Die folgenden Texte sollen eine Handreichung sein. Sie können sie in der vorliegenden Form verwenden. Gerne können Sie sie auch nach Ihren Vorstellungen ändern, andere Lieder auswählen, Texte im Wechsel lesen und Gebete oder Fürbitten frei formulieren.
Dove stai andando?
Luca 24,13-35
Domenica di Èmmaus e del Cristo Pellegrino
La Grande Domenica e le 7 Pasque
La Chiesa celebra il mistero della Pasqua durante 7 settimane, da Pasqua a Pentecoste, un periodo di cinquanta giorni, il tempo della “santa allegrezza”, considerato dagli antichi padri della Chiesa “la grande domenica”. Per tutto questo tempo, la preghiera liturgica era fatta in piedi, come segno della risurrezione: “Noi consideriamo che non ci è permesso digiunare o pregare in ginocchio di domenica. La stessa astensione la pratichiamo con gioia dal giorno di Pasqua fino alla Pentecoste” (Tertulliano).
Queste sette domeniche ci invitano a celebrare la Pasqua… sette volte (la pienezza!). Se domenica scorsa era la Pasqua di Tommaso, oggi è la Pasqua dei due discepoli di Èmmaus, narrata da Luca! Con questo si concludono le (tre) domeniche in cui il vangelo ci presenta dei racconti sulla risurrezione.
Le tre apparizioni di Luca
Nel capitolo 24, conclusivo del suo vangelo, Luca ci racconta tre apparizioni:
1. la prima, al mattino di Pasqua, quella degli angeli alle donne, presso il sepolcro vuoto;
2. la seconda, nel pomeriggio dello stesso giorno, l’apparizione del Risorto ai due discepoli camminando sulla strada da Gerusalemme verso Èmmaus;
3. la terza, in serata, l’apparizione di Gesù agli Undici, a Gerusalemme.
Le tre apparizioni sono per testimoniare la realtà della risurrezione, ma anche per evangelizzare i discepoli sul senso dell’accaduto, che li aveva tanto scandalizzati e lasciati nello sgomento più completo.
Tutto si conclude con l’ascensione in cielo. Notiamo bene che tutto avviene nello stesso giorno, il giorno di Pasqua! È una giornata esageratamente lunga! Come mai? Come conciliare questo con quanto raccontano gli altri evangelisti? Bisogna ricordare che i vangeli sono stati scritti diverse decine di anni dopo. I fatti erano ormai noti nell’ambito delle comunità cristiane, tramandati oralmente. Gli evangelisti, scrivendo il loro vangelo, tengono conto non solo della storia, ma pensano, soprattutto, alla situazione delle loro comunità. Cioè, hanno un’intenzione teologica e catechetica. Qui Luca vuole presentarci quella che è la domenica tipo del cristiano. Si tratta di un artificio letterario. Infatti, all’inizio degli Atti degli Apostoli presenta le cose un po’ diversamente: “Egli si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni” (1,3). Ma passiamo al testo del vangelo.
Vangelo in miniatura
La narrazione dei viandanti di Èmmaus è uno dei racconti più suggestivi dei vangeli. Dice il card. Martini: “Vangelo in miniatura, è un racconto dove fede ed emozione, ragione e sentimento, dolore e gioia, dubbio e certezza si fondono, toccando le corde più profonde del lettore, sia esso credente o soltanto in ricerca, creando profonde risonanze al desiderio di mettersi in cammino verso Colui che offre la pienezza della felicità.”
Chi sono i due discepoli?
Uno si chiama Cléopa. Dell’altro non viene dato il nome. Questo ci permette di identificarci con lui o… con lei! Sì, perché Cléopa pare che sia (secondo una tradizione del II secolo) uno zio di Gesù, fratello di San Giuseppe o, secondo altri, di Maria (cfr. Giovanni 19,25). E, quindi, l’altro potrebbe essere… la moglie! Dunque, una coppia!
Il viaggio verso Èmmaus non è una passeggiata di svago, ma piuttosto il ritorno al loro villaggio, al proprio passato, dopo la grande delusione; la fuga dal crocifisso, dopo la clamorosa sconfitta. “Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele”.
Il tema della strada è caro a Luca. Parlare camminando è quello che fa Gesù nel suo “grande viaggio” verso Gerusalemme, che occupa ben dieci capitoli (9,51-19,27). Mentre Gesù saliva a Gerusalemme, luogo della manifestazione di Dio, questi due si allontanano. La fuga è il peccato originale dell’uomo ed ognuno ha la sua Èmmaus. Non si tratta di un luogo, ma di un meccanismo di fuga che spesso si ripete nella nostra vita. Qual è la mia Èmmaus?
Un compagno di viaggio
“Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro”. Ma loro erano troppo tristi e delusi per poter riconoscerlo. Il Signore si fa raccontare la loro (Sua) storia e con la Parola della Scrittura li aiuta a rileggerla, a capirla; la illumina e le dà senso. E allora il cuore si riscalda e la speranza ritorna: “Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?”.
È la parola che interpreta la vita. Il nostro sguardo sul senso dell’esistenza, sul significato degli eventi della nostra storia, tutto dipende dalla parola che ascoltiamo. Quale parola ascolto per rileggere la mia vita? Quella del ‘mondo’ o quella di Cristo?
Il Signore risorto ci segue nelle nostre fughe, come il buon Pastore che cerca la pecorella smarrita che si è allontanata dalla comunità. Il teologo P. A. Sequeri dice, addirittura, che Dio ci precede nei nostri sentieri di smarrimento per prepararci una trappola e cadere così nelle sue braccia. Egli è “il Dio dei mille agguati”.
Una presenza – assenza!
Attratti dal misterioso Pellegrino, i due viandanti lo invitano a rimanere con loro: “Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto“. E, allo “spezzare il pane” (una espressione dell’Eucaristia), “si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista”. Quando lo “vedono”, finalmente, egli può rendersi invisibile. Perché non è più fuori di loro, ma dentro di loro! E ritornano a Gerusalemme, alla comunità, per condividere la loro gioia ed essere, a loro volta, rinvigoriti dalla testimonianza degli altri. Perché la gioia, come la fede, si moltiplica condividendola.
Questo racconto è un raffinato sunto della domenica, con l’allusione alla comunità cristiana, alla liturgia della Parola che illumina gli eventi della vita, alla liturgia eucaristica che ci nutre e alla missione del cristiano di testimoniare che Cristo è risorto. Siamo noi cristiani di questa domenica pasquale?
P. Manuel João, missionario comboniano
Castel d’Azzano (Verona), aprile 2023
Luca 24,13-35
Si avvicina la sera: ci troviamo al tramonto di una Pasqua non ancora creduta. Si avvicina la sera e Yeshua, il rabbi crocifisso, si accosta a due discepoli in cammino verso Emmaus: indossa vesti di forestiero e i due non lo riconoscono. Si avvicina la sera e la luce del tramonto di una Pasqua non ancora creduta invece che illuminare, oscura: gli occhi dei due discepoli sono tristi (Luca, 24, 17); Yeshua è morto, questa è l’unica certezza che i due hanno. Dopo la scandalosa crocifissione del rabbi restava solo un corpo dilaniato: ora non rimane nemmeno più quello.
«Soltanto tu tra i forestieri residenti a Gerusalemme non hai saputo dei fatti avvenuti in città proprio in questi giorni?» E disse loro Yeshua «Quali?». Gli risposero «Quelli riguardanti Gesù il Nazareno […] che fu profeta potente in azioni e parole […] i capi dei sacerdoti e le nostre autorità l’hanno consegnato perché fosse condannato a morte e poi l’hanno crocifisso. Noi però speravamo che fosse Lui quello che avrebbe riscattato Israele» (Luca, 24, 18). Attese politiche e speranze religiose infrante dal dramma del corpo di un ebreo conficcato a un legno: a turbare ulteriormente le maschili, cocenti disillusioni, sono i “deliri” tutti femminili di certe discepole. «Alcune donne tra noi ci hanno sconvolti: recatesi di buon mattino al sepolcro, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli; […] alcuni di quelli che sono con noi si sono recati al sepolcro, e hanno trovato proprio come avevano detto le donne. Lui però non l’hanno visto» (Luca, 24, 22).
Di colui che avrebbe dovuto riscattare l’intero Israele non resta più nemmeno il freddo cadavere: il corpo del maestro è stato forse trafugato dal sepolcro? Per i due discepoli sconvolti che s’incamminano verso la notte è certa solo la morte di Yeshua: certi sono solo i “deliri” di alcune donne circa la sconcertante assenza di un cadavere. Non v’è altro, in questa Pasqua al tramonto, da raccontare.
Giunge a questo punto della narrazione un’irruenta provocazione, verbale e scritturistica assieme, da parte del forestiero sconosciuto ai due discepoli turbati: «O insensati e tardi di cuore nel prestar fede a tutto ciò che i padri hanno annunciato!» (Luca, 24, 25). E iniziando da Mosè e i profeti fa ermeneutica delle Scritture, collocando il maestro defunto — di cui i due discepoli gli hanno appena raccontato — in una cornice ben definita, in un’ebraica trama di senso teologico.
Chi crediamo perduto per sempre, inghiottito nello sheol, forse perduto non è? È questo ciò che intende il forestiero non riconosciuto?
«Quando si avvicinarono al villaggio verso il quale erano incamminati, egli fece finta di voler proseguire il cammino» (Luca, 24, 27). Fa finta di dover proseguire oltre — il forestiero — come un menzognero d’amore. Dopo l’abbandono, il tradimento e i chiodi conficcati nella carne, ha Lui forse bisogno di sentirsi dire «resta»? E questo «resta» (forse sperato?), questo «resta» così perfettibile, dopo l’umana fuga, l’abbandono, il pesantissimo tradimento, giunge: pure l’uomo ogni tanto sconvolge Dio.
«Rimani con noi, perché è quasi sera, e il giorno è già al tramonto» (Luca, 24, 30). E il forestiero entra in casa dei discepoli e dopo la benedizione spezza il pane (Luca, 24, 31). Ecco che accade l’impensabile, lo sconvolgente, l’inesprimibile; qui, nella notte di Emmaus, risplende il sole della Pasqua in tutto il suo vigore. Gli occhi dei discepoli si aprono (come s’aprirebbero dei sepolcri): si aprono i loro occhi allo schiudersi del senso della Scrittura, durante la cena. Quel forestiero è il loro maestro! Il pane spezzato sortisce lo stesso effetto di un bacio sulla carne: Yeshua scompare proprio nel momento in cui è riconosciuto. I due — con cuore ardente — si alzano e imboccano lo stesso cammino, a ritroso: undici chilometri a piedi nel buio. Tornano a Gerusalemme in piena notte. È a questo punto della storia umana che ha inizio l’inseguimento dell’uomo a Dio: l’inseguimento dell’uomo a un Uomo trafitto e risorto, un rabbi che si credeva perduto e che ora appare (e scompare), intrattenibile. È a questo punto della storia umana che ha inizio un inseguimento che finirà solo alla fine dei tempi e che ancora oggi continua in un dramma amoroso. Non possiamo afferrare Dio nella sua Umanità, possiamo però almeno sfiorarlo, urtarlo nella storia, implorare che resti: che ci abbracci non visto, dal “di dietro” e dal “di dentro” della nostra esistenza; che ci imprima un ebraico bacio sulla carne, all’incrocio di ogni nostro e Suo sguardo, a ogni spezzare del pane.
[Deborah Sutera - L'Osservatore Romano]
Lc 24,13-35
L’affettuosa ironia di Gesù risorto
«Chi è il terzo che sempre ti cammina accanto? / Se conto, siamo soltanto tu ed io insieme / Ma quando guardo innanzi a me lungo la strada bianca / C’è sempre un altro che ti cammina accanto» (La terra desolata, v). Con queste parole T. S. Eliot descrive l’incontro mancato con un personaggio misterioso, che due viandanti non riescono a vedere lungo la strada desolata che percorrono. Il Vangelo di Luca racconta invece che nel pomeriggio di Pasqua i due viandanti alla fine riconoscono il terzo che cammina accanto a loro, mentre discutono e condividono le loro delusioni. Gesù in persona li accompagna e si inserisce nella conversazione: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». I due si fermano «col volto triste», e comincia un lungo dialogo, nel quale il Signore riesce piano piano a guarire i due viandanti dalle loro tristezze e disillusioni: «Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele» (Lc 24, 17-21).
La cura contro la tristezza usata da Gesù è innanzitutto la pazienza di camminare accanto, adeguando il proprio passo a quello dei suoi interlocutori. Rallentando l’andatura diventa possibile far sentire ascoltate le persone con cui si cammina. Solo a quel punto il Maestro può provare a mostrare un altro punto di vista, aiutando a capire cosa è realmente successo, con pazienza: «Cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui» (Lc 24, 27). C’è un tono particolare in tutto questo dialogo. Invece di arrabbiarsi di fronte all’iniziale risposta brusca che riceve («Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?»), il Signore domanda semplicemente: «Che cosa?». C’è un’affettuosa ironia nel modo con cui Gesù si prende cura di questi suoi discepoli delusi, che viene espressa in una splendida versione poetica del dialogo: «Quale Gesù chiede Gesù e si fa raccontare la sua stessissima storia / dal punto di vista dell’agnosticismo» (J. M. Ibáñez Langlois, Il Libro della Passione, ix, 11).
Il Maestro non insegna l’ironia mordace né tantomeno il sarcasmo, ma una certa affettuosa presa in giro, che aiuta a ridimensionare i problemi senza negarli. Un tono in cui si fa sempre sentire la comprensione, che aiuta l’interlocutore a sdrammatizzare la situazione. Non si tratta di negare le preoccupazioni, le inquietudini, i drammi. Si tratta di non prendere troppo sul serio noi stessi mentre affrontiamo i problemi. È un’arte particolarmente importante in famiglia, ancor più adesso che è terminata la fase eroica della “quarantena quaresimale”, e ci troviamo incamminati da vari chilometri sul noioso sentiero, che sembra interminabile, della “quarantena pasquale”. Anche restando chiusi in casa è necessario imparare a rallentare l’andatura per osservare un figlio, per ascoltare il coniuge, per assistere con pazienza un genitore anziano che non riesce a gestire bene una videochiamata… Non è difficile immaginare il sorriso con il quale i discepoli di Emmaus avranno raccontato decine di volte, prima che confluisse nel Vangelo di Luca, il gesto quasi giocoso con cui il Maestro, senza mostrare la minima fretta, «quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, fece come se dovesse andare più lontano» (Lc 24, 28).
Ma si può ancora sorridere nel mondo di oggi? Come i discepoli di Emmaus, anche noi a volte sentiamo il peso delle ansie, come se questa Pasqua non fosse riuscita a rendere il nostro mondo davvero vivibile. In una recente omelia mattutina, Papa Francesco ha invitato a pregare per le donne incinte, che sono inquiete e si domandano: «In quale mondo vivrà mio figlio?». La Pasqua ci riporta l’invito esplicito di Gesù a fidarci della sua parola, senza essere «stolti e lenti di cuore a credere» (Lc 24, 25). Il Maestro ci promette che il mondo che troveranno i nostri figli (e anche noi quando finalmente usciremo dalle nostre case) non sarà una terra desolata. Come dice il Papa, «sarà certamente un mondo diverso, ma sarà sempre un mondo che il Signore amerà tanto». E che guarderà con un sorriso affettuoso e incoraggiante.
[L'Osservatore Romano - Carlo De Marchi]
Gesù cammina con noi anche se non ce ne accorgiamo
Il silenzio può farci coscienti
At 2,14.22-33; Salmo 15; 1Pt 1,17-21; Lc 24,13-35
Anche in questa terza domenica di Pasqua siamo invitati a svolgere il nostro pensiero a Gesù Cristo morto e risorto. La prima lettura ci riporta alla sera del giorno della Pentecoste. Uscito dal cenacolo Pietro, porta voce dei Dodici, rivolge il suo primo discorso agli uomini di Israele e fa il primo annuncio pasquale. Egli li invita a riconoscere l’azione di Dio che si è manifestata nella missione di Gesù e ora nella sua Risurrezione.
Dopo lo strazio della Passione, sopportata da Gesù per portare a compimento il piano divino di salvezza, quello che era parso un fallimento risulta una riuscita, che costituisce il fondamento della nostra speranza. Non era possibile che la morte lo tenesse in suo potere. La condanna a morte di Gesù da parte degli uomini non smentisce quindi il disegno di Dio.
Nella stessa prospettiva si colloca la breve esortazione della seconda lettura. Ancora Pietro ricorda ai cristiani, pellegrini del nuovo esodo inaugurato dal battesimo, che siamo stati liberati dal peccato non a prezzo d’oro o di argento, ma con un prezzo altissimo: il sangue prezioso di Cristo. È l’iniziativa di Dio creatore e Signore della storia che sta all’origine di questo dono. Ne proviene che siamo stati da Lui amati da un amore davvero grande e immenso.
Il brano evangelico ci parla della storia di due uomini che hanno dubitato e perso ogni fiducia in Gesù, i due discepoli di Emmaus. Essi sono guidati dallo stesso Gesù a rileggere le Sacre Scritture e a scoprirvi che la sua Passione non è stata un incidente imprevisto e contrario al disegno di Dio, ma ne è stato il compimento. Eccolo infine entrare nella loro casa e spezzare il pane con loro. A quel gesto lo riconoscono e tornano di corso a Gerusalemme per raccontare agli apostoli la loro incredibile avventura.
Il cammino di questi due pellegrini rappresenta anzitutto l’itinerario di fede dei primi discepoli che passano dalla crisi-delusione per la morte scandalosa di Gesù, alla sorpresa dell’incontro e alla gioiosa trasmissione della fede di Pasqua. Anche noi, la nostra speranza ha spesso il fiato corto. Siamo incapaci di vedere oltre l’insuccesso immediato. Nel mezzo del tunnel oscuro non riusciamo sempre a indovinare la luce che può investirci soprattutto dopo quell’inevitabile momento di purificazione.
Questo brano dei discepoli di Emmaus ci fa immaginare proprio come il Risorto è sempre presente per le vie del mondo, in cerca di fratelli increduli, sfiduciati, scoraggiati, scontenti e senza orizzonte. Tuttavia, per incontrarlo e riconoscerlo, occorre percorrere, come questi due pellegrini, la via dell’ascolto della sua parola e nutrirsi di Lui, vero pane di vita. Quindi, il Signore risorto si fa incontro e si manifesta nella Parola e nei segni del Pane eucaristico.
Alla fine, il vangelo fa notare che, mentre Gesù stava spezzando il pane, sparì dagli occhi dei due discepoli. Non scomparve ma si rese invisibile, perché infatti, dopo l’ascolto della Parola e nell’eucaristia, Egli, propriamente parlando, non vuole più essere soltanto con noi, ma vuole passare ad essere in noi. La parola e il pane di vita dovrebbero allora ce lo mettere dentro.
Non vediamo più il suo volto, perché Egli stesso dovrebbe diventare il nostro volto. In altre parole, Gesù vuole rivelarsi non più fuori di noi, ma dentro di noi, come nostra vita. La nostra vita è così chiamata a diventare la sua stessa vita, cioè una vita che si dona per amore a Dio e ai fratelli. L’episodio dei due discepoli di Emmaus è veramente molto suggestivo: ci rivela le tappe che dovrebbero caratterizzare il cammino di fede di ogni singolo cristiano o di ogni comunità cristiana: la Parola di Dio che ci illumina, il pane eucaristico che ci nutre e l’annuncio a tutti che Cristo vive. Egli è la conferma definitiva e la garanzia sicura della fedeltà di Dio in tutte le sue opere.
Don Joseph Ndoum
Da Emmaus al mondo:
per annunciare l’esperienza d’incontro con il Risorto
Atti 2,14.22-33; Salmo 15; 1Pietro 1,17-21; Luca 24,13-35
Riflessioni
L’esperienza pasquale dei due discepoli di Emmaus (Vangelo) è scandita su tappe evidenti, simili al cammino spirituale di molte persone. L’evangelista ha costruito tutto il suo racconto attorno all’immagine del cammino: un cammino di andata e un cammino di ritorno. Un cammino che allontana da Gerusalemme (con sentimenti di delusione, tristezza, isolamento…) e un cammino di ritorno (con occhi aperti, cuore ardente, passo svelto, gioia per portare una ‘bella notizia’…). Si tratta di un’esperienza esemplare, emblematica. In realtà la strada di Emmaus è il cammino di ogni cristiano, di ogni persona. Il testo di Luca indica anche una chiara metodologia missionaria e catechetica, in cui si riscontrano le tappe del metodo pastorale: vedere, giudicare, agire, celebrare...
- 1. L’esperienza parte da una realtà di delusione e di fallimento: i due discepoli, incapaci come gli altri di trovare un senso ai fatti avvenuti in quella pasqua, si isolano allontanandosi dal gruppo (v. 13-14), hanno il volto triste (v. 17), “noi speravamo… sono passati tre giorni” (v. 21).
- 2. Il cambio di scenario si produce con l’avvento di un viandante, che risulta essere ignaro dei fatti del giorno (v. 15-18). I due accettano di condividere il viaggio con lui e lo ascoltano. Entrano così in una tappa di illuminazione sugli avvenimenti, fatta da Gesù stesso, che spiega loro “in tutte le Scritture ciò che si riferiva a Lui (v. 27).
- 3. Ora sono pronti per la celebrazione e la contemplazione: il cuore dei due discepoli arde (v. 32); pregano assieme il Risorto: “Resta con noi” (v. 29); sono a tavola, assieme (v. 30); Gesù compie il gesto rituale di prendere il pane, recita la benedizione, lo spezza e lo dà (v. 30); si aprono i loro occhi e lo riconoscono (v. 31).
- 4. E finalmente arriva il momento di agire, l’ora della missione: partono senza indugio di ritorno a Gerusalemme, come per un imperativo che nasce dall’incontro con Gesù. Si ricongiungono alla comunità degli altri discepoli e si comunicano le rispettive esperienze con il Risorto (v. 33-35). Ormai i discepoli sono certi che Cristo è risorto e ne sono tutti testimoni, come proclama coraggiosamente Pietro (I lettura) sulla piazza di Gerusalemme la mattina di Pentecoste (v. 32).
Cosa è cambiato? La strada Gerusalemme-Emmaus, il panorama, i chilometri del percorso, le vicende della morte di Gesù, la tomba vuota… I fatti sono ancora gli stessi. Ma ormai c’è una prospettiva nuova: la fede; è cambiato definitivamente il modo di vedere e vivere quei fatti. La fede fa la differenza. “Il racconto evangelico attribuisce la trasformazione alla spiegazione delle Sacre Scritture… L’itinerario dischiuso dalla parola di Gesù incrocia lo sconsolato viaggio di ritorno dei due discepoli e lo fa diventare un cammino di speranza, un progressivo avvicinamento ai progetti di Dio, un pellegrinaggio verso la Pasqua, l’Eucaristia, la Chiesa, la missione fino agli estremi confini della terra” (Card. Carlo M. Martini).
“Resta con noi, perché si fa sera” (v. 29). È la prima e la più commovente preghiera della comunità cristiana rivolta a Gesù risorto. San Giovanni Paolo II, nella lettera Mane Nobiscum Domine (resta con noi, Signore), mette in evidenza il dinamismo missionario che nasce dall’Eucaristia: “I due discepoli di Emmaus «partirono senza indugio» (Lc 24,33), per comunicare ciò che avevano visto e udito… L'incontro con Cristo, continuamente approfondito nell'intimità eucaristica, suscita nella Chiesa e in ciascun cristiano l'urgenza di testimoniare e di evangelizzare… Il congedo alla fine di ogni Messa costituisce una consegna, che spinge il cristiano all'impegno per la propagazione del Vangelo e la animazione cristiana della società”. Da parte sua, Papa Francesco parla della attrazione, del contagio missionario, della gioia cristiana, che accompagnano la diffusione del Vangelo. (*)
I Vangeli della Pasqua sottolineano con chiarezza la fatica e insieme la gioia dei primi discepoli nel credere. I due di Emmaus riconoscono che quel compagno di strada è Gesù quando Egli spezza il pane (v. 35). Quando noi condividiamo la nostra vita e diventiamo pane spezzato per gli altri, è il momento in cui facciamo esperienza di risurrezione; le delusioni si trasformano in speranza. Nel momento in cui ci facciamo dono per gli altri, la vita s’accende di luce e di gioia: diventa una Pasqua!
Parola del Papa
(*) “Gesù è risorto, i discepoli di Emmaus hanno narrato la loro esperienza: anche Pietro racconta che lo ha visto. Poi lo stesso Signore appare nella sala e dice loro: “Pace a voi”… La gioia dell’incontro con Gesù Cristo… è contagiosa e grida l’annuncio: e lì cresce la Chiesa!... La Chiesa non cresce per proselitismo, ma per attrazione; l’attrazione testimoniale di questa gioia che annuncia Gesù Cristo… È la gioia fondante. Senza questa gioia non si può fondare una Chiesa! Non si può fondare una comunità cristiana! È una gioia apostolica, che si irradia, che si espande”.
Papa Francesco
Omelia nella chiesa di Sant’Ignazio, a Roma, 24-4-2014
P. Romeo Ballan, MCCJ