Il Vangelo ci parla con pochissime parole di un viaggio verso i monti della Giudea. Vorrei che ci soffermassimo su questo aspetto. Sapete che cosa potesse significare in una società arcaica il fatto che una giovane ragazza si mettese in viaggio per andare molto lontano? Si trattava di una missione impossibile. Eppure, si è realizzata.

Non sappiamo come siano state superate le difficoltà, ciò che conta è che Maria ha sentito il bisogno imperioso di visitare la sua lontana parente Elisabetta, non per fare due chiacchiere da bar, ma per aiutarla nella sua gravidanza avuta in tarda età e, perciò, bisognosa di cuore più attente. Inoltre, devono condividere la gioia per il grande dono ricevuto da Dio. Infatti, entrambe le donne sono state chiamate, anche se in misura diversa, a collaborare al piano della salvezza. La venuta di Gesù genera gioia, fin dal grembo materno. Questo secondo aspetto genererà la lode a Dio per il suo intervento, lode che noi abbiamo nell’Ave Maria di Elisabetta e nel Magnificat di Maria.

Anche noi non dobbiamo mai dimenticare qual è la sorgente vera della nostra gioia. Ma è il primo aspetto che merita di essere sottolineato, perché rischia di passare sotto silenzio. Maria si è messa a disposizione di Dio, con il suo atto di affidamento: “si faccia di me secondo la tua parola”. Il viaggio di Maria e la sua permanenza di tre mesi presso Elisabetta, mostrano che la disponibilità verso Dio diventa servizio verso le persone, anche in situazioni difficili e anche a costo di dovere vincere vecchie regole sociali. Noi possiamo qui pensare a quante scuse accampiamo, quando rimandiamo i nostri compiti di servizio e ci lasciamo fermare da ostacoli che, per quanto importanti, non sono invincibili. Il servizio fraterno, svolto tenacemente, è l’identità vera del credente.

La celebrazione del Natale è autentica se esprime questa rinnovata decisione di agire per amore. Ovviamente il discorso si può approfondire nella direzione dell’umanità di Dio, della dignità della donna, della protezione della maternità, della sacralità della vita, del valore della famiglia.

Assaporare e annunciare il Natale

Michea  5,1-4; Salmo  79; Ebrei  10,5-10; Luca  1,39-45

Riflessioni
Alle porte del Natale, la Parola di Dio ci offre oggi tre chiavi de lettura per comprendere, gustare ed annunciare ad altri il mistero che celebriamo. Queste chiavi si chiamano: Maria, la carne. la piccolezza.

1-   Anzitutto, Maria, che l’evangelista Luca ci presenta nel fatto della Visitazione alla parente Elisabetta (Vangelo). In un clima di fede e di gioia intensa, si produce l’incontro fra due donne, che sono divenute madri gestanti per uno speciale intervento di Dio: Elisabetta nella sua anzianità, Maria nella sua verginità. Ambedue sono ripiene di Spirito Santo (v. 35.41), attente a cogliere i segni della sua presenza, pronte a lodarlo e a ringraziarlo per le sue opere meravigliose (v. 42-48). Questi elementi fanno della Visitazione un mistero di fede, gioia, servizio, annuncio missionario. Maria, frettolosa nel viaggio (v. 39), portando in grembo Gesù, è immagine della Chiesa missionaria, che porta al mondo l’annuncio del Salvatore. (*)

Beata colei che ha creduto”, esclama Elisabetta (v. 45). È la prima beatitudine che appare nei Vangeli. Per la fede Maria ha concepito nel suo cuore il Figlio di Dio prima ancora di generarlo nella carne. Ha creduto, cioè si è fidata, si è abbandonata in Dio. Le parole di Maria: “ecco la serva del Signore: avvenga...” (v. 38) sono in sintonia con il ‘’ di Gesù, il quale, secondo l’autore della lettera agli Ebrei (II lettura), entrando nel mondo, ha detto: “ecco, io vengo per fare, o Dio, la tua volontà” (v. 7.9). Questo è l’unico culto gradito a Dio, il culto dei veri adoratori del Padre “in spirito e verità”, come Gesù stesso lo rivelerà anche alla samaritana (Gv 4,23).

2-   La carne è la seconda chiave del mistero del Natale. Da molto tempo  -possiamo dire da sempre-  Dio non si diletta del profumo degli incensi e del fumo delle carni degli animali immolati nel tempio, come ripete la lettera agli Ebrei (v. 6.8). Egli vuole abitare in un tempio di carne, nel cuore delle persone, diventare il centro di ogni pensiero e interesse, la ragione di ogni scelta e decisione, la radice di ogni gioia. Solo a questo livello si può parlare di vera conversione del cuore, una conversione che va al di là di gesti puramente rituali, di pratiche superficiali e formule astratte ripetute a memoria.

Gesù è il vero adoratore del Padre: fin dal primo istante del suo ingresso nel mondo, non offre al Padre animali o incensi (v. 5-6), ma presenta se stesso, il suo corpo, come offerta d’amore per santificare tutti (v. 10), senza escludere nessuno, perché Egli “non si vergogna di chiamarli fratelli” (Eb 2,11). I Padri della Chiesa nei primi secoli, con grande senso teologico ed antropologico, amavano ripetere: “Caro salutis est cardo” (la carne è il cardine della salvezza). Sottolineavano in questo modo che Dio ha voluto rendere manifesta e concreta la sua salvezza, facendola passare attraverso la carne umana del Figlio di Dio, il figlio di Maria.

3-   Questa meravigliosa opera di salvezza si realizza nella piccolezza, attraverso segni piccoli e poveri, persone e realtà umili. Un esempio biblico è Betlemme (I lettura), villaggio piccolo ma culla di un dominatore che “pascerà con la forza del Signore”, darà sicurezza e pace al popolo, “sarà grande fino agli estremi confini della terra” (v. 3). Betlemme è un paesetto insignificante, ma Dio lo sceglie per farvi nascere colui che è ‘la Notizia più Bella’ per tutti i popoli. All’origine di tale avvenimento, c’è Maria, che esulta e canta, cosciente che Dio “ha guardato l’umiltà della sua serva” (v. 48).

Anche oggi, Dio compie le sue opere grandi per mezzo di strumenti poveri, gesti umili, situazioni umanamente disperate. Viene da domandarsi: ma allora, chi si salva? Coloro che, con cuore sincero e disponibile, accolgono il mistero di quel Bambino, nato a Betlemme più di 2000 anni fa; coloro che ne ascoltano il messaggio, si fanno costruttori della sua pace, portatori della sua gioia, messaggeri della sua misericordia, missionari che lo annunciano. Come Maria, come i pastori!

Parola del Papa

 (*)  “Maria ci insegna che, nell’arte della missione e della speranza, non sono necessarie tante parole né programmi, il suo metodo è molto semplice: camminò e cantò. Maria camminò. Così ce la presenta il Vangelo dopo l’annuncio dell’Angelo. In fretta  -ma senza ansia-  camminò verso la casa di Elisabetta per accompagnarla nell’ultima fase della gravidanza; in fretta camminò verso Gesù quando finì il vino nelle nozze; e già con i capelli grigi per il passare degli anni, camminò verso il Golgota per stare ai piedi della croce; su quella soglia di oscurità e di dolore, non si nascose e non andò via, camminò per stare lì. Camminò fino a Tepeyac per accompagnare Juan Diego e continua a camminare…, per dire: «Non sono forse qui io che sono tua madre» ”.
Papa Francesco
Omelia nella festa di Santa Maria di Guadalupe, 12 dicembre 2018

[P. Romeo Ballan, MCCJ]

Il grembo di Maria s’è fatto tempio di Dio

Mic 5,1-4; Salmo 79; Eb 10,5-10; Lc 1,39-48

Questa domenica costituisce l’ultima tappa preparatoria alla grande attesa. Maria, appena madre del salvatore, porta in fretta ad Elisabetta i primi frutti della redenzione; Giovanni Battista nascosto ancora nel grembo della madre, esulta di gioia; Elisabetta, piena di Spirito Santo, riconosce in Maria la madre di Dio e la proclama beata perché ha creduto; e dal cuore di Maria esplode il magnificat, in cui ella loda il Signore che privilegia i poveri e i piccoli, che usa misericordia e capovolge le situazioni di peccato, disperdendo i superbi ed innalzando gli umili...

Assistiamo qui ad un incontro tipo e modello della festa cristiana, con la lode divina al centro. L’Episodio della visitazione nel vangelo pone Maria come colei che ha preparato più direttamente la nascita storica del Salvatore. Esso viene immediatamente dopo il "si" che ha permesso al progetto di Dio di realizzarsi. Egli infatti "ha guardato l’umiltà  della sua serva",  la sua apertura credente, la sua disponibilità  alla volontà  del Signore.

La stessa disponibilità  alla volontà  del Signore è anche il tema della seconda lettura. Per l’autore della lettera agli Ebrei, tutta la missione storica di Gesù sta sotto questo segno della disponibilità -fedeltà  a Dio. Perciò questa lettera riprende un’espressione del salmo 40 (sintesi o scopo di tutta la rivelazione) per indicare il contenuto del "rotolo del libro", cioè della Bibbia: “fare, o Dio, la tua volontà”. E ’quello che ha capito Maria. "Beata colei che ha creduto!...", ossia che non si è attaccata ad un altro, si è fidata di Dio e si è lasciata portare da lui.

Maria ci dà  una lezione di fede. Aver fede, in fondo, significa credere che Dio è fedele e mantiene per sempre la sua parola. E Dio non delude quando un credente smantella le proprie difese o sicurezze e si arrende totalmente a lui, il "Potente". Infine, le parole del signore a Maria per Gabriele sono appena terminate quando ne ascolta altre, per bocca della cugina Elisabetta. Il Signore ci può parlare nei modi diversi. Anche in un incontro, normale o banale, possiamo trovare una "Elisabetta" dalla quale ci viene una parola di Dio. L’importante è che sia accolta con fede e conduca al rendimento di grazie. Purtroppo, oggigiorno, ognuno sa tutto e nessuno ha consigli o lezioni da ricevere, ma solo da dare .
Don Joseph Ndoum