Giovedì 23 marzo 2023
Fratel Angelo Drago è deceduto, presso la nostra comunità comboniana di Castel d’Azzano, venerdì scorso 17 marzo, verso 1:15, all’età di 84 anni. Fratel Angelo è nato a Arre, diocesi di Padova, il 16.2.1939. Dopo il noviziato a Gozzano (56-57) e Firenze (57-58), professò il 15.9.58 e fece la professione perpetua il 15.9.1964. Dopo 4 anni in Inghilterra (59-63), fu destinato in Uganda, dove rimase dal 1963 al 2016. Per problemi di salute fu destinato a Castel d’Azzano nel 2016.

Il 20 marzo mattina abbiamo celebrato il suo funerale. Oltre la nostra comunità, erano presenti alcuni familiari e confratelli e un diacono della sua parrocchia. Il superiore della comunità, P. Renzo Piazza, ha presieduto alla celebrazione. Nel pomeriggio il feretro è stato portato al suo paese.

Funerale di fr. Angelo Drago
20 marzo 2023

Fratel Angelo Drago (1939 - 2023)

Oggi la Chiesa festeggia S. Giuseppe, “padre putativo di Gesù”, l’artigiano di Nazareth, Patrono dei fratelli comboniani. È motivo di consolazione e di speranza affidare al Padre un nostro fratello nel mese a lui dedicato, contando sulla preghiera e la compagnia di colui che è invocato dal popolo come il Patrono della buona morte.

Il Vangelo appena ascoltato ci presenta l’episodio della perdita e del ritrovamento di Gesù nel tempio. Maria e Giuseppe, dopo tre giorni lo trovarono, seduto in mezzo ai maestri, “mentre li ascoltava e li interrogava. Tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte”. Gesù è presentato come colui che ascolta i maestri; la gente come colei che ascolta Gesù, mentre di Maria e Giuseppe è scritto che hanno qualche difficoltà con il loro Figlio: “Non compresero ciò che aveva detto loro”. 

Gesù, la Parola di Dio fatta carne, è interessato ad ascoltare la parola degli uomini e li interroga; già a dodici anni si fa ascoltare e stupisce per il suo insegnamento. Senza la parola, in particolare quella che esce dalla bocca di Dio, l’uomo non vive: “Se tu non mi parli, sono come chi scende nella fossa”, dice il Salmo. Dei genitori di Gesù invece, si dice che hanno difficoltà a capirlo.

Dei quattro defunti di nome Giuseppe che sono passati da questa casa per raggiungere la casa del Padre (Udeschini, Zamboni, Zoppetti e Farina), due, al termine della vita sono stati privati della possibilità di parlare. Al funerale di uno di loro mi chiedevo: “Perché nella malattia Dio gli ha tolto l’uso della parola, quando questa ci fa simili a lui, che da sempre è in dialogo con l’umanità?”

Oggi affidiamo al Padre il nostro Fratello Angelo, che aveva conservato l’uso della parola, ma da tanti anni era stato privato della capacità di udire, di ascoltare. “Beati quelli che ascoltano”, abbiamo l’abitudine di cantare, ma questa beatitudine per tanti anni gli è stata negata. Ha dovuto portare una croce pesante, chiamata sordità.

Quante volte lo abbiamo visto uscire dalla cappella al momento delle letture, dicendo sconsolato: “Non capisco”. Un po’ come Maria e Giuseppe che hanno vissuto la difficoltà a capire Gesù: “Ed essi non compresero”. 

Forse non ci siamo mai chiesti cosa significava per lui ripetere: “Non sento, non capisco!” Quale umiliazione, quale sofferenza.   Ho pensato ad Anna, mamma di Samuele, che non aveva figli, “mentre la sua rivale l’affliggeva con durezza a causa della sua umiliazione, perché il Signore aveva reso sterile il suo grembo. Così avveniva ogni anno: mentre saliva alla casa del Signore, quella la mortificava; allora Anna si metteva a piangere e non voleva mangiare”. Ogni pellegrinaggio diventava per lei una penitenza umiliante. Quante volte per fr. Angelo si è rinnovata la sua pena, la sua delusione di non poter ascoltare, mentre sentiva crescere il sapore amaro dell’emarginazione!

Caro fr. Angelo, immagino che, come fratello missionario comboniano, ti sei confrontato con la figura di Giuseppe, l’artigiano di Nazareth, uomo senza parole e con qualche difficoltà a comprendere il progetto di Dio e le parole del suo Figlio. La tua famiglia ci ha passato una bella foto, che sintetizza un po’ la tua vita di fratello missionario. Tu, con gli abiti da lavoro, in primo piano, in un cantiere. Un artigiano, come S. Giuseppe. Una staggia in mano e gli occhi che guardano in avanti. Lo sguardo è sereno. Dietro a te otto operai, probabilmente formati da te, tranquillamente occupati nel lavoro di costruzione: sono persone comuni, con il privilegio di vivere dignitosamente, guadagnando il pane frutto del loro lavoro. Tu, fratello missionario, che condividevi la loro vita di lavoro, ci fai pensare all’artigiano Giuseppe che ha fatto della sua vita “un servizio al mistero dell’incarnazione”. Tu ne hai fatto un servizio alla missione, offrendo le tue abilità, il tuo tempo, la tua fatica, il tuo sudore.  Dei 64 anni di vita consacrata, ne hai trascorsi 53 in Uganda e 4 in Inghilterra. I confratelli che sono vissuti con te in missione hanno attestato che sei stato un Fratello dalle mani d’oro. Sapevi fare di tutto: l’insegnante nella scuola tecnica, il costruttore di case e di chiese, i molteplici servizi della missione.  Quanti tecnici, muratori, elettricisti, elettrotecnici hai preparato! Qualsiasi cosa ti veniva chiesta, tu la facevi. Sei stato riconosciuto come un grande lavoratore. A causa della sordità hai dovuto interrompere l’insegnamento e questo ti è stato causa di grande sofferenza.

Riflettendo sulla figura di S. Giuseppe e le sue difficoltà, Papa Francesco ha scritto: “Tante volte, nella nostra vita, accadono avvenimenti di cui non comprendiamo il significato. La nostra prima reazione è spesso di delusione e ribellione. Giuseppe lascia da parte i suoi ragionamenti per fare spazio a ciò che accade. Solo il Signore può darci la forza di accogliere la vita così com’è, di fare spazio anche a quella parte inaspettata e deludente della nostra esistenza. Occorre deporre la rabbia e la delusione e fare spazio, con fortezza piena di speranza, a ciò che non abbiamo scelto eppure esiste. Dio può far germogliare fiori tra le rocce”.

Fratello Angelo, oggi ti affidiamo al Padre che ti ha chiamato alla vita e ti ha affidato la missione di rendere presenti alcuni atteggiamenti propri del Santo di cui oggi celebriamo la festa, in particolare attraverso la testimonianza del tuo lavoro. Gli chiediamo di essere benevolo con te come noi siamo benevoli verso coloro che compiono fedelmente la missione ricevuta. La famiglia comboniana si scopre oggi un po’ più povera, poiché perde con te un valido operaio del Vangelo. 

Ma c’è un tempo per ogni cosa, un tempo per nascere e un tempo per morire, un tempo per piantare e un tempo per sradicare le piante. Un tempo per demolire e un tempo per costruire. Aggiungiamo: un tempo per lavorare e un tempo per riposare; un tempo per pagare gli operai e un altro per ricevere la ricompensa che Dio ha promesso ai suoi servi fedeli. Possa tu, finalmente, ascoltare lo Spirito e la sposa che dicono: “Vieni!”

E la voce del Padre che ribadisce: “Vieni, servo buono e fedele, entra nella gioia del tuo Signore!”.
[comboni2000]