Sabato 31 ottobre 2020
Parla al Sir don Silvano Daldosso, fidei donum della diocesi di Verona, da 13 anni nella missione di Cavà-Memba, in una zona confinante con la provincia di Cabo Delgado. Sta accogliendo e aiutando migliaia di sfollati in fuga dagli attacchi di gruppi jihadisti, che in tre anni hanno causato 1500/2000 vittime e 300.000 sfollati. La coraggiosa denuncia del vescovo di Pemba. [Patrizia Caiffa – SIR]
Fuggono dalla provincia di Cabo Delgado, al nord del Mozambico, per cercare riparo dalle violenze dei gruppi di estremisti islamici che hanno ucciso tra le 1500 e le 2000 persone, dato fuoco ai villaggi e alle campagne, costretto le persone ad abbandonare le proprie case. Gruppi jihadisti, probabilmente legati all’Isis, che di recente hanno anche rapito due suore, poi liberate, e conquistato la città portuale di Mocimboa da Praia, luogo strategico per i trasporti delle ricchezze naturali dei grandi giacimenti di gas della zona, sui quali hanno già messo le mani le multinazionali straniere.
La conseguenza, che sembra frutto di una strategia ben orchestrata, sono 300 mila sfollati, la maggior parte ammassata nei pressi della città di Pemba, dove resiste un coraggioso vescovo brasiliano, monsignor Luis Fernando Lisboa, che ha subito pesanti minacce per aver denunciato la situazione a livello internazionale. In un recente video giunto al Sir da fonti missionarie il vescovo è sulla spiaggia e parla di almeno 170 barche piene di persone in fuga, che continuano ad arrivare senza sosta. Sono circa 300.000 gli sfollati dall’inizio del conflitto interno nella zona, nel 2017. “E’ una situazione molto difficile – racconta monsignor Lisboa -. Centinaia di persone dormono in spiaggia, molte muoiono durante il cammino. Altri trascorrono tre o quattro giorni in mare ed arrivano disidratati e affamati. E’ una crisi umanitaria molto grave. Abbiamo bisogno dell’aiuto e della solidarietà della comunità mozambicana e internazionale”.
Lo stesso Papa Francesco lo ha chiamato personalmente il 21 agosto per esprimergli vicinanza e sostegno e incoraggiarlo a proseguire nel suo lavoro a fianco degli sfollati.
Al momento nella vicina provincia di Nampula ce ne sono già 28.700. L’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati prevede che diventeranno 40.000 entro dicembre.
Vivono in vecchie capanne con altre famiglie numerose, senza acqua né servizi igienici. Fino a 20/25 persone accalcate sotto uno stesso tetto. Tutto ciò in un anno di grande fame e carestia, con la minaccia del Covid-19, che fortunatamente ha colpito poco il Mozambico, e la stagione delle piogge in arrivo.
E’ questa la situazione che si trova a fronteggiare la missione di don Silvano Daldosso, fidei donum di Verona, da 13 anni alla guida di 47 piccole comunità sparse in un territorio rurale di 100 km quadrati, nella diocesi di Nacala. E’ affiancato da due laiche missionarie fidei donum e uno stuolo di laici e catechisti. La Caritas diocesana di Nacala, di cui si occupa la lodigiana Elena Gaboardi, è presa d’assalto ogni giorno da centinaia di sfollati provenienti da Cabo Delgado. Da luglio ad oggi sonoimpegnati nella distribuzione di 600 kit alimentari al mese, per sfamare altrettante famiglie.
Anche il World food programme, programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite, sta distribuendo alimenti nei diversi distretti della provincia.
In arrivo altre migliaia di sfollati. “E’ una piccola goccia nel mare, rispetto ai 28.700 sfollati in tutta la provincia – racconta al Sir don Daldosso -. Dall’inizio di ottobre la situazione è fuori controllo, ne stanno arrivando sempre di più. Il vero grande problema da noi non è il Covid ma il vicino conflitto”. La vita nella missione di Cavà-Memba prosegue tra le difficoltà dovute alla pandemia e il grande afflusso di disperati che arrivano da Cabo Delgado.
Molte persone in fuga arrivano in barca, spesso ci sono naufragi con vittime.
Don Silvano si sposta tra le sue 47 comunità guidate da laici e celebra i sacramenti con poche persone e all’aperto. Al momento le catechesi sono ancora vietate, per evitare assembramenti. La grande emergenza degli sfollati ha messo a dura prova la Caritas diocesana. Sul suo sito don Silvano ha aperto una raccolta fondi, perché le persone da aiutare aumentano a dismisura, e non esistono sostegni da parte delle istituzioni.
Uno scenario complesso. I media nazionali non parlano del conflitto a Cabo Delgado, mancano notizie certe. I giornalisti che provano ad indagare vengono fatti sparire o uccisi. Le poche fonti sono i racconti degli sfollati e di qualche piccola testata indipendente. Il missionario ci tiene a sottolineare che la sua è una interpretazione personale dei fatti, nel tentativo di ricostruire uno scenario altamente complesso, con enormi interessi in gioco, soprattutto economici e geostrategici.
Il conflitto è iniziato nei primi mesi del 2017 con alcuni attacchi ma senza vittime. “Venivano considerati gruppi sovversivi che esprimevano in questo modo il proprio malcontento verso il governo – spiega -. E’ una delle zone più povere e abbandonate del Mozambico, priva di servizi sociali e sanitari, con altissimo tasso di analfabetismo. Da allora gli attacchi sono diventati sempre più frequenti, con morti e feriti. Il governo li ha definiti terroristi islamici e dopo un periodo di smentite e silenzi ha inviato dei mercenari russi e sudafricani”. Ma la situazione è peggiorata. Anche perché i gruppi estremisti, ben organizzati e con mezzi e armi molto sofisticate, hanno attinto al disagio dei giovani mozambicani per arruolarli e creare una rete di informatori nei villaggi, in cambio di denaro.
Molti giovani sono minacciati e costretti ad arruolarsi. Nei mesi scorsi 50 giovani sono stati uccisi perché si sono rifiutati.
Gli interessi in gioco. Il cuore della questione, come spesso accade in molte zone povere del mondo, sono i ricchi giacimenti di gas naturali, tra i più grandi dell’Africa australe. Per sfruttarli sono subito arrivate imprese americane, francesi. Perfino una nota multinazionale italiana. A tutto ciò si è aggiunta una crescente radicalizzazione dell’islam, con soldi affluiti in massa per finanziare le scuole coraniche e affermare la sharià sul territorio di Cabo Delgado e di altre provincie. “Forse lo Stato islamico voleva che diventasse una sua provincia, impossessandosi delle ricchezze di queste zone – è l’analisi del missionario -. Ma gli interessi in gioco sono tanti e diversi: il Mozambico sta diventando il granaio energetico della Cina.
Ci potrebbe anche essere la volontà di destabilizzare la situazione economica a livello mondiale”.
La popolazione soffre molto e anche per i missionari occidentali non sono tempi facili: il vescovo di Pemba ha ritirato i missionari dalle zone più calde. Nella diocesi di don Silvano per ora non ci sono tensioni ma solo un grande bisogno di sostegno nell’assistenza agli sfollati: “E’ frustrante dover vedere quanto sta accadendo – conclude – nella totale assenza di informazioni e nel disinteresse del mondo”.
[Patrizia Caiffa – SIR]