Il giubileo della speranza per i religiosi e missionari “ad gentes”

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Venerdì 28 febbraio 2025
Lo scorso 5 febbraio padre Roger Balowe Tshimanga, carmelitano congolese, ha presentato una riflessione ai comboniani della comunità della Curia generalizia a Roma, intitolata “Significato del giubileo della speranza per un gruppo di religiosi e missionari ad gentes”. La speranza è forse il miglior nome per la missione in tempi come i nostri, in una società come la nostra. Non solo dobbiamo lasciarci guidare dalla speranza, ma dobbiamo essere noi stessi speranza per gli altri”, ha detto padre Roger.

Significato del giubileo della speranza per un gruppo di missionari ad gentes e religiosi
alla Curia Generale dei missionari comboniani a Roma

Cari fratelli, sia lodato Gesù Cristo!
Esprimo i miei sentimenti di gratitudine a tutti voi, e in particolare, a Padre Tomás Herreros, per il vostro invito a condividere un momento di riflessione sul nostro essere missionari, in questo contesto del Giubileo della Speranza indetto da Sua Santità Papa Francesco con la bolla di indizione "Spes non confundit" (la speranza non delude), del 9 maggio 2024. Il papa Francesco ha proposto di riflettere sulla virtù della speranza sia in questa bolla che nel suo libro “La speranza è una luce nella notte” e ha scelto come tema generale di questo Giubileo del 2025 “Pellegrini della speranza”.

Per un gruppo di missionari ad gentes e religiosi, il giubileo, come ha detto il papa Francesco alle Suore della Sacra Famiglia di Nazareth il 4 dicembre 2024, è un'occasione "di riflessione, di raccoglimento e di ascolto di ciò che lo Spirito Santo ci dice oggi". Con la missione ad gentes attraverso il mondo, molte meraviglie sono state compiute con una grande fede, animata dalla speranza e confermata dalla carità nella pazienza, sotto l'abbraccio di un impegno inesauribile. Parlando di questo giubileo sul tema di “Pellegrini della speranza”, il Papa vuole fare di tutta la Chiesa pellegrina una Chiesa missionaria che predica la speranza a questo mondo dell'immediato e del frenetico. Come missionari ad gentes, quindi, in quanto i primi pellegrini della speranza, abbiamo più motivi per impegnarci a vivere con intensità questo evento.

Affronto questo tema in due parti. Il primo si pronuncerà su ciò che il papa ha voluto comunicarci con la sua bolla di indizione “Spes non confundit” su questo giubileo del 2025 con il tema generale: "Pellegrini di speranza" e il suo libro «La speranza è una luce nella notte». La seconda parte sarà quella di condividere con voi la mia esperienza sulla missione e l'opera dei missionari che, nella speranza, ci hanno evangelizzato. Concluderò con alcune raccomandazioni ai missionari di oggi.

L’apertura dell'Anno Giubilare e la sua tematica

L'anno 2025 è l'anno giubilare. Secondo un'antica tradizione, il papa proclama un giubileo ogni 25 anni. L'attuale è stata proclamata il 9 maggio 2024, nella solennità dell'Ascensione del Signore, da Papa Francesco nel suo 12° anno di pontificato, con il tema: "Pellegrini della speranza".

Come lo dice san Paolo (cfr 1 Tm 1,1), tutto parte da Cristo come la nostra Speranza, perché è Lui che la Chiesa ha la missione di annunciare sempre, ovunque e a tutti. Sperare, dice il papa, "è aspettare qualcosa che ci è già stato dato: la salvezza nell'amore eterno e infinito di Dio". Ma questa attesa è segnata da una fede che dissipa l'incertezza, la paura, lo scoraggiamento, lo scetticismo, il pessimismo e fa trionfare la fiducia, la serenità, la certezza e la pace. Per Paolo (Rm 5,1-2.5), il desiderio della missione deve essere sostenuto dalla speranza, perché essa non delude, purché si basi sull'amore che ha inondato i nostri cuori dopo l'esperienza dell'amore che Cristo ci ha mostrato fino alla croce. Con questo amore, secondo l'Apostolo, nulla e poi nulla può separarci dall'amore di Cristo (né angoscia né tribolazione, né persecuzione né fame, né miseria né pericolo, né spada... né morte né vita, né angeli né principati celesti, né presente né futuro, né potenze, né altezze né abissi...). Perché con Cristo ne usciamo sempre vittoriosi. Abbiamo quindi bisogno di 3 perni per vivere questo giubileo: credere, sperare e amare (Sant'Agostino).

Il percorso della missione è disseminato da insidie di angoscia. Eppure il missionario deve essere orgoglioso della logica proposta da san Paolo: l'angoscia produce la perseveranza, la perseveranza produce la speranza, il tutto sostenuto da un'altra virtù: la pazienza. Quest'ultima, però, è minata dalla fretta che caratterizza il nostro tempo: "il mondo del qui e ora", "il mondo dello zapping". Dio è paziente con noi, è solo con la pazienza che possiamo fare del bene a noi stessi e agli altri. La grande preghiera di un missionario pellegrino di speranza in questi tempi de l’impazienza deve essere questa: "Signore, dammi la grazia della pazienza, perdonami i miei peccati contro la pazienza, preservami dall'impazienza". San Paolo ne consiglia a Timoteo nella sua predicazione: “annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni pazienza e pedagogia” (2Tm. 4,2).

Perché questa preghiera sia efficace, deve essere accompagnata dal sacramento della riconciliazione, dalla penitenza, dalla mortificazione e dall'abnegazione evangelica per "incontrare il volto della misericordia di Dio".

Il grande simbolo del giubileo è l'apertura della Porta Santa, il 24 dicembre 2024, da San Pietro, attraverso altre basiliche romane fino alle cattedrali delle chiese particolari. Un pellegrinaggio inteso come cammino e segno di speranza sarà organizzato da una chiesa scelta per la collectio alla chiesa cattedrale. Durante questo pellegrinaggio sarà annunciata l'indulgenza giubilare. Per noi, è il grande perdono che riceveremo dal Signore per i grandi peccati commessi nella missione. Il 28 dicembre 2025, giorno in cui si concluderà l'Anno Santo, sarà comunicato ai fedeli, nelle Chiese particolari, che il Popolo di Dio riceverà segni di speranza e ciò che ne testimonia l'efficacia. La chiusura della Porta Santa avverrà il 6 gennaio 2026.

I segni di speranza: (Oltre ad attingere speranza dalla grazia di Dio), i missionari lavoreranno su:
La Pace in un mondo immerso nelle guerre (gli "operatori di pace" saranno chiamati "figli di Dio");
La trasmissione della vita in un mondo segnato dalla perdita del desiderio di trasmettere la vita (con uno squilibrio mondiale: nei paesi sviluppati, un calo della natalità dovuto alla paura del futuro, ai ritmi frenetici della vita, alla mancanza di garanzie professionali; nel Terzo Mondo, la paura dell'aumento incontrollato della popolazione con i bambini lasciati a conto loro, spesso senza cibo, senza vestiti, senza educazione...);
Liberazione per i detenuti in un mondo segnato da detenzioni ingiuste, pena di morte ("atti contrari alla fede cristiana che annientano ogni speranza di perdono e di rinnovamento"). L’apertura della porta di un carcere è quindi un simbolo di speranza nella liberazione per i detenuti;
La Guarigione e l’affetto per i malati e per tutti coloro che soffrono nell'anima e nel corpo in un mondo senza affetto e indifferente a chi soffre;
Un particolare slancio verso i giovani (chi sono di fronte ai loro sogni che crollano, al loro futuro incerto, ai loro diplomi senza lavoro, all'illusione della droga e allo scoraggiamento);
La difesa dei diritti dei migranti, degli esuli, degli sfollati, dei rifugiati (senza speranza di lavoro, senza istruzione, con difficile integrazione sociale: vedete quanti giovani, soprattutto africani stanno diventando malati mentali sulla città di Rome a causa della mancanza della speranza di vita. Altri diventano violenti come difesa contro l’ingiustizia che sperimentano ogni volta…);
La difesa e la protezione degli anziani in un mondo che considera l’anziano come un uomo (donna) finito, un “buono a nulla”. Tocca ai missionari di sapere fare valorizzare il tesoro, l'esperienza, la saggezza e altri contributi che gli anziani sono ancora in grado di offrire.
La difesa e la protezione dei poveri: spesso sono vittime della cattiveria e dell'ingiustizia sociale, e non dei colpevoli.

A tutti questi, ci vuole un messaggio di speranza.

Il papa consiglia gli appelli alla speranza predicando che:
I beni della terra sono destinati a tutti e non a pochi privilegiati.
I debiti dei paesi poveri che non saranno mai in grado di ripagare devono essere perdonati e rimessi. Sono spesso le conseguenze dei debiti ecologici accumulati dalle grandi potenze, dagli squilibri commerciali, dall'uso storicamente sproporzionato delle risorse naturali, etc.

La sinodalità della Chiesa deve essere vissuta nei dati della fede con la commemorazione dei 1700 anni del Concilio Ecumenico di Nicea nel 325 (importanza di preservare l'unità del popolo di Dio e la fedeltà al Vangelo nella divinità di Gesù e la sua uguaglianza con il Padre). Che il Signore aiuti la sua Chiesa a trovare un compromesso riguardo alla celebrazione della festa di Pasqua nella stessa data per tutti.

Per quanto riguarda al fondamento della nostra speranza, il papa stabilisce come segue:
Credere alla vita eterna: la storia ci orienta verso l'incontro con il Signore e non verso un vicolo cieco o l'abisso oscuro come annunciano le false dottrine.
La morte è un passaggio verso una nuova vita e non il caos, come pensano i non credenti.
Il giudizio di Dio è un atto d'amore e si fonda sulla misericordia. Non c'è paura nella speranza, la misericordia ha la precedenza sulla punizione. Dio è giudice per “giustificare” prima di tutto. Perciò, è sempre grande e misericordioso.

Indulgenza: la misericordia di Dio è illimitata perché Dio è amore. Attraverso questo atto della Chiesa, ciascuno sperimenta la pienezza del perdono di Dio la grandezza della sua colpa. 
Il sacramento della Penitenza: "Non rinunciamo dunque alla Confessione, ma riscopriamo la bellezza del sacramento della guarigione e della gioia, la bellezza del perdono dei peccati!" I missionari della misericordia istituiti nel 2014 continuano il loro ministero in questo giubileo per confessare tutti i peccati.

Il papa conclude il suo discorso confidando tutta la chiesa e ogni fedele alla Madre di Dio in quanto “la più alta testimone” della speranza e ci invita a cantare con il salmista: «Spera nel Signore, sii forte, si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore» (Sal 27,14).

Un’esperienza missionaria ad gentes

Per noi missionari ad gentes e tutti i religiosi e le religiose, mi sembra che il tema di questo Giubileo (Pellegrini della speranza) è un prolungamento dell'Anno della fede indetto da Papa Benedetto XVI nella sua lettera apostolica Porta Fidei dell'11 ottobre 2011. In quell'occasione, per quanto riguarda noi missionari e consacrati, durante i Vespri che ha presieduto con i consacrati il 2 febbraio 2012, il papa Benedetto XVI ci ha detto: “Durante l’Anno della fede, voi, che avete accolto la chiamata a seguire Cristo più da vicino, mediante la professione dei consigli evangelici, siete invitati ad approfondire ancora di più il vostro rapporto con Dio. I consigli evangelici, accettati come regola di vita autentica, rafforzano la fede, la speranza e la carità, che vi uniscono a Dio”. Era quindi necessario che l’Anno della fede fosse un anno di “rinnovamento” e di “fedeltà”. E questo in modo tale che tutte le persone consacrate “si impegnino con entusiasmo per la nuova evangelizzazione”, più complessa che la missione ad gentes.

Anche oggi, con il tema dei “Pellegrini della speranza”, il papa Francesco ci rivolge questo invito a rivedere i nostri consigli evangelici con un'insistenza sulla speranza. Per un approccio più sistematico, affrontiamo questo tema in tre fasi: in primo luogo, lasciamoci ispirare dalla speranza che ha animato l'impegno e la generosità di queste prime generazioni dei missionari del Vangelo (il dovere della memoria storica); poi, esaminiamo la realtà della nostra esperienza di apostoli nei nostri vari ambienti apostolici (analisi contestuale), e in fine, torniamo alla convinzione che abbiamo di questo tesoro (speranza) che portiamo in questi fragili vasi secondo le parole di 2 Cor. 4:7 (applicazioni operative).

Tre virtù teologali hanno accompagnato tutta l'opera dei nostri predecessori, sin dalla decisione di lasciare la loro patria senza speranza di tornare: la fede, la speranza e la carità. Il mare, i fiumi, i laghi, la terra, le montagne, le valli, le foreste e le savane fino ai villaggi degli umani, tutto era intriso di benevolenza ma soprattutto di ostilità, disseminato di insidie ma anche con la speranza di trovare qualcuno benevolo che li accogliesse. Tanti hanno conosciuto il martire a causa del Vangelo. Non cercavano oro o diamanti, ma le pecore perdute d'Israele. Senza fede, senza speranza, senza carità, sarebbe impossibile per loro impegnarsi in una tale avventura pericolosa.

Fu a partire dal XV e XVI secolo che la questione della propagazione della fede da parte dei missionari divenne una grande preoccupazione per la Chiesa e portò presto alla creazione della Congregazione per la Propagazione della Fede, (Propaganda Fide). Il compito di quest’organo era quello di supervisionare e guidare tutta l'attività missionaria in tutto il mondo con precise linee guida sull'atteggiamento da assumere nei confronti dei popoli da evangelizzare. Già all'inizio del XX secolo, per parlare solo dell'Africa subsahariana, l'azione missionaria dei nostri venerati padri che ci hanno evangelizzato emerge da grandi iniziative e orientamenti emanati dalle più alte autorità della Chiesa e da missionari ben illuminati in relazione alla visione della missione secondo gli obiettivi ben precisi, come possiamo leggere nel Maximum Illud di Benedetto XV del 1919, e Rerum Ecclesiae di Pio XI nel 1926.

I due papi raccomandano a tutti i missionari tre realtà da osservare con costante attenzione:
Il distacco dai sentimenti nazionali e nazionalisti e l'allontanamento dalle autorità coloniali;
La creazione e la promozione di un clero locale che doveva essere portato all'istituzione di una gerarchia episcopale indigena, pilastro dell'azione missionaria;
L'istituzione di vere nuove Chiese con tutti gli elementi appropriati delle categorie di persone e delle strutture che dovrebbero costituirle: vescovi, sacerdoti, religiosi(e), catechisti e altri laici attivi del paese.

A questo elenco va aggiunto il contributo di Pio XII (Evangelii Praecones nel 1951 e Fidei Donum nel 1957) circa la speciale collaborazione a livello sacerdotale tra le Chiese antiche e le Chiese più povere di missioni, in base al contratto da allora chiamato "Fidei Donum".

Senza la tecnologia di oggi, però, è con ammirazione che si può contemplare, dopo 50 anni, il lavoro svolto dai missionari nel frattempo dal punto di vista spirituale, architettonico, culturale, educativo, umano, sociale ed economico. Molto rapidamente, le missioni costruite divennero centri di azione nei villaggi e punto di partenza delle grandi città che abbiamo oggi. Alla missione si trova quasi tutto, si compra quasi tutto, si vende quasi tutto, si riceve anche gratuitamente (doni e aiuti), si riceve istruzione religiosa e umana. Per quanto riguarda il futuro della missione e della fede da propagare, l'alta autorità della Chiesa ha proseguito la sua riflessione nel senso di sostenere la missione e di incoraggiare l'impegno del clero locale e il posto dei laici nei paesi di missione e ciò che ci si aspetta da loro.

Nella sua enciclica “Princeps pastorum” del 28 novembre 1959, Papa Giovanni XXIII annotava quanto segue:

Per la formazione del clero locale:
Il primato della formazione spirituale;
L’Educazione al senso di responsabilità e di iniziativa;
Lo studio della missiologia e il rispetto delle culture locali;
La Penetrazione nelle classi colte con l’obiettivo di formare un'élite intellettuale e credente;
Lo spirito di carità fraterna e non di particolarismo.

Per i laici nell’opera missionaria:
Avere un laicato formato nella vita della Chiesa.

Gli obiettivi della formazione dei laici nelle terre di missione:
Il dovere dei laici di essere testimoni della verità;
L’efficacia della testimonianza della carità;
Il dovere di provvedere ai bisogni materiali della comunità.

Fu dopo aver notato l’importanza del lavoro missionario in Africa che Papa Paolo VI dichiarò a Kampala nel 1969, al Simposio dei Vescovi Africani e al cristianesimo dell’Africa questa famosa e profetica frase: “Siate missionari per voi stessi e siate missionari all’esterno”.

Seguirono altre encicliche nella direzione di promuovere sempre la missione: Africae Terrarum nel 1967 e Populorum progressio (Paolo VI), il Decreto conciliare Ad gentes (Vaticano II), Redemptoris missio di Giovanni Paolo II nel 1990… L’ultimo testo è il documento Finale della Seconda Sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (2-27 ottobre 2024: “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione, missione” del 26 ottobre 2024.

Ora, qual era il segreto di questa fecondità missionaria, qual era la sua anima?

La fedeltà ai consigli evangelici: la povertà, la castità e l’obbedienza animate dalla fede, la speranza e la carità.
La perfezione della vita: I missionari erano ben convinti che la loro attività sarebbe diventata fruttuosa nella misura in cui avrebbero perseguito la propria perfezione con maggiore fervore.
La conformità a Cristo: Erano in fatto, costi quel che costi, ciò che dovevano essere di diritto: veri apostoli, anime indissolubilmente unite a Colui dal quale ottengono tutto.
La positività: erano decisi a portare la Croce di Cristo e a seguirlo. Erano anime staccate dal mondo dei sensi, dal mondo dell'avere per sé, dal mondo delle vanità. Erano animati della volontà ferma di riuscire sempre, mettendo tutti al lavoro e sacrificando sé stessi.
L’esemplarità di vita: spesso predicavano con l'esempio, il che era molto eloquente tra i nativi, che erano più sensibili alle impressioni che ai discorsi dei missionari, e con i quali la comunicazione non era sempre facile a causa della lingua. Se i missionari non si raccomandavano con una vita esemplare, tutte le altre loro qualità non potevano aiutare tanto, o aiuterebbero molto poco, alla salvezza delle anime e potevano anche diventare il più spesso insidie per i missionari stessi e per gli altri.

Semplicità di vita e l’umiltà (lavoravano a fianco degli indigeni, mangiando quello che mangiavano...), l’obbedienza ai superiori (accettare la missione a qualunque costo ed essere presenti in tutto insieme agli indigeni nella cura pastorale così come nel lavoro), purezza di vita (era raro che possano essere accusati di infedeltà alla loro castità consacrata) e soprattutto erano devoti (le ore di preghiera erano conosciute da coloro che li circondavano, portavano loro stessi le devozioni popolari e ne facevano animazioni...).

Così, negli ultimi 50 anni del secolo scorso, abbiamo assistito a un'espansione esemplare della fede cattolica. E allo stesso tempo, con lo sviluppo dell'élite intellettuale, la riflessione sulle questioni proprie dell'essere cristiano africano, latino americano e asiatico hanno preso il suo slancio in questo contesto mutevole con le loro proprie speranze e sfide in un mondo globalizzato e anche a livello di ricerca di soluzioni da fornire.

Era nell’angoscia e nell'indigenza, nella miseria e nella mancanza di tutto, nella fame e nella sete, nella malattia e nel cattivo tempo ostili alla loro salute, ma anche nella gioia nella naturalizza di questi popoli che attivavano la loro perseveranza, e la perseveranza era animata dalla speranza unita alla pazienza.

Conclusione: alcune raccomandazioni

Queste parole dell’apostolo sono grandi: “Noi che siamo divenuti giusti per mezzo della fede, siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, il quale ci ha dato accesso per mezzo della fede a quella grazia nella quale siamo stabiliti; e siamo orgogliosi della speranza di partecipare alla gloria di Dio. […] La speranza non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato” (Rm 5,1-2.5).

Il nostro tempo, dominato dal “qui e ora”, non dà più spazio alla speranza, la pazienza non è gradita. La speranza “è forse il miglior nome per la missione in tempi come i nostri, in una società come la nostra”. Non solo dobbiamo lasciarci guidare dalla speranza, ma dobbiamo essere noi stessi speranza per gli altri attraverso alcune virtù che la rendono operativa, secondo Francesco Alberoni.

Padre Roger Balowe Tshimanga, ocd
Carmelitano congolese