Buon Natale a tutti
Salve carissim@,
Pace e bene. Questa pagina è spuntata senza preavviso dai miei diari. La scrissi uscendo illeso da un'avventura. Non corrisponde alla festa di Natale, ma è la premessa per la sorpresa alla fine della lettera.
La mattina di una splendida giornata sono partito all'alba per la messa domenicale nella Cappella di Ekango, missione di Maboma (Congo). Ekango è una comunità cristiana modesta, poco organizzata, dove catechisti e animatori fanno quello che possono, ma è gente molto accogliente. Guidare sul sentiero che si snoda nella fitta foresta congolese dell'Ituri, ancora sommerso dalla rugiada della notte, era una piacevole passeggiata di venti chilometri. L'unica difficoltà che mi aspettava, erano i due piccoli ponti a metà strada.
Aveva piovuto tutta la notte, mi sentivo bagnato fradicio fino alle ginocchia, ma contento a volteggiare in moto fra le alte erbe fresche, dentro e fuori pozzanghere e rivoli d’acqua. Era una visita domenicale di routine: confessioni, eucaristia, visite ad alcune famiglie, discussione di alcuni problemi. All'improvviso, ecco il primo ponte!
Con mia grande gioia, era ben sistemato: il tronco d'albero diritto e livellato era una bell’asse bianca larga 15 cm; allineato vicino, un palo su cui appoggiare un piede, per sicurezza. Passo con facilità. Non così il secondo: c'era solo il tronco contorto ed un po' marcio. Il palo di sostegno rotto a metà era piegato fino ad affondare nell'acqua fangosa.
Faccio delle acrobazie: in equilibrio difficile, metto la moto in prima e accompagnandola dal basso mi lascio scivolare lentamente fino all’acqua sul palo spezzato. A metà cammino la moto è quasi all'altezza delle mie spalle. Mi è andata bene – mi dico orgoglioso -. Il problema sarà quando al ritorno dovrò fare tutto al contrario.
Dopo l'Eucaristia e il pasto frugale con i cristiani di Ekango, la giornata continua ad essere splendida. Decido di andare a Bedegao, una piccola comunità che ancora non conosco. Due km in moto, poi attraverso una stupenda maremma su una sgangherata piroga, cammino un’ora piedi, passo in canoa il fiume Nepoko, altri quindici minuti a piedi e ci sono. Il sole splende imperterrito e mi attardo a contemplare un sacco di cose belle: il panorama, i bambini affettuosissimi che corrono ad abbracciare il mupe Jean-Paul, i pigmei con i loro archi e frecce, una donna che intreccia una deliziosa canasta. Faccio sempre i conti con il sole che scende impietoso all’orizzonte e mi ripeto: Ricordati, devi passare i due ponti prima di notte. Come faccio al buio se ho dei problemi, specialmente sul ponticello con il palo rotto? I due torrenti che tagliano il sentiero e i ponti-troco sono a pochi km l'uno dall'altro.
Sono le quattro del pomeriggio e sono di ritorno a Ekango all'ora prevista. Il sole è sempre luminoso e ardente. All'improvviso, mentre sistemo sul portapacchi della moto la valigetta della messa, scoppia un tuono da un angolo invisibile della giungla: ho imparato a mie spese che questo è l'annuncio elegante di un grosso temporale in arrivo.
Parto a tutta velocità, in mezzo alle alte erbe che non ti lasciano vedere il suolo, svincolando tra alberi in piedi e caduti, attraverso pezzi di bambù e termitai, saltando su pozzanghere e radici. Mancano ancora tre km ai ponti quando sibila il primo colpo di vento, una fine pioggerella filtra attraverso gli arbusti e le alte piante: accelerare di più non posso, spero sempre che il grosso del temporale arrivi dopo i ponti.
Manca solo un km e sorpasso tre file di pigmei che tornano da una festa: mi salutano felici, mi chiamano per nome, incuranti del vento e del temporale che minaccia. Bene, mi dico, fra dieci minuti saranno anche loro al ponte dal palo rotto, se avrò difficoltà, li aspetterò. La Jaguar salta sulle radici, sfiora le rare pietre, taglia le curve senza ritegno alcuno. Voglio passare il ponte rotto prima dell'uragano. Vi arrivo sotto il primo violento scroscio di pioggia: paura inutile la mia. Vicino al tronco c'è un altro palo su cui appoggiare il piede sinistro: coperto dall'erba la mattina è ora scoperto dal vento. Le ruote della moto si avvinghiano al tronco e passo senza problemi guardando il torrente ormai un fiume in piena.
La ruota davanti non ha ancora toccato terra dall'altra parte che si scatena il putiferio: il vento m’investe con raffiche di fogliame, brandelli di rami secchi, scrosci di pioggia; gli occhiali -i miei non hanno il tergi cristallo- in tre secondi si coprono d’acqua e fango; in cielo si ammucchiano cavalloni scuri e sotto gli immensi alberi della giungla che s’ergono a 30-40, persino da 50 metri, il pomeriggio si trasforma in una notte buia. Il fango fa girare le ruote, l'oscurità si fa sempre più fitta e penetrante, devo accendere i fari. I tuoni e i fulmini che sotto gli alberi con i riflessi della moto sono orribili e pericolosi, avvolgono tutto. Devo trovare riparo, e il primo villaggio è a due chilometri di distanza, sbrigati, mi dico. Assumo il rischio e mi lancio. Una curva nel sentiero, un ramo spezzato che mi costringe a chinarmi, una svolta per evitare un tronco caduto: appena rimetto in assetto la Jaguar, all'improvviso sopra i miei già inutili occhiali, intravedo una linea bianca che a pochi metri di distanza mi viene incontro veloce: l'altro ponte!
Completamente dimenticato! Un ordine mi risuona nella mente alla velocità del pensiero: non frenare, accelera per dare stabilità alla moto e che il Buon Angelo di Dio ti protegga.
No mi crederete. Non ho sentito nemmeno l’attrito delle gomme sul tronco, la moto non ha sbandato di un millimetro, in due secondi ero dall’altra parte. Se avessi preso paura e frenato, sarei finito nel torrente già profondo alcuni metri; se uscendo dalla curva non fossi stato in perfetta linea con il tronco, mi sarei sfracellato la testa fra tronco e palo, se non avessi accelerato alleggerendo la ruota davanti la moto si sarebbe ribaltata contro il dislivello fra tronco e sentiero. L’unica reazione mentre m’infilavo sotto un rovescio di pioggia: Grazie. Angelo Custode, meno male che ci sei.
Il sentiero era ormai un pantano, con pezzi di rami d’albero e di palma africana, cespugli di ogni genere che cadevano ad ogni curva. Ma non valeva più la pena fermarsi ad aspettare che smettesse di piovere, perché il fango si sarebbe poi attaccato alle ruote. Arrivo a casa dopo 40 minuti, fradicio fino all'osso - ma con tutte le ossa intere! - quando l’uragano lascia spazio ad un soave tramonto e il sole riappare. Eppure ho i brividi: sarà per la pioggia o è la pelle d'oca dell'avventura? Non lo so: l'acqua fredda nel secchio, l'unica che abbiamo, mi sembra calda, mi ravviva e mi ritrovo a pregare a bassa voce e in Swahili una breve e simpatica preghiera: Malaika mlinzi wango, unilinde katika hatari zote za roho na za mwili. Angelo mio custode, proteggimi da tutti i pericoli dell'anima e del corpo.
Si dica quel che si vuole: prontezza di riflessi? Sarà, ma alla mia età! Sangue freddo? Anche ghiacciato sotto quella pioggia! Fortuna? Magari, ma se non ho mai vinto alla lotteria! Per me è più semplice. Non so se gli angeli esistono né cosa facciano, almeno quelli degli altri, ma il mio è, un Custode galantuomo che non mi lascia mai nei guai. Mi sono fatto credulone. Chi? Io, libero pensatore, razionalista fin dalla nascita?
Questa la notizia, sorpresa per alcuni. Mi hanno chiesto di sostenere un progetto di formazione alla spiritualità di Giustizia e Pace a Kisangani (Congo). Di seguito i dati nel caso che qualcuno volesse contribuire. In una prossima lettera lo spiegherò in dettaglio. Mi hanno anche chiesto di tornare là per collaborare direttamente al progetto. Ho accettato. Alla tua età? mi dice una persona amica da anni. Non è azzardato? Ebbene, l'ultima parola è ancora nelle mani dell'eterna Roma, ma io mi arrischio, il mio angelo custode non è stato licenziato a causa della crisi economica né va in pensione per età, visto che non ce l'ha. Inoltre, ha detto tra noi, mi pare più elegante per un missionario morire di malaria in Africa che di Covid negli Stati Uniti. Se sono missionario lo devo a un padre spirituale che mi ha aperto gli occhi, se sono sacerdote a un prete che mi ha ispirato, se continuo su questa strada è perché il nostro fondatore Daniele Comboni diceva: Se avessi mille vite le darei tutte per l'Africa. Ne ho una sola, meglio che sia per lo stesso scopo.
Buon Natale a tutti con il mio ricordo.
Gian Pezzi, Mccj
Newark, 7 dicembre nel mio 78° compleanno