Lunedì 14 dicembre 2015
“Buon Natale e felice anno nuovo. La pace del Signore che viene sia con te. Benedizione e auguri a te e a tutti i tuoi cari”. Così finisce la lettera di Natale di padre Gian Paolo Pezzi, missionario comboniano, che da qualche anno dedica il suo tempo ad approfondire e a spiegare un argomento mondiale della massima urgenza, l’accaparramento di terre.

Vive a New York e lavora presso le Nazioni Unite (Onu) assieme ad un altro comboniano, padre John Converset, in collaborazione con l’organizzazione VIVAT International. Gli interventi più significativi di padre Pezzi negli ultimi mesi sono stati in India e Kenya. “Durante l’estate – scrive padre Pezzi – abbiamo lavorato a ridisegnare e a tradurre in francese e in inglese il mio corso sul Land Grabbing, l’accaparramento di terre. Questo oggi è un argomento della massima urgenza, a tal punto che la nostra ONG, VIVAT International, con statuto special all’ONU, lo ha scelto come punto centrale per il suo Piano di lavoro per i prossimi anni; lo stesso ha fatto AEFJN, la nostra ONG presente a Bruxelles al Parlamento Europeo. E dal 22 al 26 novembre c’è stato a Nairobi (Kenya) un Convegno sull’Accaparramento di Terre in Africa – a cui sono stato invitato – indetto dal SECAM e da altre organizzazioni Cattoliche internazionali”.

Non abbiamo fretta, abbiamo anzi un sacco di tempo, ma il mio taxista corre a rompicollo, senza preoccuparsi apparente- mente del traffico che già a queste ore di primo mattino intasano le viuzze che stiamo percorrendo. Un grosso camion ci viene contro a tutta velocità: solo all’ultimo momento i due mezzi svirgolano evitandosi per pochi centimetri. Una moto ci sorpassa sulla sinistra... e siamo in India dove ancora si guida a sinistra. I primi giorni era uno spavento ma poi ci si abitua a vedere macchine che ti sembra vogliano scontrarsi a tutta velocità con il tuo bus che sta sorpassando un camion.

Adesso ci infiliamo in un vicoletto che risulta cieco per davvero perchè, senza segnali di avviso, stanno montando una grossa gru proprio all'incrocio. Già mi sto facendo all'idea di dover scendere e cercare un altro taxi al di la dell'ingorgo quando assisto con stupore alle manovre di una decina di macchine che fanno inversione di marcia salendo sui marciapidi, infilandosi in mezzo a carretti e sacchi di riso, affacciadosi alla porta, sempre aperta di una cucina a pianterreno, chiedendo spazio a un poveraccio che chiede l'elemosina seduto per terra e alle immancabili vacche sacre, no pardon, oggi di tratta di un paio di bufali. Mi porterà davvero all'aeroporto di Calcutta – che ormai si chiama Kolkata – questo taxi?

All'improvviso entriamo in un ampia arteria a sei corsie con rassicuranti segnali stradali. Me l'aspetto e difatti il mio taxi, pur sfasciato com'è, prende la rincorsa, brucia una dozzina di semafori rossi per fermarsi inaspettatamente al tredicesimo. Decisamente qui i semafori sono degli optional e gli stop decorazioni stradali, non norme, al massimo indicazioni d'attenzione che bambini, biciclette, moto, macchine, cani, bufali e mucche possono attraversare preceduti o seguiti da camion e bus. Ho visto in giro i cammelli ma non gli elefanti né le famose tigri.

P. Gian Paolo Pezzi,
missionario comboniano.

Carissimo,
sì lo avrai già indovinato tutto questo l’ho visto in India dove i 15 giorni passati – formalmente solo come turista – sono stati una bella esperienza di umanità, di confusione, di diversità culturale e comportamentale. Ho potuto visitare Puri, una delle sorprendenti città sacre dell’Induismo. Il suo importante Jagannath Temple era chiuso per noi: i religiosi Indu si stanno negando sempre di più al dialogo religioso. Siamo però arrivati fino al Konark Temple, ora chiuso al culto ma aperto ai turisti: è costruito in forma di una grande carrozza, simbolo del cammino supremo che porta alla perfezione. Siamo poi andati a visitare il tempio della dea Kali, dove abbiamo offerto fiori ed incenso per la nostra felicità e di quella dei nostri cari; accolti fin dalla stazione della metropolitana da una specie di chierichetto, siamo stati accompagnati e affidati ad una guida che, alla fine del percorso religioso, ci ha obbligati ad una libera offerta per i poveri, che per noi stranieri era già fissata in 1.000 rupie, una bella somma a prima vista ma che a conti fatti non rappresenta che 10 euro. I prezzi in India sono sconcertanti. Il biglietto di prima classe per un percorso in treno di 500 km ci è costato 42 euro. Ci sono tre classi nei treni: la 1a classe con posti riservati e aria condizionata, la 2a classe con posti riservati ma senza aria condizionata, e la 3a classe con biglietto per salire sul treno con il posto per il primo che arriva. Ma tutti questi treni provocherebbero le ire dei nostri pendolari. I treni poi che servono su percorsi ridotti offrono ancora le stupefacenti scene di gente ammassata sui tetti dei vagoni.

Un gratificante esperienza è stata pure quella di visitare, guidati dai missionari del Verbo Divino, vari centri nella zona di Sharsuguda: ci ha permesso di gioire delle danze culturali di varie etnie, interessarci al lavoro agricolo della gente, visitare i centri educativi, sociali e umanitari dei missionari, vedere l’impegno della Chiesa per i ragazzi di strada, gli orfani di AIDS, i lebrosi (sì, ci sono ancora lebrosi in India) e per il lavoro delle parrocchie. L’esperienza più impattante è però stata quella di vivere durante due giorni a Calcutta-Kolkata.

Aspettando i nostri voli aerei, con un amico, siamo andati a spasso a piedi su e giù per le strade e attraverso il ponte sul immenso fiume Ganga; abbiamo preso la metropoliana, i diversi tipi di bus, esecutivi e populari stracolmi di gente. Siamo stati oggetto delle gentilezze di un signore indiano che ci ha fatto attraversare da nord a sud tutta la città con la sua macchina, dandoci l’opportunità di visitare il suo negozio di commercio internazionale del thé e la casa del poeta Tagore. Abbiamo visto la stessa miseria che spinse Madre Teresa ad uscire dal convento: bambini nudi per le strade, adulti che si lavano e fanno il bucato ad ogni angolo, sporcizia da tutte le parti, famiglie intere che vivono, mangiano, lavorano e dormono su un pezzo di marciapiede non più grande di un tavolo; e animali che passeggiano dappertutto, poliziotti che gridano contro tutto e tutti, macchine che strobazzono tutto il tempo, gente che cerca di farsi strada in mezzo alla confusione. Ma neanche una delle suore di Madre Teresa. Le ho viste nella cappella della loro casa madre distribuire immaginette della fondatrice: a Calcutta tutto è rimasto come ai tempi in cui Madre Teresa cominciò il suo lavoro.

Nella nostra riunione mensile del RUN (Religiosi alle Nazioni Unite), mentre condivivamo le nostre impressioni sul viaggio di Papa Francesco agli Stati Uniti, qualcuno fece un commento: I due Papi che più hanno fatto perchè si risolvesse il problema della povertà nel mondo sono senza dubbio Giovanni Paolo II e Francesco. Per il primo l’icona era Madre Teresa, per il secondo è Dorothy Day.

Dorothy Day era una giornalista statunitense che visse anni in stile behemio fino a quando si fece cattolica e cominciò a dedicarsi ad attività sociali. Fu messa in prigione per far parte del movimento per la non violenza Sentinelle Silenziose; collaborò alla creazione del Movimento Operaio Cattolico che univa l’aiuto ai poveri e senza casa con la protesta non violenta in difesa dei loro diritti. Era partidaria della disobbedienza civile che la portò a diversi arresti. Papa Francesco nel discorso che rivolse al Congresso degli Stati Uniti descrisse il suo impegno sociale come un esempio.

Due icone quindi, che rappresentano la carità e l’impegno per la giustizia sociale. Ambedue, scrisse Papa Benedetto nella sua Enciclica Deus Caritas est, sono necessarie, perchè la carità senza l’azione per la giustizia sociale può risultare sterile, come lo furono ai miei occhi la settantina di culle vuote che vidi nell’orfanatrofio di Madre Teresa a Kolkata. Là su di una parete c’è scritta una delle sue parole: Ciò che maggiormente distrugge la pace oggi è l’aborto, perchè è una guerra contro l’infanzia... Se accettiamo che una madre uccida il suo proprio figlio, come potremo dire all gente di non uccidersi l’un l’altro? Dal punto di vista di Dorothy Day, verrebbe da dire il contrario: Se lasciamo che la gente si ammazzi ogni giorno usando armi, fame e ingiustizia, come potremo impedire ad una madre di arrivare ad uccidere il frutto del suo seno? Carità e giustizia sociale danno una risposta allo stesso problema ma la giustizia sociale va più a fondo cercando di rispondere alle cause che provocano il bisogno di carità.

Questo mi porta a parlare del mio lavoro. Durante l’estate abbiamo lavorato a ridisegnare e tradurre al francese e all’inglese il mio corso sul Land Grabbing, l’accaparramento di terre. È questo oggi un assunto della massima urgenza al punto che la nostra ONG, VIVAT International, con statuto special all’ONU, lo ha scelto come punto centrale per suo Piano di lavoro per i prossimi anni; lo stesso ha fatto AEFJN la nostra ONG presente a Bruxelles al Parlamento Europeo. E dal 22 al 26 novembre c’è stato a Nairobi (Kenya) un Convegno sull’Accaparramento di Terre in Africa – a cui sono stato invitato – indetto dal SECAM e da altre organizzazioni Cattoliche internazionali.

Buon Natale e felice anno nuovo. La pace del Signore che viene sia con te. Benedizione e auguri per te e tutti i tuoi cari.
Gian Paolo Pezzi, missionario comboniano