Martedì 23 novembre 2021
P. Alessandro Zanoli ci ha lasciati venerdì scorso, 19 novembre, alla veneranda età di cento anni. Era il “decano” dell’istituto comboniano. Questa mattina di lunedì ci siamo congedati di lui. Oltre alla nostra comunità di Castel d’Azzano, erano presenti alcuni confratelli di Verona Casa madre e P. Fabio Baldan, il nostro superiore provinciale. La celebrazione del funerale è stata presieduta da P. Renzo Piazza, superiore della comunità. Qui di seguito la sua omelia.
Funerale del P. Alessandro Zanoli
22 novembre 2021
P. Alessandro, si può presentare? Sono padre Alessandro Zanoli, e sono nato alle Budrie di San Giovanni in Persiceto nel 1921. La mia mamma è deceduta a 33 anni, quando io ero in seminario. Non ho potuto assisterla e neanche andare al funerale. All’epoca non si poteva uscire dal seminario. Sembrava che il comandamento “Onora il padre e la madre” non esistesse…
Mio fratello è morto giovane nei campi di concentramento in Germania e mia sorella è morta alcuni anni fa. Sono l’unico rimasto della mia famiglia. Sono entrato molto giovane nel seminario apostolico comboniano di Riccione e dopo due anni di Riccione sono passato a Brescia per completare il ginnasio. Da lì sono andato in noviziato un anno a Venegono e il secondo anno a Firenze. Il Signore solo sa che non avevo nessuna intenzione. Ma trovai due miei amici che mi dissero: Andiamo in seminario a Riccione dai comboniani. E io dissi: Vengo con voi. Quei due sono tornati a casa, io per grazia di Dio sono ancora qui.
Dove ha trascorso i 70 anni di sacerdozio? 5 anni a Troia, 8-9 anni come padre Maestro a Londra, a Sunningdale e dopo, circa 40 anni in Africa: Sud Sudan, Uganda, Kenya, e due anni in Eritrea. Sono stati tutti anni belli, ma se dovessi preferire, direi che i migliori sono stati gli anni di missione. È strano: dopo 2-3 settimane che ero in Sud Sudan dovevo morire per la malaria… ma poi mi sono ripreso e sono ancora qui.
Qual è il sogno per il suo futuro? Vorrei solo essere dimenticato perché se mi dimenticano, tutto andrà bene. Solo spero che il buon Dio si ricordi del poco bene che ho fatto. Vi dico una cosa: cerchiamo di far contento Dio e tutto andrà bene, altrimenti capitola tutto.
Il ricordo più bello dei 100 anni? Quando mi hanno mandato in missione in Sudan.
Cosa si sente di dire ai suoi confratelli? Di amare molto la propria vocazione, ringraziare Dio di questo dono e non scoraggiarsi mai.
(Da un’intervista in occasione dei 70 anni di sacerdote)
Una persona che muore a 100 anni non lascia nessuno indifferente. Una lunga vita parla da sola. Se poi è stata spesa bene, è già una testimonianza. Fa pensare a ciò che dice il libro del Deuteronomio a proposito di un “grande” ultracentenario, che ha marcato la storia di Israele: Mosè. “Mosè, servo del Signore, morì in quel luogo, nella terra di Moab, secondo l’ordine del Signore. Mosè aveva centoventi anni quando morì. Gli occhi non gli si erano spenti e il vigore non gli era venuto meno”. San Gregorio di Nissa commenta: «Noi impariamo di là che, essendo passato per tante fatiche, fu giudicato alla fine degno di essere chiamato con il nome sublime di servo di Dio, ciò che equivale ad essere superiore a tutto. Impariamo a non avere se non uno scopo in questa vita: di essere chiamati servi di Dio a causa delle nostre azioni. Se il termine della coltivazione dei campi è gustarne i frutti, della costruzione di una casa è abitarvi, del commercio è arricchirsi, delle fatiche dello stadio è essere coronati, il termine della vita spirituale è essere chiamati servi di Dio».
P. Alessandro ha servito il Signore sempre, in umiltà e semplicità, rimanendo sulla breccia ben al di là dei 90 anni.
Ha mantenuto sino alla fine una freschezza di mente invidiabile: non c’era bisogno di gridare perché capisse e ha continuato a seguire la vita della congregazione e della comunità, da uomo vigile, attento, a cui non sfuggiva nulla.
Come dimenticare i suoi commenti quando un confratello sull’altare faceva un po’ di confusione o ritardava un po’ ad iniziare una preghiera?
Possiamo dire di lui che è stato “un grande”: per la lunga vita, il lungo e appassionato servizio missionario, la qualità e la rettitudine della sua esistenza. Nello stesso tempo, come Mosè, è stato un uomo umile, schivo. Colpisce il suo desiderio di essere dimenticato e ci viene spontaneo applicare a lui le parole del salmo 130:
Signore, non si inorgoglisce il mio cuore, e non si leva con superbia il mio sguardo; non vado in cerca di cose grandi, superiori alle mie forze. Io sono tranquillo e sereno come bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è l’anima mia.
Aveva interiorizzato le parole del Vangelo: “Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo. Se muore, porta molto frutto”.
Ora il Padre lo onorerà.
Faceva tenerezza quando veniva a dirmi, dandomi sempre del lei: “Mi hanno rubato la corona del rosario. Non ne avrebbe un’altra per favore?” E quando ne mettevo una nuova tra le sue mani ringraziava e aggiungeva: “Il primo rosario che reciterò, sarà per lei”.
Quante volte ha ringraziato per le semplici visite fatte durante gli ultimi giorni, lieto di poter condividere una piccola preghiera e contento di sapere che anche i confratelli e i parenti gli erano vicini, lo ricordavano, pregavano per lui e lo salutavano.
P. Alessandro, ha fatto amare i suoi cento anni, vissuti con grande serenità e grande umanità. Al sindaco imbarazzato su cosa offrire per la sua festa (“Per le donne è facile, si offrono i fiori…”) suggerì: “Porti pure una bottiglia di vino buono…”.
Ha amato profondamente la missione: la partenza per il Sudan il più bel ricordo dei suoi 100 anni; il periodo trascorso in Africa, il più bello della sua vita.
Ha amato la congregazione, offrendo gli anni della giovinezza per la formazione dei futuri comboniani e gli anni della maturità per accompagnare i padri studenti in un momento difficile della storia. Ha amato la comunità di Gozzano dove si è impegnato nel ministero pastorale da ultra novantenne e ha amato Castel d’Azzano dove è venuto in obbedienza, si è inserito senza difficoltà e ha chiesto di essere messo in stanza doppia “perché così ci facciamo compagnia”.
Ha amato la missione in Europa, stimando la gente di Londra e facendosi amare da quelli di Gozzano: “E’ stato un sacerdote di grande fede e saggezza che ha illuminato il cammino di molti fedeli” ha scritto il parroco di quel paese. È stato facile accompagnarlo negli ultimi giorni della tua vita, trascorsi nella serenità, nonostante i dolori. “P. Alessandro, mi sembra che stai tribolando un po’…” gli dicevo. E lui: “E’ vero, ma me lo sono meritato…!”
P. Renato Rosanelli, il compagno di stanza che ha vigilato su di lui negli ultimi giorni, è stato consolato nel constatare che quando recitava la prima parte dell’Ave Maria, P. Alessandro riusciva a terminarla sempre, nonostante le sue condizioni fossero particolarmente compromesse.
Uno degli ultimi giorni, a chi gli chiedeva “P. Alessandro, come va?”, rispondeva: “Non vedo l’ora…” L’ora che la fatica finisca… l’ora di lasciare questa terra… l’ora di stare con il Signore per sempre…
Commentando la morte di Gesù, il Card. Martini scrive: Io penso che ciascuno di noi, anche quando affronta la morte nella fede, nella speranza e nell’amore, la subisce dal di dentro della propria esistenza psichica. Gesù ha vissuto la sua morte come vera morte, non soltanto come passaggio, ma come fine, come distruzione, come annientamento della vita.
P. Alessandro non è stato esente da questa prova. Forse per questo lo abbiamo sentito gridare “Aiuto!”
P. Alessandro, a nome di tutti ti vogliamo ringraziare per la tua vita donata alla causa del Vangelo. Grazie per il tuo servizio vissuto in umiltà. Ora è tempo che il Padre ti onori e ti accolga accanto a sé, con Gesù e con tutti i Santi.