Martedì 14 aprile 2020
«Si è spento a Roma l’amato vescovo del Bahrain Camillo Ballin». Così i media bahrainiti hanno dato notizia della scomparsa del comboniano Camillo Ballin, Vicario apostolico dell’Arabia settentrionale, morto di tumore a quasi 76 anni il 12 aprile scorso, domenica di Pasqua, nell’ospedale romano in cui era ricoverato. Camillo Ballin aveva dedicato la sua vita di missionario e poi di vescovo al servizio delle comunità cristiane presenti nei Paesi arabi a maggioranza musulmana.
Nato a Fontaniva (provincia di Padova, diocesi di Vicenza) il 24 giugno 1944, era entrato prima nel seminario di Vicenza e poi, nel 1963, era passato al noviziato dell’Istituto religioso dei Missionari Comboniani del Cuore di Gesù (MCCJ) fondato da San Daniele Comboni, dove aveva emesso la professione perpetua il 9 settembre 1968. Il 30 marzo 1969 aveva ricevuto l’ordinazione sacerdotale. Nel 1970 era stato inviato in Libano e in Siria a studiare l’arabo, e dal 1971 al 77 aveva svolto il suo servizio pastorale in Egitto, come vice parroco e poi come parroco nella parrocchia di rito latino di San Giuseppe, nel quartiere cairota di Zamalek.
Dal 1977 al 1980 si era trasferito in Libano e poi a Roma per motivi di studio, conseguendo la licenza in liturgia orientale presso il Pontificio Istituto Orientale. Dal 1981 al 1990 era stato professore presso l’Istituto di teologia del Cairo e aveva ricoperto il ruolo di Superiore provinciale dei Comboniani in Egitto. Dal 1990 al 1997 aveva vissuto in Sudan, dove tra le altre cose aveva inaugurato un istituto per la formazione dei professori di religione nelle scuole. Dal 1997 al 2000 tornò a Roma per conseguire il suo dottorato sulla storia della Chiesa in Sudan con specializzazione nel periodo “Mahdiyyah” (1881-1898), epoca in cui la pratica di qualsiasi altra religione, eccetto l’islam “mahdista” (corrente islamica con venature messianiche e forte impronta anti-coloniale), era severamente proibita. La sua ricerca si centrata su come cristiani e ebrei avevano custodito la propria fede e la continuità delle rispettive comunità durante quella fase della storia del Sudan.
A partire dal 2000, padre Camillo Ballin aveva diretto il “Dar Comboni for Arabic Studies” al Cairo, Istituto dedito alla formazione degli operatori pastorali che vivono nei Paesi arabi. Il 14 luglio 2005 Papa Benedetto XVI lo aveva nominato Vicario apostolico del Kuwait, con il titolo episcopale della sede di Arna. Il 2 settembre 2005, nella cattedrale di Kuwait City dedicata alla Sacra Famiglia, Ballin era stato consacrato vescovo dal Cardinale Crescenzio Sepe, a quel tempo Prefetto della Congregazione di Propaganda Fide. Poi, il 31 maggio 2011, Papa Benedetto XVI lo aveva nominato primo Vicario apostolico dell’Arabia settentrionale, affidandogli la guida delle comunità cattoliche presenti in Bahrain, Kuwait, Qatar e Arabia Saudita.
Negli ultimi quindici anni il Vescovo Ballin aveva servito con realismo e perspicacia apostolica le tante comunità di battezzati cattolici – due milioni e mezzo, di cui un milione e mezzo in Arabia Saudita, priva di chiese – giunti nel suo Vicariato apostolico seguendo i flussi dell’immigrazione da lavoro e provenienti da decine di nazioni diverse, a cominciare da India e Filippine. Una cristianità multilingue e multicolore, cresciuta in maniera gratuita, non “organizzata”, senza il concorso di alcuna strategia missionaria di evangelizzazione, sorta a partire da interessi vitali e concreti che spingevano e spingono milioni di persone a lasciare le proprie terre d’origine per cercare uno stipendio decente. L’effetto – imprevisto e non cercato – è che nella Penisola arabica non ci sono mai stati tanti cristiani come adesso (dopo i secoli di latitanza seguiti alla prima, esaltante progressione missionaria, realizzata dalla antica Chiesa d’Oriente, di ascendenza nestoriana).
Il veneto Ballin aveva preso il passaporto bahrainita per poter viaggiare liberamente in tutti i territori del Vicariato. Quando si è sentito male, più di un mese fa, si trovava in Arabia Saudita, e da lì era stato portato a Roma.
Nei suoi interventi pubblici, anche rispondendo a domande che puntavano a enfatizzare contrapposizioni tra cristianesimo e islam, il Vescovo Ballin riconosceva che nei Paesi compresi nel Vicariato a lui affidato «non ci sono persecuzioni in corso», riferiva di non aver mai cercato di convertire un islamico al cristianesimo, e ricordava che anche in quelle terre la missione consiste «nell’imitare Gesù». L’intensità dello sguardo di fede con cui guardava alle vicende dei cristiani della Penisola arabica era affiorata anche nelle parole da lui affidate all’Agenzia Fides (vedi Fides 5/3/2016) in occasione del martirio delle quattro suore Missionarie della Carità trucidate il 4 marzo 2016 in Yemen dal commando di terroristi che quel giorno avevano assaltato una casa di cura nella città di Aden, trucidando insieme alle religiose altre 12 persone.
In quell’occasione, il Vescovo Ballin aveva guardato al massacro in Yemen alla luce dell’esperienza martiriale che accompagna tutta la vicenda della Chiesa nel suo camminare nella storia. «Più la Chiesa è vicina a Gesù Cristo – aveva detto a Fides il Vicario apostolico dell’Arabia settentrionale – più partecipa della sua passione». La strage compiuta dal commando armato nella residenza per anziani e disabili affidata alle cure delle suore di Madre Teresa appariva ai suoi occhi anche come «un segno che questa Congregazione è molto vicina è Gesù Cristo, perché chi si avvicina a Gesù Cristo si avvicina anche alla sua croce. Nessun cristiano che resta lontano da Cristo sarà mai sfiorato da persecuzione, ma chi si avvicina a Cristo è coinvolto nella sua passione e nella sua morte, per esserlo anche nella gloria della sua vittoria». (GV - Fides)
Comboniano, una vita spesa tra l’Egitto, il Sudan, il Kuwait. Monsignor Camillo Ballin è stato il primo Vicario apostolico dell’Arabia settentrionale, nominato da Benedetto XVI nel 2011. A Pasqua la sua scomparsa.
Missionario, vescovo, una vita spesa nell’imitare Gesù al servizio delle comunità cristiane presenti nei Paesi arabi a maggioranza musulmana. Monsignor Camillo Ballin, scomparso nella Domenica di Pasqua, a Roma, a causa di una malattia, ha lasciato un segno importante nella Chiesa perché primo Vicario apostolico dell’Arabia settentrionale. Venne nominato il 31 maggio 2011 da Papa Benedetto XVI che così gli aveva affidato la guida delle comunità cattoliche presenti in Bahrain, Kuwait, Qatar e Arabia Saudita.
Era nato – riferisce l’agenzia Fides - in provincia di Padova, a Fontaniva, il 24 giugno 1944, era entrato prima nel seminario di Vicenza e poi, nel 1963, era passato al noviziato dell’Istituto religioso dei Missionari Comboniani del Cuore di Gesù, dove aveva emesso la professione perpetua il 9 settembre 1968. Il 30 marzo 1969 aveva ricevuto l’ordinazione sacerdotale. Poi i viaggi in Libano e in Siria per studiare l’arabo, il servizio in Egitto poi 10 anni passati in Sudan e nel 2005 la nomina a Vicario apostolico del Kuwait. Per 15 anni è stato poi Vicario apostolico dell’Arabia settentrionale, servendo una comunità variegata, frutto dell’immigrazione dalle Filippine e dall’India, quasi due milioni e mezzo di persone, di cui un milione e mezzo in Arabia Saudita.
“Tutte le minoranze – aveva spiegato in un’intervista alla Radio Vaticana nel 2014 - devono essere sostenute, perché ogni persona è una creatura di Dio, sia essa cristiana o no. Anche i musulmani hanno delle minoranze. E ogni minoranza ha il diritto di esistere, di vivere, perché ogni persona è un essere umano e quindi perché deve subire oppressioni, fucilazioni, esecuzioni immediate, furti, imposizioni della religione? Perché? Ogni persona deve essere libera di scegliere la religione che vuole, di vivere secondo il rispetto della persona umana, della società umana, secondo i diritti umani. Ogni persona è creata da Dio e quindi, in quanto creatura di Dio, ha il diritto di vivere la propria vita, umana e religiosa, come desidera”.
Monsignor Camillo Ballin era un uomo diretto, seppur prudente. In un’intervista del 2016 sempre alla Radio Vaticana invitò l’Islam moderato a dire un “no” deciso al fondamentalismo. Così commentava l’invito al dialogo e all’accoglienza dell’altro rivolto dal Papa nel suo Messaggio al Meeting di Rimini, promosso da Comunione e Liberazione.
R. – Certamente è un tema molto attuale, soprattutto in Italia che è il Paese più esposto a ricevere queste persone che scappano da guerre e da situazioni umanamente estremamente difficili e quindi è importante che conserviamo in noi questo senso di fraternità, di comprensione dell’altro. Io vivo nei Paesi arabi da 47 anni, ho vissuto anche 10 anni in Sudan con situazioni umanamente disperate: gente che soffriva terribilmente la fame, la discriminazione sociale e religiosa … Quindi, mi rendo conto come queste persone, che vengono dal Sudan e adesso anche da altri Paesi, vogliano scappare da situazioni che sono veramente difficili. Tante volte mi sono chiesto: ma, io sono italiano, io ho una base sicura, ho la mia famiglia religiosa, la mia famiglia naturale … ma se io fossi uno di loro, cosa farei? Farei come loro, cioè cercherei di scappare da questa situazione per assicurare alla mia famiglia e ai miei figli un avvenire più umano, più sereno, più felice. Quindi, bisogna stare molto attenti a non lasciarci ideologizzare, politicizzare da queste situazioni umane veramente straordinarie e pesanti.
Che cosa sta succedendo, invece, all’inizio del Terzo millennio nel mondo arabo? C’è un mondo arabo in movimento …
R. – C’è molto movimento, molta voglia di rivoluzione …
Rivoluzione, di che tipo?
R. – Rivoluzione dal punto di vista sociale: le famose primavere arabe. Ma poi i fondamentalisti se ne sono impossessati e da rivoluzioni sociali sono diventate rivoluzioni fondamentaliste. Come sarà il futuro, è difficile dirlo anche perché i “moderati” non si sono mai espressi. Cioè: cosa hanno fatto, cosa hanno detto i moderati? Li abbiamo visti improvvisamente in chiesa, alcune settimane fa, dopo l’uccisione di quel sacerdote, ma per me è stato più un evento emotivo che non una vera presa di posizione contro qualche cosa. Avrei preferito un evento più laico. Non hanno mai fatto una dimostrazione civica, pubblica, per dire che l’islam non è quello là. Possiamo noi convincere il mondo che l’islam non è violento, se questi “moderati” non hanno mai fatto una dimostrazione per dimostrare al mondo che quello non è il vero islam? Occorre una presa di posizione molto più seria, molto più radicale, con interviste ai giornali e con prese di posizione anche politiche, con espressioni chiare, forti, per dire che quello non è il vero islam. Ma questo non è successo e mi sembra che non stia succedendo.
[Benedetta Capelli - VaticanNews]
È morto a Roma, il 12 aprile, il vescovo comboniano Camillo Ballin, Vicario apostolico dell’Arabia settentrionale. Camillo Ballin aveva dedicato la sua vita di missionario e poi di vescovo al servizio delle comunità cristiane presenti nei Paesi arabi a maggioranza musulmana. Tra i Paesi toccati dal suo servizio Egitto, Libano, Siria .
Il 14 luglio 2005 Papa Benedetto XVI lo aveva nominato Vicario apostolico del Kuwait, con il titolo episcopale della sede di Arna. Il 2 settembre 2005, nella cattedrale di Kuwait City dedicata alla Sacra Famiglia, Ballin era stato consacrato vescovo dal card. Crescenzio Sepe, a quel tempo Prefetto della Congregazione di Propaganda Fide. Poi, il 31 maggio 2011, Papa Benedetto XVI lo aveva nominato primo Vicario apostolico dell’Arabia settentrionale, affidandogli la guida delle comunità cattoliche presenti in Bahrain, Kuwait, Qatar e Arabia Saudita.
Nel ricordare la sua figura l’agenzia Fides scrive: “Negli ultimi quindici anni il Vescovo Ballin aveva servito con realismo e perspicacia apostolica le tante comunità di battezzati cattolici – due milioni e mezzo, di cui un milione e mezzo in Arabia Saudita, priva di chiese – giunti nel suo Vicariato apostolico seguendo i flussi dell’immigrazione da lavoro e provenienti da decine di nazioni diverse, a cominciare da India e Filippine. Una cristianità multilingue e multicolore, cresciuta in maniera gratuita, non organizzata, senza il concorso di alcuna strategia missionaria di evangelizzazione, sorta a partire da interessi vitali e concreti che spingevano e spingono milioni di persone a lasciare le proprie terre d’origine per cercare uno stipendio decente. L’effetto – imprevisto e non cercato – è che nella Penisola arabica non ci sono mai stati tanti cristiani come adesso. Il veneto Ballin aveva preso il passaporto bahrainita per poter viaggiare liberamente in tutti i territori del Vicariato”.
Nei suoi interventi pubblici, scrive ancora Fides, anche rispondendo a domande che puntavano a enfatizzare contrapposizioni tra cristianesimo e islam, mons. Ballin riconosceva che nei Paesi compresi nel Vicariato a lui affidato “non ci sono persecuzioni in corso, riferiva di non aver mai cercato di convertire un islamico al cristianesimo, e ricordava che anche in quelle terre la missione consiste nell’imitare Gesù”. L’intensità dello sguardo di fede con cui guardava alle vicende dei cristiani della Penisola arabica era affiorata anche nelle parole da lui affidate all’Agenzia Fides in occasione del martirio delle quattro suore Missionarie della Carità trucidate il 4 marzo 2016 in Yemen dal commando di terroristi che quel giorno avevano assaltato una casa di cura nella città di Aden, trucidando insieme alle religiose altre 12 persone. “Più la Chiesa è vicina a Gesù Cristo – aveva detto a Fides il Vicario apostolico dell’Arabia settentrionale – più partecipa della sua passione”.
[D.R. - SIR]