottimismo. Quando, in forza del suo ufficio di formatore, consigliere e vice provinciale, doveva parlare di casi scabrosi, lo faceva senza lasciare l’amaro nei suoi ascoltatori”.
Con la presenza del nunzio e del cardinale
La giornata terrena di P. Valente si è conclusa improvvisamente e in modo inaspettato durante la notte del 31 luglio 2004. Non vedendolo in chiesa per la Messa, come era solito fare ogni mattina, i confratelli sono andati a bussare alla sua stanza. Non ha risposto. Sono entrati e lo hanno trovato ancora a letto. Pareva dormisse, invece, durante la notte, era arrivato il Signore a chiamare il suo servo buono per introdurlo nel suo Regno.
La notizia della sua morte improvvisa ha commosso molte persone che lo conoscevano e lo apprezzavano, tra gli altri, i ragazzi di strada, gli studenti delle elementari e delle secondarie e le varie case di formazione di Namugongo. La notte prima del funerale, la basilica dei Martiri di Namugongo si è riempita di studenti giunti per pregare. Le novizie e le formatrici Comboniane hanno passato tutta la notte in veglia accanto alla bara.
Il funerale di P. Valente è stato celebrato nella stessa basilica. Il nunzio ha presieduto la celebrazione accompagnato dal cardinale di Kampala e da molti sacerdoti. Erano presenti vari “Apostoli di Gesù”, di cui era stato formatore. Le numerose testimonianze lette alla fine della Messa hanno messo bene in risalto la disponibilità, la dedizione, lo spirito di solidarietà e la semplicità di vita di P. Valente. Era pronto all’incontro finale con il Signore. Nessun momento di panico, niente chiasso e mai troppe parole a proposito delle sue condizioni di salute: era una persona molto riservata. E, ancora una volta, si è avverato il proverbio: “Si muore come si vive”.
Ora P. Valente riposa in quella terra di Uganda quale seme fecondo di evangelizzazione e di promozione umana, cose per le quali ha impegnato la sua vita. Amava anche la natura. Aveva a cuore il parco del noviziato. In proposito, P. Monella scrive: “Era un grande amante della natura, soprattutto di piante e di fiori, e così gli piaceva arricchire la comunità dove viveva con nuove varietà. Fu proprio sepolto in quel parco del noviziato che tanto aveva amato, all’ombra di alcune piante da lui stesso piantate”.
Parlano i giovani africani
Alla notizia della sua inaspettata morte, alcuni scolastici, suoi ex-novizi, hanno espresso la stima e la riconoscenza che nutrivano per P. Valente. È significativo riportare alcune testimonianze. Uno scolastico testimonia: “Lavorò fedelmente nella vigna del Signore”. Un secondo scrive: “Sempre concludeva le sue lettere dicendo: ‘Saluti agli altri monelli’. Scherzava con noi, chiamandoci monelli. Personalmente sento la sua mancanza”. Un altro afferma: “Abbiamo perso un uomo semplice, contemplativo e con il senso dell’umorismo, una persona che ha dedicato se stesso al servizio dei più abbandonati. L’evidenza di ciò sono i suoi sforzi nella collaborazione per costruire il centro di Malawa (il centro per ragazzi di strada vicino a Namugongo). Sapeva fare tutto questo perché contemplava il volto di Gesù in questi bambini”.
Jimmy Okunu, ora scolastico Comboniano a Roma, scrive: “Come posso raccontare la morte di una persona cara? Questa domanda viene non per la paura della morte, ma perché mi richiama tanti ricordi vissuti assieme in missione. La morte di P. Valente per me è stata una sorpresa. L’ultima opportunità che ho avuto di parlare con lui è stata il 20 giugno 2004, per telefono. Quando gli ho detto che sarei andato a Verona mi ha detto: ‘Salutami tutti e di’ loro che li ricordo nella preghiera’. Ho conosciuto P. Valente quattro anni fa quando è venuto con i novizi a giocare al calcio al postulato di Jinja. L’ho incontrato nel noviziato di Namugongo dove abbiamo lavorato insieme nella pastorale per due anni. Era un piacere stare con lui perché era umile e semplice. Non era un capo o un amministratore, era un padre. Nonostante l’età, il suo volto esprimeva un senso di giovinezza. Qualche volta giocava a carte e chiacchierava volentieri. Nelle sue omelie era molto pratico e sapeva spezzettare bene la Parola di Dio in modo che tutti la potessero mangiare.
Ciò che ho maggiormente ammirato in P. Valente è stato il suo impegno con i ragazzi di strada. Questo lavoro richiede grande amore e pazienza.
Amava molto la natura. Ci diceva spesso: ‘Dobbiamo aprire i nostri occhi per vedere la presenza di Dio nella natura’. La sua sensibilità non era solo verso noi novizi, ma anche verso tutti gli africani. Una cosa ci lega ancora a P. Valente: la preghiera e noi non possiamo dimenticarlo. Sono certo che il Signore gli ha dato la ricompensa del servo fedele, perché lui è stato proprio un servo fedele”.
Anche il Superiore Generale, P. Teresino Serra, suo ex-novizio negli Stati Uniti, scrive al provinciale e ai confratelli d’Uganda: “Questa morte improvvisa diventa una grave perdita ed aumenta il peso della croce per l’Uganda. La fede ci dice di rivolgersi a Dio e in Lui avere fiducia. Personalmente voglio ricordare la bontà del cuore di P. Valente, il suo amore alla missione che comunicò a noi novizi negli USA e gli anni trascorsi in diversi servizi nell'Uganda. Ricorderò sempre i suoi esempi di pazienza, bontà e combonianità”. Alla notizia della sua morte il parroco di Castelgoffredo ha commentato: “Non lo vedremo più percorrere in bicicletta le vie del paese, ma in cambio avremo un santo protettore in cielo”.
L’Istituto deve grande riconoscenza a P. Valente, avendo egli dedicato gran parte della sua vita alla formazione dei futuri Comboniani nelle diverse parti del mondo.
P. Lorenzo Gaiga, mccj.