Lunedì 10 marzo 2025
In Kenya uno studio ha scoperto le particolari potenzialità di un parassita della farina. La preservazione dell’ambiente è una delle grandi sfide che i governi africani devono affrontare. Tra le minacce di maggiore impatto in merito c’è la dispersione della plastica, con l’esposizione alle sostanze chimiche a essa associate e da essa rilasciate che stanno causando una vera e propria emergenza ecologica. [Padre Giulio Albanese – L’Osservatore Romano]
La preservazione dell’ambiente è una delle grandi sfide che i governi africani devono affrontare. Tra le minacce di maggiore impatto in merito c’è la dispersione della plastica, con l’esposizione alle sostanze chimiche a essa associate e da essa rilasciate che stanno causando una vera e propria emergenza ecologica. Si tratta di un fenomeno che si è acuito a dismisura a causa dei sistemi di consumo, produzione e gestione dei rifiuti. Un contributo a contenerne i pericoli giunge ora dalla ricerca scientifica dell’Africa, dove la situazione si sta facendo sempre più drammatica.
Già da tempo diversi studi hanno rivelato il potenziale di diverse specie di coleotteri di degradare la plastica, ma ultimamente proprio in Africa la ricerca ha fatto passi da gigante sul potenziale di efficacia di un verme della farina. La scoperta è avvenuta in Kenya presso l’International centre for insect physiology and ecology (Icipe). Questi parassiti sono facilmente osservabili nella lettiera avicola, nei pollai e nel letame. Tale specie causa danni ai pollai e può essere un serbatoio di patogeni avicoli. Tuttavia, uno studio recente sul verme della farina minore, Alphitobius diaperinus, ha concluso che questa sottospecie di parassita è in grado di ingerire e degradare il polistirene, chiamato più comunemente politistirolo, avendovi identificati i batteri Cronobacter, Pseudomonas e Kocuria che hanno appunto tale capacità.
A far comprendere l’importanza di questa scoperta basta la considerazione che la maggior parte dei centri urbani, piccoli o grandi che siano, dei fiumi e delle coste, stanno subendo in Africa l’inquinamento prodotto da imballaggi di plastica scartati e altri rifiuti di plastica. Esso si presenta in forme diverse, che vanno dalle macroplastiche (pezzi di 20 centimetri e oltre) alle microplastiche (pezzi più piccoli di 5 millimetri) fino alle nanoparticelle che non sono visibili all’occhio umano. Secondo Tearfund (un’organizzazione d’ispirazione cristiana internazionale di soccorso e sviluppo con sede a Teddington, nel Regno Unito) ai livelli attuali, ogni minuto nell’Africa subsahariana vengono scaricati o bruciati all’aperto rifiuti di plastica sufficienti a ricoprire un campo da calcio.
Da rilevare che spesso le plastiche contengono additivi che le rendono più resistenti, più flessibili e durevoli. Molte di queste sostanze, però, possono prolungare la vita dei prodotti nel momento in cui vengono gettati via. Si stima che alcuni di essi possano durare almeno quattrocento anni prima di degradarsi. Infatti, stando ad uno studio dell’Ocse, entro il 2060 in Africa si accumuleranno fino a 116 milioni di tonnellate di rifiuti da plastica all’anno, rispetto ai 18 milioni di tonnellate del 2019.
L’Africa è diventata il secondo continente più inquinato al mondo, con oltre cinquecento container di rifiuti importati ogni mese e si stima che questo valore raddoppierà nei prossimi cinque anni. Inoltre, l’attuale tasso di riciclaggio dei rifiuti di plastica si attesta su un misero 14-18 per cento e questo, unito alla natura duratura della plastica e delle microplastiche, ha portato a effetti dannosi sull’ambiente, contribuendo al cambiamento climatico e ponendo rischi per la salute umana. Il principale motore dell’aumento del consumo di plastica nell’Africa subsahariana, dove il 70 per cento della popolazione ha meno di 30 anni, è la domanda di imballaggi, contenitori, pneumatici e altri prodotti in un contesto di forte crescita demografica.
Ma andiamo per ordine. La missione dell’Icipe è quella di contribuire ad alleviare la povertà, garantire la sicurezza alimentare e migliorare lo stato di salute generale delle popolazioni dei tropici, sviluppando ed estendendo strumenti e strategie di gestione per gli artropodi (la parola artropode deriva dal greco e significa “che ha zampe articolate”, ma in realtà in questi insetti non solo le zampe, ma tutto il corpo è formato da tanti segmenti che si articolano fra loro). Si tratta di organismi che possono essere sia dannosi sia utili e dunque lo scopo dell’Icipe è indagare le loro capacità, preservando al contempo la base delle risorse naturali. La visione del centro è quella di essere un presidio pioneristico della scienza entomologica (studio degli insetti) a livello mondiale, per migliorare il benessere e la resilienza delle persone e dell’ambiente rispetto alle sfide di un mondo in continua evoluzione, attraverso una ricerca innovativa e applicata, unitamente a studi esplorativi approfonditi, valutazioni d’impatto, analisi e sviluppo di capacità sostenibili.
Da questo areopago della ricerca scientifica, davvero un vanto per il Kenya, la dottoressa Fathiya Mbarak Khamis, responsabile della piattaforma di bioscienze integrate presso l’Icipe, in un interessante articolo sulla pubblicazione online «The Conversation» spiega che: «Il polistirene, comunemente noto come polistirolo espanso, è un materiale plastico ampiamente utilizzato negli imballaggi alimentari, elettronici e industriali. È difficile da scomporre e quindi durevole. I metodi di riciclaggio tradizionali, come la lavorazione chimica e termica, sono costosi e possono creare inquinanti. Questo è stato uno dei motivi per cui abbiamo voluto esplorare metodi biologici per gestire questo rifiuto persistente. Ebbene il nostro team ha scoperto che le larve del verme della farina minore del Kenya possono masticare il polistirolo e ospitare nel loro intestino batteri che aiutano a scomporre il materiale».
Il verme della farina minore è la forma larvale del coleottero Alphitobius. Il periodo larvale dura tra le 8 e le 10 settimane. Il verme della farina minore, come abbiamo detto, si trova principalmente negli allevamenti di pollame che sono caldi e possono offrire una scorta costante di cibo, condizioni ideali per la loro crescita e riproduzione. Come riportato sulla rivista «Nature» online, che ha riproposto lo studio: «Mentre le diverse capacità dei vermi della farina minori offrono promettenti possibilità nello sviluppo di strategie di gestione dei rifiuti sostenibili, devono essere affrontate sfide come l’ottimizzazione, l’aumento di scala per l’applicazione pratica e la garanzia della sicurezza dei prodotti finali. Inoltre, l’efficacia dei vermi della farina minori nel degradare diversi tipi di plastica e i potenziali impatti sulla loro salute e comportamento richiedono ulteriori indagini, così come la loro capacità di convertire i rifiuti in biomassa ricca di proteine di insetti di alto valore per mangimi animali».
La ricerca, dunque, continua e gli sforzi collaborativi tra scienziati, decisori politici e industrie saranno determinanti per realizzare il pieno potenziale dei vermi della farina minori e di altri organismi simili. Questi sforzi combinati sono la chiave per contrastare la proliferazione dei rifiuti di plastica, fornendo al contempo proteine di insetti di alto valore per promuovere un quadro di economia circolare. La lotta contro la proliferazione della plastica in Africa e a dire il vero nel resto del mondo (dal polistirolo al Pet, il Polietilene tereftalato — cioè lavorato con un acido che si chiama appunto tereftalico — di larghissimo impiego come contenitore in plastica per liquidi, anche in buste), è un problema che non può essere sottaciuto, neanche rinviato. Tutti i governi africani ne sono consapevoli e hanno adottato provvedimenti per arginare l’inquinamento. Sedici di loro hanno addirittura messo al bando la plastica purtroppo senza però introdurre regolamenti chiari per farli rispettare. Una cosa è certa: con il contributo dell’Icipe sono stati fatti passi da gigante nella lotta contro una piaga dalle dimensioni planetarie. La ricerca pubblicata su «Nature» da Fathiya Mbarak Khamis, Evalyne Ndotono, Chrysantus Tanga e Segenet Kelemu fa onore all’Africa.
P. Giulio Albanese – L’Osservatore Romano