Testimonianza di P. Danilo Cimitan: “Dal martirio di Suor Maria de Coppi, un messaggio per la nostra vita”

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Sabato 15 ottobre 2022
Martedì 6 settembre 2022, il giorno del sacrificio della vita di Suor Maria De Coppi. Quella sera Suor Maria mi ha chiamato dal Mozambico alle ore 17:10. Porto nel cuore ancora le sue parole piene di tristezza e dolore per il suo popolo sacrificato e abbandonato da tutti. Alle 20:37 ha inviato un audio alla nipote, Suor Gabriella, pure comboniana, raccontando, come a me, la sofferenza del popolo.

Suor Gabriella vede una chiamata persa della zia via WhatSapp alle 20:58 e la richiama subito. Pochi minuti dopo, verso le 21:10 si odono degli spari che si infrangono nel silenzio. Una pallottola colpisce Sr Maria in pieno volto, poi silenzio… Sr Maria cade a terra, certamente morta sul colpo. Ha dato la sua vita per il popolo che ha amato più di se stessa. La nipote comprende subito dal silenzio che la zia è morta. Le sue ultime parole hanno espresso il dolore per il popolo che stava soffrendo a causa dell’avvicinarsi del gruppo Al Shaabab. È questo il nome che danno ai guerriglieri musulmani dell’Isis. Qualche minuto dopo Sr Angeles una consorella, entra in stanza di Suor Maria per avvisarla che erano arrivati i guerriglieri e la trova, distesa per terra, in una pozza di sangue. Quella notte nella chiesa è nata una nuova martire.

Per qualche giorno non sono riuscito a parlare con nessuno. Suor Maria mi era sempre presente. Pensavo a lei, la vedevo davanti a me. Assieme al suo, mi veniva il pensiero di Gesù, vedevo davanti a me il crocifisso. Gesù in Croce, ai suoi piedi Maria, la mamma. Che sofferenza! Sentivo pure la sofferenza del popolo mozambicano, della famiglia di Suor Maria, dei comboniani e di tutti quelli che l’hanno conosciuta. Allo stesso tempo vedevo Gesù che, dopo tre giorni, è risuscitato per risuscitare anche tutti noi. 

Venerdì 9 settembre, tre giorni dopo, Suor Maria è stata seminata nella terra mozambicana a Carapira, la missione centrale dei comboniani. Suor Maria, come Gesù, ha dato la vita per il suo popolo che tanto ha amato e ama. È una martire. Sento che anche lei, come Gesù, al terzo giorno, è risuscitata, la semente è già sbocciata, è viva. Ora la sento presente e più vicina di prima al suo popolo, a me, alla sua famiglia e a tutti noi. Sta continuando, con più efficacia, a intercedere e proteggere il popolo di Chipene e del Mozambico. Il sacrificio della sua vita si è trasformato in benedizione per tutti.

Sono arrivato in Mozambico nel maggio 1967. Tre giorni dopo l’arrivo, il provinciale mi porta a Mossuril, vicino all’isola di Mozambico e mi lascia solo. Le suore comboniane mi invitano a cena. Un giovane suora, quando mi sente parlare in portoghese, capisce che sono veneto. Mi chiede da dove venivo e scopriamo di essere nati a pochi chilometri di distanza. Era Suor Maria De Coppi di San Michele di Ramera. Nacque tra noi, nel breve tempo, una grande amicizia.

Dopo tre mesi, il vescovo mi chiama al centro diocesi per coordinare la pastorale. Ci siamo separarti. Il 13 aprile 1974, Sabato Santo, sono stato espulso dal Mozambico. Il governo portoghese, assieme a me ha espulso altri dieci comboniani. Avevamo denunciato la violenza e le ingiustizie che il popolo mozambicano soffriva. Qualche mese più tardi ero di ritorno. Il 25 Aprile 1974 con la rivoluzione dei garofani il Portogallo ha cambiato la sua storia. Il 7 settembre 1974 con gli accordi di Lusaka il governo portoghese consegnava il Mozambico ai guerriglieri del Frelimo.

In quel tempo suor Maria era diventata superiora provinciale delle suore comboniane. Il nuovo governo mozambicano, marxista leninista, blocca tutti i missionari nelle loro case. Per muoverci avevamo bisogno di un salvacondotto. Ma non lo davano a nessuno della chiesa cattolica che era considerata nemica. Nel 1975 divento anch’io superiore provinciale dei comboniani. Il governatore che, ancora guerrigliero, aveva assistito in chiesa, alla fine della messa, al mio arresto, da parte di due poliziotti, e tempo dopo all’espulsione, mi concede un salvacondotto illimitato per viaggiare per tutto il Mozambico.

Suor Maria approfitta e viene sempre con me. Per cinque anni abbiamo viaggiato assieme per visitare tutte le missioni. Nel 1976 scoppia la guerriglia contro il nuovo governo, sostenuta dai portoghesi rifugiati in Sudafrica e in Rodesia del Sud. Ogni viaggio era un rischio di vita per le imboscate che avvenivano regolarmente contro le macchine che viaggiavano. Obiettivo dei guerriglieri distruggere l’economia e il nuovo governo. Quante avventure e pericoli vissuti assieme. Passavamo il tempo dei viaggi col rosario in mano pregando.

Un giorno mi chiamano dalla missione di Carapira per andare a prender Fr Mario Metelli. Aveva sofferto un “ictus” e doveva andate in Italia per curarsi. Parto senza Sr Maria. Normalmente per il pericolo dei viaggi non davo passaggio alla gente. Questa volta accolgo tutte le persone che mi chiedono un passaggio, eravamo in dodici nel Land Rover grande. Viaggiavo con il comandante militare che andava a Nacala, al mare, per prendere pesce per il governo e l’esercito. Cento e cinquanta militari di scorta fortemente armati. Nessun pericolo, ho pensato. A pochi chilometri dalla missione, invece, un’imboscata fortissima dei guerriglieri. Strada bloccata da tronchi. Sparatoria infinita. Alla fine, dei dodici del mio Land Rover, undici morti e soltanto io vivo, con qualche ferita. Sessantasei militari uccisi. Il governatore, Americo Nfumo, saputo della mia vicenda offre una piccola scorta e Sr Maria va a Carapira a prendere Fr Mario e lo porta in città, all’aeroporto e lui vola per l’Italia.

Per qualche mese non riuscivo quasi a dormire. Giorno e notte sentivo, nella mia testa, grida e sparatorie. Quasi impossibile mettermi in viaggio. Nell mio cuore era entrata la paura. Qualche tempo dopo anche suor Maria, durante un viaggio, cade in una imboscata e si salva per miracolo. Anche lei, ora, sente paura di viaggiare. Tutti i missionari bloccati dal governo e noi due responsabili, fermati dalla paura. Facciamo una riunione con la comunità missionaria e la parola di Luca 11,1-11 ci illumina. Parla del Padre nostro. “Chiedete e otterrete, bussate e vi sarà aperto…Se voi che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli quanto più il vostro Padre celeste darà lo Spirito a chi lo chiede” (Luca 11, 9-11). Durante la preghiera Suor Maria commenta: “La missione ci sorpassa, non ce la facciamo più. Ma, se noi preghiamo, il Signore ha promesso che ci dà lo Spirito Santo che ci guiderà e ci mostrerà quello che dobbiamo fare”. Decidiamo, come comunità, di pregare di più. Tutti assieme siamo riusciti per anni a pregare, cinque ore al giorno. E continuavamo lo stesso lavoro nel centro catechetico, nella coordinazione della pastorale diocesana e nell’accompagnamento dei missionari, con più facilità ed efficacia.

Lentamente la paura diminuisce. Suor Maria fa un viaggio da sola per le missioni. Sta ritornando da Namahaca. Una grande discesa. Dall’alto vede un villaggio che brucia. La gente scappa. “Suora – dicono – fermati, ci sono i guerriglieri laggiù. Hanno ucciso gente, ci sono bambini e donne feriti”. “Quando ho udito questo – ci raccontò al ritorno – ho sentito dentro di me una forza. Ho accelerato e sono arrivata al villaggio. I guerriglieri non c’erano più, forse, sentendo il rumore della mia macchina hanno pensato ai soldati. Ho caricato, donne e bambini feriti, nel Land Rover e li ho portati all’ospedale di Nacala, a 30 Km. Sono arrivata con i vestiti pieni di sangue”. Più tardi commentava con me: “Sai, Danilo, da quel giorno mi è passata la paura. Ora sento che viaggio tranquilla.”

Io ho vissuto un’esperienza simile. Con la preghiera prolungata è entrata lentamente in me la pace. La paura continuava presente, ma avevo più coraggio. In una riunione degli anziani, una comunità che non visitavo da sei mesi, chiede una mia visita. I guerriglieri non si facevano sentire da un mese. Decido di andare a visitarla, la domenica. Due anziani, Jaime che era lebbroso e Elisio catechista, si offrono di venire con me. Domenica mattina poco prima di partire arriva dalla città Suor Maria e mi dice che il vescovo, Mons. Manuel Vieira Pinto, chiede che io sia presente, alle 9:00, alla messa in Cattedrale. Celebrava quindici anni dell’ordinazione vescovile. Jaime ed Elisio decidono di andare a visitare la comunità di Mueziha da soli. Era lungo la strada principale.

Ritorno dalla cattedrale alle 11:00 e mi dicono che lungo quella strada a pochi chilometri c’era stata un’imboscata. Penso a Jaime ed Elisio. Prendo la bicicletta e corro. Da lontano vedo corpi stesi sulla strada. Mi avvicino. Jaime ed Elisio giacevano per terra assieme ad altri tredici morti. Comincio a togliere i corpi dalla strada. Prendo in braccio Jaime. Sembrava appena morto. I miei vestiti si riempiono di sangue. In quel momento vivo un’esperienza fortissima. In pochi istanti rivedo tutta la mia vita. Sento dentro una voce. “Avresti dovuto essere anche tu qui. Ma sei ancora vivo. Perché hai paura. Metti la tua vita nelle mie mani e non aver paura”.

Ancora non avevo ritirato tutti i corpi dalla strada, quando la gente del villaggio poco lontano arriva correndo e gridando. “Padre, vieni, i guerriglieri hanno bruciato il nostro villaggio e ci inseguono”. Scappiamo, correndo e ci rifugiamo nella chiesa della missione. I guerriglieri si sono accampati a 500 metri dalla missione e, prima del mattino, se ne sono andati. E, da quel giorno, io ho perduto la paura di viaggiare, che tanto mi faceva soffrire. Quindici giorni dopo mi chiamano per soccorrere il P. Canova che viveva a Mecuburi, a 70 Km dalla città di Nampula. Era stato ferito gravemente in una imboscata dei guerriglieri e aveva perduto molto sangue. Ci ho impiegato tre giorni. Passato per tre imboscate, attraversato un villaggio che bruciava. Alla fine, siamo arrivati all’ospedale di Nampula e il padre Canova si è salvato. Tre giorni, sempre tranquillo, anche in mezzo ai più grandi pericoli. La paura era sparita.

Un anno dopo è venuto ad orientare i nostri esercizi spirituali, dall’Italia il P. Silvano Fausti, gesuita, grande biblista, amico del Card Martini. Lui, ascoltando le nostre esperienze, ci disse: “Voi avete ricevuto il dono del martirio”. Quando si mette assieme la preghiera prolungata e ci si riempie le mani e i vestiti con il sangue dei piccoli e dei poveri, il Signore fa il dono del martirio. Martirio è testimoniare l’amore, fino al dono della vita, senza paura della morte. In quel momento ho capito come i martiri possano affrontare la morte serenamente. Come lo ha fatto Sr Maria.

Nel 1987 ho cambiato missione. In Brasile, rettore di un seminario teologico, internazionale, che forma missionari provenienti dai vari continenti. Dopo un anno, ricevo una lettera da Suor Maria. Scriveva:

“Danilo, venivo da Nacaroa a Netia in una auto-colonna nella quale viaggiava un camion pieno di allievi ufficiali. Nelle fermate ci siamo conosciuti. I guerriglieri, certamente, sapevano e devono aver preparato l’imboscata per ucciderli. Il mio Land Rover era davanti a loro. Cominciata la sparatoria sono uscita dalla macchina. Non so come, sono svenuta. Un militare mi ha trascinato lontano dalla strada. Una pallottola lo ha colpito. È caduto sopra di me. Mi sono svegliata. Ero dietro ad un termitaio. I guerriglieri hanno bruciato l’erba alta. Un altro allievo ufficiale mi ha trascinata fino ad un torrente vicino. Mi sono salvata per miracolo. Molti morti. Sai, mi è ritornata la paura. Rivedendo gli ultimi tempi, mi sono accorta che ho ridotto la preghiera a meno di due ore al giorno. Devo ricominciare come facevamo assieme in passato, le nostre cinque ore, ogni giorno.”

Suor Maria ha ricominciato a pregare più a lungo, ha continuato a riempirsi le mani e i vestiti con il sangue dei poveri. Alla fine, a 82 anni, quasi cieca, ha confermato il dono del martirio.

Il suo cuore tenero non resisteva a vedere le persone nella sofferenza. Ha sempre vissuto una passione autentica per i poveri, per i bambini. Visitava, incontrava, accompagnava le persone, voleva bene agli africani come a figli suoi, con tenerezza materna. Si sedeva per terra, mangiava con loro, piangeva e rideva con loro, li ascoltava per ore con attenzione, parlava Makhuwa, la lingua del suo popolo, come una di loro. Cercava nel suo piccolo di aiutare e soccorrere tutti, come meglio poteva. Anche pochi giorni prima della morte mi diceva: “Mandami qualche centinaia di Euro per mezzo di suor Linda che viene giù in ottobre. Scrivi che sono per tre alunne di Chipene che devono andare alla scuola superiore di Nacala e per aiutare i poveri. Chiederò alla provinciale che mi lasci qualche soldo per dare qualcosa alla mia gente che soffre. Sai, ho il cuore molle, non resisto al vederli soffrire tanto”. Si è fatta davvero mozambicana.

Il messaggio principale che Suor Maria mi lascia è: preghiera prolungata e riempirsi le mani con il sangue dei poveri per difenderli. Oggi in questo mondo in guerra e violenze infinite sento che la nostra martire lascia anche alla Chiesa un grande messaggio.

Il mondo cristiano si è allontanato molto dal Vangelo e dal progetto di Gesù. Cristiani nel mondo fanno la guerra, uccidono i fratelli, hanno sfruttato i poveri durante secoli e continuiamo a farlo. L’Europa cristiana con la colonizzazione ha succhiato il sangue dei popoli, africani, asiatici e latinoamericani per secoli e, in parte, sta continuando. Abbiamo tollerato la schiavitù per secoli e ora con gli emigranti che vengono, molte volte a mendicare un pezzo di pane, siamo intolleranti e li vorremmo gettare in mare. Il comandamento di Gesù: “Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato” è divenuto una parola vuota.

Suor Maria con la sua vita e il suo martiro ci ricorda che, come comunità cristiane, dobbiamo tornare allo spirito della Chiesa primitiva, la chiesa dei martiri dei primi secoli. La Chiesa di Gesù è nata col martirio e rinascerà se ritorniamo allo spirito dei martiri. Abbiamo bisogno più che mai del dono del martirio per testimoniare a tutti l’amore, quello vero, quello di Gesù. Il mondo si cambierà quando ci sforzeremo ad amare come ci ha amato Gesù, fino al dono della vita. “Riceverete la forza della Spirito Santo che verrà sopra di voi e sarete miei testimoni (martiri di me) in Gerusalemme, in tutta la Giudea e Samaria e fino ai confini della terra” (Atti 1,8). E il martirio si vive quando si mette assieme la preghiera prolungata che ci ottiene lo Spirito e ci si riempie le mani e i vestiti con il sangue dei piccoli e dei poveri, difendendo la loro vita e trattandoli come veri fratelli e sorelle.

Suor Maria, nostra martire ci ricordi e ci aiuti a vivere ogni giorno come “martiri di Gesù” testimoni del suo amore in tutto il mondo.

Ricordo che lei ripeteva ogni giorno: “Ti ringrazio Padre, perché mi hai mandato ai più poveri, agli emarginati e a coloro che non contano nulla!”.

P. Danilo Cimitan
[comboni2000]