Perché il Sudan dopo due anni di guerra rischia di spaccarsi a metà

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Martedì 15 aprile 2025
Oggi si compiono due anni di guerra in Sudan. Si delinea una spartizione del Paese e delle risorse naturali: da una parte le milizie Rsf, legate a Libia e Centrafrica, dall'altra i militari governativi appoggiati da Arabia, Egitto e Iran. [Paolo Lambruschi – Avvenire]

Khartum anno zero. La capitale del Sudan riconquistata dall'esercito il 27 marzo dopo due anni di occupazione delle forze di supporto rapido Rsf è tornata indietro di 100 anni ai tempi della rivolta del Mahdi. La città dei due Nili e le gemelle Beri Omdurman sono semidistrutte. Spogliate dalla soldataglia pagata con il medievale diritto di saccheggio e private dal furto dei cavi di rame di energia elettrica, devastate persino negli infissi delle case e prive di acqua potabile sono l'immagine che raffigura 24 mesi di guerra civile

Scoppiata il 15 aprile 2023 perché i paramilitari delle Rsf e le milizie di origine araba alleate guidate dal generale Dagalo rifiutarono di sottomettersi alle forze armate del generale al-Burhan, ha provocato quella che le agenzie umanitarie definiscono la più grande crisi umanitaria del pianeta. Crisi che colpisce soprattutto i bambini e le donne con accuse di genocidio nel Darfur, alle Rsf (già colpevoli del genocidio del 2003) contro le tribù nilo-sahariane dei Masalit. Mentre proprio ad al-Fasher, in nord Darfur, si temono cento morti in un attacco delle Rsf. Un nuovo orrore in un Sudan già saturo. 

Il conflitto è alimentato dagli Emirati Arabi, che sostengono i paramilitari vendendo armi in cambio dell'oro delle miniere illegali del Darfur – ripulito ad Abu Dhabi per finire sui mercati occidentali – dell'uranio e della carne. Si delinea una spartizione del Paese, con le Rsf che stanno conquistando l'ovest legate alla Libia di Haftar – la Cirenaica – al Ciad e alla Repubblica Centrafricana, tutte sotto la nuova sfera di influenza di Mosca che qui prende l'oro per pagarsi la guerra in Ucraina. Il resto nelle mani dell’esercito di Burhan legato ad Arabia, Egitto e Iran.

La capitale è stata spostata a Port Sudan sul Mar Rosso, al riparo dagli attacchi dei droni delle Rsf che bersagliano il nord e la diga di Merowe, la più grande in Africa, togliendo energia elettrica al Paese. Le congregazioni religiose restano per ora a Port Sudan e i tre sacerdoti cattolici rimasti nella Khartum occupata dalle Rsf sono salvi. Pesanti le distruzioni nel college dei comboniani razziato e vandalizzato. Nonostante tutto, i primi sfollati stanno rientrando nella capitale nelle proprie case perché i tagli di Trump a Usaid hanno reso la vita nei campi per profughi e sfollati impossibile. 

«Due anni di guerra in Sudan vedono una combinazione devastante di sfollati record e aiuti in calo – sostiene il portavoce italiano dell'Unhcr Filippo Ungaro –. Quasi 13 milioni di persone sono fuggite dalle loro case, quasi 4 milioni che hanno attraversato i confini di Egitto, Sud Sudan, Ciad, Libia, Etiopia, Repubblica Centrafricana fino in Uganda. A livello globale tra tutti gli sfollati al mondo una persona su sei è sudanese e tra tutti i rifugiati del mondo uno su tredici è sudanese. Chi scappa riferisce di aver subito violenze sessuali sistematiche e abusi oltre ad aver assistito a uccisioni di massa. 

La metà sono bambini, tra cui migliaia senza famiglia e malnutriti. Ma è una crisi sottofinanziata e che riceve poca attenzione dalla comunità internazionale e dall'opinione pubblica. Il piano regionale di risposta del Sudan al momento ha ricevuto soltanto il 9% dei fondi necessari e questo sta avendo un impatto fortissimo».

Altra conseguenza, dei tagli e della carenza di fondi, la chiusura di scuole nei campi per profughi e sfollati. Per molte ragazze aumenterà il rischio di matrimoni precoci, per i ragazzi, significa finire a lavorare nelle miniere d'oro illegali in Ciad o tentare migrazioni in Libia. Medici senza Frontiere ha resistito e opera nonostante attacchi in 10 Stati. «Ho visto e continuo a vedere due situazioni diverse – racconta Vittorio Oppizzi, responsabile Msf in Sudan –. Quella della linea del fronte in movimento che rende difficile operare. Entrambe le parti hanno usato la manipolazione degli aiuti e blocchi come tattica di guerra.

Poi il dramma degli sfollati che ora provano a rientrare in città distrutte. Stiamo ricominciando a girare con cliniche mobili in alcune zone di Khartum dove la situazione resta molto critica. Se gli ospedali sono in piedi, mancano forniture mediche e i dottori sudanesi sono senza stipendio. Da due anni non si fanno vaccinazioni in particolare contro il morbillo e scoppiano epidemie di colera per mancanza di acqua potabile». Una lotta contro l’oblio e la guerra per salvare la generazione perduta del Sudan.

Paolo Lambruschi – Avvenire

Sudan: due anni di guerra.
Oxfam, “la più grave crisi umanitaria al mondo. 1 abitante su 2 è malnutrito”

Credit photo: Oxfam / SIR.

A 2 anni esatti dall’inizio del brutale conflitto in Sudan, “la popolazione sta affrontando la più grave crisi umanitaria al mondo. Un’emergenza che nei prossimi mesi rischia di precipitare ulteriormente, investendo buona parte dell’Africa orientale e mettendo a rischio milioni di vite”.  È l’allarme lanciato oggi da Oxfam con un nuovo report, pubblicato assieme a South Sudan Forum, Inter Agency Working group for East and central Africa (Iawg) e Forum des Ong en Afrique de l’Ouest et centrale (Fongi). 

L’intensificarsi degli scontri ha infatti già costretto quasi un terzo della popolazione a lasciare le proprie case e 3,7 milioni di persone a fuggire dal Paese, mentre l’arrivo della stagione delle piogge e il taglio degli aiuti internazionali – da parte degli Stati Uniti e degli altri Paesi donatori – renderanno sempre più difficile la risposta umanitaria. In questo momento in Sudan 1 abitante su 2 è colpito da malnutrizione, mentre in una parte del Paese la popolazione sta già affrontando gli effetti della carestia, che potrebbe colpire altri 8 milioni di persone nel giro di poco tempo. L’arrivo delle precipitazioni potrebbe causare infatti inondazioni e bloccare le vie di comunicazione verso intere zone del Paese, rendendo impossibile portare aiuti essenziali.

Senza cibo e nel tentativo di mettersi in salvo dai combattimenti, sempre più persone saranno quindi costrette a fuggire verso il Ciad e il Sud Sudan, due dei paesi più poveri al mondo a loro volta colpiti dall’impatto della crisi climatica e da livelli di malnutrizione altissimi. Una situazione, che soprattutto in Sud Sudan sta aggravando le tensioni interne, mettendo a rischio la fragile pace raggiunta pochi anni fa.

“Gli scontri tra guppi armati sudanesi e sud-sudanesi stanno rendendo la situazione sempre più instabile e pronta a esplodere. – ha aggiunto Fati N’Zi-Hassane, direttore di Oxfam in Africa – Senza un cessate il fuoco, c’è il serio il rischio che in poco tempo si verifichi un’escalation regionale, con conseguenze umanitarie catastrofiche”.

A causa del conflitto in corso – evidenzia inoltre il rapporto – in questo momento la crisi umanitaria in Sudan colpisce oltre 30 milioni di persone, il numero più alto mai registrato in un solo Paese, mentre più di 17 milioni di bambini non possono andare a scuola. Una condizione in cui si trovano anche il 65% dei minori sudanesi che si sono rifugiati in Ciad, esposti al rischio di essere vittime di lavoro minorile e matrimoni precoci o di essere reclutati dai gruppi armati locali.

Tuttavia finora sono stati stanziati appena il 10% degli aiuti richiesti dalle Nazioni Unite per rispondere all’emergenza nel 2025. A questo si aggiunge la cancellazione di circa 64 milioni di dollari dei finanziamenti di UsAid per il Ciad e il Sud Sudan, che rischia di produrre conseguenze gravissime, dato che gli Stati Uniti fino ad ora erano il principale Paese donatore per entrambi i Paesi.
Oxfam lancia perciò un appello urgente alla comunità internazionale per “un immediato aumento delle risorse necessarie a soccorrere la popolazione”. Chiedendo inoltre alle parti in conflitto di “mettere in campo ogni sforzo diplomatico necessario a raggiungere il cessate il fuoco”.

SIR