Lunedì 24 febbraio 2020
Sabato 22 febbraio il missionario comboniano spagnolo, P. Antonio Guirao Casanova, 78 anni, ha celebrato il suo cinquantesimo anniversario sacerdotale presso la Curia generalizia a Roma. Hanno partecipato alla celebrazione alcuni amici di P. Antonio e i superiori di tutte le circoscrizioni comboniane che si trovano a Roma, per l’incontro con la Direzione Generale.
Chi è P. Antonio Guirao Casanova?
Dopo otto anni di seminario, sei a Guadix e due a Granada, verso la fine del 1960 Antonio Guirao decide di farsi missionario e, il 16 agosto 1963, entra dai Missionari Comboniani. Segue la sua formazione facendo due anni di noviziato a Corella (Navarra) e a Moncada, un anno come prefetto nel seminario minore di Corella, tre anni a Oporto per lo studio della teologia, un anno a Moncada per finire la teologia. Viene ordinato sacerdote il 22 febbraio 1970. Dal 1984 al 1986 ottiene, a Madrid, la licenza in teologia per prepararsi ad essere formatore dei novizi.
Prima di partire per la missione, P. Antonio è incaricato come formatore nei seminari minori di Saldaña (Palencia), Poyo (Pontevedra) e Corella e contemporaneamente insegna materie umanistiche. Viene poi mandato in Inghilterra, dove rimane un anno, per lo studio dell’inglese.
In missione, ha passato 23 anni in Kenya e due anni e mezzo in Messico. La sua attività principale è stata il lavoro apostolico di prima evangelizzazione fra la tribù dei Pokot e alla periferia di Nairobi, accanto al lavoro di formazione dei futuri missionari nei noviziati di Spagna e Messico e nel CIF di Nairobi.
Come lui stesso afferma, lo scopo principale della sua vita è sempre stato quello di far conoscere Gesù e il suo vangelo all’interno di un cammino formativo fatto di apertura di scuole, centri sanitari e di promozione sociale. Ad esempio, una trentina di scuole elementari, quasi tutte nate nel 1980 “sotto gli alberi”, sono diventate edifici di mattoni e cemento, con l’aiuto della gente e di Mani Unite, negli anni 2000-2005. E dopo le elementari, sono sorte le scuole medie, numerose chiese e comunità.
P. Antonio ha avuto una vita sacerdotale ricca, sempre accanto alla gente, cercando di rispondere alle loro necessità umane e spirituali. E prova una gioia immensa nel constatare, dopo anni di grandi sforzi, sacrifici e pazienza, la promozione di tante di queste persone che hanno potuto studiare e ora sono insegnanti, medici, psicologi, missionari e missionarie, ecc. Esprime anche la sua soddisfazione per aver salvato la vita di persone malate o in situazioni disperate. Ha battezzato migliaia di persone che hanno conosciuto Gesù e che ora vivono felici la loro vita, aiutano altri a fare lo stesso cammino e, dopo anni, lo ringraziano di aver lasciato la famiglia per andare ad occuparsi di loro.
P. Antonio, alla domanda “come riassumeresti la tua vita?”, risponde: “sono pienamente felice di aver dedicato la mia vita alle missioni e di essermi potuto donare a gente semplice, povera e buona, per rendere più bella e più ricca di speranza la loro vita. È straordinario poter ascoltare parole come queste, pronunciate dagli anziani Pokot: “Grazie Antonio per essere venuto fra noi e aver aiutato i nostri figli ad essere quello che sono e a vivere da cristiani e con dignità”.
Pubblichiamo di seguito l’omelia pronunciata da P. Antonio.
Ringrazio Dio per la vita
“Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa”
La festa della Cattedra di San Pietro vuole sottolineare il fatto che l'edificio della Chiesa di Gesù Cristo poggia su Pietro, il Principe degli Apostoli, che gode di uno speciale aiuto divino nello svolgimento di questa missione. Le parole di Gesù a Cesarea di Filippo lo confermano: “Io ti dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa” (Mt 16,18). Gesù, una volta risorto, conferma questa missione a Simon Pietro. Colui che, profondamente pentito, aveva già pianto per la sua triplice negazione davanti a Gesù, ora fa una triplice manifestazione d'amore: “Signore, tu sai tutto, tu sai che ti amo” (Gv 21,17). Allora l'Apostolo vede con gioia che Gesù Cristo non lo ha lasciato e che, per tre volte, lo conferma nel ministero che gli era stato precedentemente annunciato: “Pasci le mie pecore” (Gv 21,16.17).
La domanda di Gesù ai discepoli “e voi chi dite che io sia?” è rivolta a ciascuno di noi, e la risposta di Pietro a Cesarea di Filippo e poi a Gerusalemme e per tutta la sua vita può essere un riflesso della nostra risposta personale a “Chi dite che io sia?”.
La mia risposta personale a questa domanda, in questi 50 anni di sacerdozio, è la mia vita; posso confessare che c’è stato il lato positivo, con il sì alla vocazione, prolungato giorno per giorno, cercando di rendere Gesù presente nella mia vita e con la mia parola; e, come in Pietro, un lato negativo, risultato delle mie negazioni e dei miei peccati. Come Pietro, anch’io ho sperimentato il meraviglioso effetto del suo amore e della sua misericordia e la forza per andare avanti, confidando nel suo amore liberatore che trasforma tutto.
Guardando a questi 50 anni, provo un profondo sentimento di gratitudine verso Dio, verso i miei genitori e parenti, verso tutti coloro che mi hanno accompagnato nella mia formazione all’interno e all’esterno dei Missionari Comboniani, verso tutti coloro che mi hanno aiutato come superiori e compagni, verso tanti confratelli con i quali ho vissuto e lavorato. Tutti mi hanno aiutato molto, con buoni esempi e sagge parole, anche quelli che a volte mi hanno fatto soffrire, perché la difficoltà aiuta a crescere.
Ringrazio Dio, la mia famiglia e tutte le persone che mi hanno aiutato a raggiungere questo momento e a poterlo celebrare.
Alla mia famiglia perché, oltre alla vita e all’amore che mi ha dato e a tutte le attenzioni che mi ha concesso in questi miei 77 anni, voglio ringraziarla anche per le difficoltà che mi ha posto, con la sua opposizione alla mia entrata fra i Missionari Comboniani; le difficoltà e le tentazioni che, durante il cammino, mi sono venute di non andare avanti nella via sacerdotale e missionaria, ho potuto superarle con l'aiuto di Dio, ma anche ricordando la sofferenza dei miei genitori, specialmente di mia madre, il giorno (16 agosto 1963) in cui li ho lasciati per entrare in noviziato. Alcuni momenti difficili o tentazioni che sono venute fuori, erano di natura personale di fronte a compagni o superiori che hanno messo alla prova il mio modo di fare, ma soprattutto a causa delle difficoltà di fronte alla castità per tutta la vita e nel campo della affettività, per il bisogno di affetto come coppia e in occasioni di innamoramento, mettendo in crisi tutto il futuro sacerdotale e missionario; fino a quando mi sono chiesto seriamente se valesse la pena di mettere in discussione la vocazione missionaria e sacerdotale per una moglie; dopo il discernimento, la preghiera e il dialogo sincero, con la forza di Dio e ricordando il sacrificio dei miei genitori, ho messo la vocazione e il sacerdozio da un lato della bilancia e la moglie dall'altro e, senza che passasse troppo tempo, la bilancia ha mostrato un peso molto più grande verso la vocazione e il sacerdozio... Così ho considerato finito il tempo del dubbio e della crisi, anche se non sono mancate ancora le tentazioni.
Ringrazio Dio per la vita, per la vocazione, per la grazia della perseveranza, per il perdono ricevuto. Per il dono della figliolanza divina, che mi ha fatto sentire sempre che sono un figlio prediletto di Dio, nonostante i miei peccati. Quel senso di figliolanza mi ha dato sempre molta pace, gioia e libertà. Sono anche grato a Dio per le qualità naturali che mi ha dato, anche se con tanti limiti: buon carattere, gioia, semplicità, servizio, generosità, spirito di sacrificio, disponibilità a perdonare e a chiedere perdono e a cercare sempre la riconciliazione. Credo che tutto questo mi abbia aiutato a rispondere con la mia vita alla domanda di Gesù “chi dite che io sia?”. Ho sempre cercato di farmi guidare da Gesù e di far muovere la mia vita e le mie attività secondo il suo Spirito, anche se in molte occasioni non ci sono riuscito, e forse, quelli che mi erano vicini non hanno visto così chiara la presenza di Gesù in me; ho considerato ogni giorno come un'opportunità per imparare e per crescere in umiltà e responsabilità e per chiedere perdono e perdonare.
La frase di san Daniele Comboni da me scelta per l’immaginetta del cinquantesimo – “Il giorno e la notte, il sole e la pioggia, mi troveranno egualmente e sempre pronto ai vostri spirituali bisogni: il ricco e il povero, il sano e l’infermo, il giovane e il vecchio, il padrone e il servo avranno sempre eguale accesso al mio cuore” – , mi è servita come motivo di vita e di relazione con tutte le persone, soprattutto con le persone della missione. Non mi è mai piaciuto il comportamento di chi aveva solo ore programmate per ricevere le persone e dialogare con loro, soprattutto con i parrocchiani che spesso dovevano camminare per ore per raggiungere la missione.
È chiaro che Gesù è sempre il modello da seguire, ma queste parole di Comboni mi sono servite da guida, e ho fatto di tutto per metterle in pratica, sempre pronto a ricevere le persone con amore, senza farle aspettare, e trovare una risposta ai loro bisogni. Le persone della parrocchia mi hanno insegnato tanto nel campo del dono di sé, della generosità e del servizio nel lavoro apostolico missionario. Ho nella mia memoria molti volti e nomi di missionari e laici che sono stati veramente impegnati nella missione e nel bene dei loro fratelli e sorelle e sono, pertanto, un grande esempio. Per loro chiedo a Dio una benedizione speciale.
Uno sguardo generale su questi 50 anni di sacerdozio produce in me un sentimento di pace e di gioia, un sentimento profondo che mi dice che vale la pena vivere e dedicare tutta la vita a Dio e alla missione fra i Comboniani. Confesso che mi sento davvero molto felice di essere prete, missionario comboniano e di vivere in mezzo a voi e con voi.
Grazie e che Dio ci benedica tutti!