Venerdì 23 maggio 2014
Papa Francesco ha nominato vescovo della diocesi ugandese di Moroto, in Karamoja, il missionario comboniano italiano, P. Damiano Giulio Guzzetti (nella foto). Il prossimo sabato, 24 maggio, sarà la sua consacrazione episcopale e ingresso in diocesi. Il nuovo vescovo di Moroto è nato il 15 luglio 1959 a Turate, nell’Arcidiocesi di Milano. Fr. Daniele Giovanni Giusti, assistente generale dei Missionari Comboniani, è già in Uganda per partecipare all’ordinazione episcopale di Mons. Damiano. Pubblichiamo di seguito una riflessione intitolata “La funzione episcopale nella tradizione ecclesiale” di don Joseph Ndoum, sacerdote della diocesi di Douala, Camerun.
La funzione episcopale nella tradizione ecclesiale
La celebrazione dell’ordinazione di un vescovo, per la sua importanza per la vita della Chiesa e della società civile, soprattutto in Africa, comporta sempre la particolarità di coinvolgimento del più grande numero possibile di persone, di origini differenti. Si rende dunque sempre necessario impostare l'evento con chiarezza per permettere agli uni e agli altri di vivere meglio ciò che li riunisce in seno ad una liturgia eucaristica. È quanto tenteremo di fare qui nel quadro dell'ordinazione episcopale di Mons. Damiano Guzzetti nuovo vescovo della diocesi di Moroto, in Uganda.
Il ministero ecclesiastico è esercitato nella diversità degli ordini sacri da coloro che fin dall'antichità cristiana sono chiamati vescovi (episcopi), sacerdoti (presbiteri), e diaconi. Tuttavia, la dottrina cattolica riconosce due soli gradi di partecipazione ministeriale al sacerdozio di Cristo: l'episcopato e il presbiterato. Ecco perché soltanto il vescovo e il prete Operano in persona Christi. Quanto al diacono, egli ha la funzione di aiutarli e di servirli. D'altronde, il termine sacerdos designa solamente i vescovi e i preti e non già i diaconi. E tuttavia questi due gradi (episcopato e presbiterato) di partecipazione sacerdotale e il grado di servizio (diaconato) sono conferiti tutti e tre con un atto liturgico-sacramentale chiamato «ordinazione», ossia sacramento dell'ordine.
Tra questi differenti ordini che sono esercitati nella Chiesa fin dalle sue origini, il primo posto, secondo la testimonianza della tradizione (evangelica et apostolica, scritta e orale) spetta «alla funzione dì coloro che, stabiliti nell'episcopato, la cui linea si prolunga a partire dalle origini, sono i tralci attraverso i quali si trasmette il seme apostolico» (S. Ignazio d'Antiochia, Trall. 3,1). Infatti, per compiere la loro missione, gli apostoli furono arricchiti da cristo di una effusione speciale dello Spirito Santo; loro pure, attraverso l'imposizione delle mani, trasmisero ai loro collaboratori e successori il dono spirituale che si è diffuso fino a noi attraverso la consacrazione episcopale. Con essa è conferita la pienezza del sacramento dell'ordine, che viene anche designata col nome di «sommo sacerdozio di realtà totale (somma del ministero sacro)» (LG 20).
La consacrazione episcopale, attraverso l’imposizione delle mani e le preghiere di consacrazione, conferisce al vescovo la missione di insegnare, di santificare e di governare, tanto che i vescovi, in modo eminente e visibile, tengono tra i fedeli il posto di Cristo stesso, Maestro, Pastore e Pontefice e svolgono la sua stessa missione (In eius persona agant). Così, dalla grazia dello Spirito Santo che è loro data, i vescovi sono costituiti veri e autentici maestri della fede, pontefici e pastori. Ogni vescovo, come vicario di Cristo, ha la missione pastorale della chiesa particolare affidatagli, ma, allo stesso tempo, porta collegialmente con i suoi confratelli nell'episcopato la sollecitudine pastorale per tutte le chiese. Ciò vuoi dire che se ogni vescovo è pastore proprio della porzione di popolo da Dio affidata alle sue cure, la sua qualità di legittimo successore degli apostoli lo rende «solidalmente responsabile della missione della Chiesa» (Pio XII, Enc. Fidei donum; cf. LG 23). Egli rappresenta visibilmente e dappertutto il Cristo, Buon Pastore e Capo della sua Chiesa.
Il vero volto attuale della Chiesa e della sua gerarchia dipende fortemente da ciò che è stato il periodo compreso tra il IV e V secolo (l'età d'oro patristica, Tempera Christiana). Senza a(vere la pretesa di studiare, in questo lavoro molto limitato, la teologia dell'episcopato a quell'epoca importante della storia del cristianesimo, ci proponiamo semplicemente di mettere ih evidenza certi punti salienti, relativi alla missione pastorale del vescovo, in modo molto particolare nella predicazione e nella corrispondenza del grande S. Agostino, la cui attività pastorale si colloca tra la fine del IV e l'inizio del V secolo. Egli è probabilmente la persona più consultata del suo tempo. Ricordiamo, inoltre, che Agostino aveva fondato a Ippona un monastero episcopale («vivaio di vescovi»).
Di fatto, il pensiero e la pratica pastorale di S. Agostino affondano le loro radici in un contesto profondamente segnato dal donatismo, un movimento di rivolta contro i responsabili della Chiesa e particolarmente contro i vescovi, considerati come traditori della fede. C'era una necessità impellente di ben comprendere e definire il modo fedele di insegnare (ortodossia), di comportarsi (ortoprassi) e di governare (pastorale) le comunità cristiane secondo i criteri del messaggio evangelico. È in occasione di questa rigorosa discussione con essi che il vescovo di Ippona formulò la sua teologia sacramentale e la sua ecclesiologia.
Questa iniziativa pastorale straordinaria procurò numerosi ed eccellenti vescovi alle comunità della Chiesa afro-romana. Essa perseguiva un duplice obiettivo, formare uomini onesti e tecnicamente capaci di trasmettere un messaggio che scaturisca dal cuore. Egli insisteva allora sul vir bonus, poiché il vescovo deve anzitutto essere un uomo di Dio in cui l'integrità della vita e la sincerità del cuore si uniscano alla robustezza del sapere. Egli deve soprattutto impregnarsi della parola di Dio (essere discepolo delle sacre scritture), meditarla, ruminarla, farla passare nella propria vita, prima di annunciarla agli altri, in uno stile solenne, persino violento, se necessario. Questa proclamazione della parola di Dio esige un clima permanente di preghiera.
Vogliamo ora presentare una certa terminologia utilizzata dallo stesso S. Agostino in merito al ministero episcopale.
1 – Gesù Cristo, unico Buon Pastore
Rivolgendosi ai suoi fedeli d'Ippona (Sermo 47, 20), Agostino sottolineava con forza che è sempre lo stesso Gesù che guida la sua Chiesa e che è il loro pastore principale. Egli non è mercenario e ne aveva dato prova dando la sua vita per le sue pecore. Tutti i pastori che compiono bene il loro ministero (boni pastores) sono imitatori del Cristo.
Non esita neppure a vituperare i cattivi pastori definendoli mercenari, negligenti, cattivi, falsi, lupi..., che non cercano affatto gli interessi del Cristo e ancor meno quello delle pecore ma Che si servono del gregge piuttosto che servirlo (cf. l'espressione «seipsos non oves pascunt» che ritorna più volte nel sermone 46). Agostino aveva piena consapevolezza che la Chiesa (come gerarchia e come comunità di credenti) è «permixta»: è santa, ma ciò non esclude che in seno ad essa vi siano dei peccatori. Anche i pastori possono essere buoni e cattivi. Ma i fedeli non devono rivoltarsi contro l'istituzione ecclesiastica, poiché il vero ed unico pastore del gregge è Gesù Cristo, nel quale bisogna riporre tutta la propria fiducia.
Il vocabolario pastorale di S. Agostino (pascere, oves, grex, pastor bonus o malus...) rientra in una lunga e antica tradizione patristica che va da Ignazio di Antiochia (II secolo) a San Gregorio Magno l'autore della Regula pastoralis. Questi Padri si riferiscono a Ez. 34 e a Gv 10 e il termine pastor, nel senso del ministero pastorale nella Chiesa, rimanda al custode delle anime della comunità cristiana. Il verbo pascere significa allora nutrire, custodire e curare queste anime, prendersi cura di ognuna e vigilare (epi-scopein) su tutte. È questa precisamente la missione del vescovo secondo S. Agostino.
2 – «Episcopus servus est»
Il vescovo è un servitore. Il servizio è un tema altamente evangelico, poiché Gesù si è presentato lui stesso come il servitore di tutti e ha chiesto ai suoi discepoli di imitarlo rimettendosi umilmente al servizio gli uni degli altri (Gv 13, Mt 20, 24-28). Questa virtù è fondamentale nella vita del vescovo. Parlando del suo ministero, S. Agostino usa certi termini specifici di servizio: servus, servitium, servire, ministerium, ministrare, dispensator, dispensare. Ciò significa che se il Vescovo non è anzitutto servo, non è in realtà vescovo e di vescovo porta solo il nome. E quanto dire che l'identità o la spiritualità episcopale è il servizio, oggi significato dalla espressione «carità pastorale». Per esprimere la sua profonda convinzione di essere servo (doulos). Agostino affermava spesso: «io sono al servizio del bene di questa Chiesa che mi è stata affidata. Non desidero tanto guidarla quanto servirla» (Ep.134,1 in NBA XXII, p. 122). Agostino si sentiva profondamente servo dei servi di Cristo (Cf. in cima all'Ep. 130, in NBA XXII, p. 721: «Augustinus Episcopus servus Christi servorumque Christi...». Egli si dichiara qui e altrove (Sermo 340,1, in NBA XXXIII, p 994-996) umile compagno di servizio (conservus) con i suoi fedeli di Ippona, cioè operaio all'opera con gli altri (cooperarius) nella vigna del Signore. Ciò traduce una profonda convinzione. Il popolo sul quale egli è costituito «sorvegliante» (episcopos), appartiene anzitutto a Dio. Per cui Agostino non usa mai espressioni come «il mio popolo», ma sempre «il popolo di Dio o il popolo cristiano»: popolo di cui il vescovo è uno dei membri con gli altri fedeli. Ogni vescovo è dunque due volte servus di Dio e della Chiesa.
I termini minister e ministrare fanno riferimento in S. Agostino al compimento degli atti di culto. Anche qui il senso di umiltà non è meno tutelato: ciò che il vescovo o gli altri chierici amministrano non proviene dalle loro ricchezze personali. Essi non sono altro che semplici amministratori, distibutori o servitori dei beni del Signore. Essi servono al popolo di Dio i tesori della Parola e dei Sacramenti. Il ministero episcopale è quindi considerato a giusto titolo come una dispensa, una distribuzione, una amministrazione o gestione di un patrimonio (i beni sacri) che appartengono ad altri (Dio).
3 – Il vescovo è colui che cerca il bene e gli interessi della comunità prima di preoccuparsi del potere e del prestigio personale
Ogni autorità ricercata per se stessa non è altro che una dominazione tirannica ed empia, che non ha luogo in seno alla Chiesa, Civitas Dei, nella quale deve regnare l'amore e la concordia. Per Agostino (Sermo 340/A, 4, in NBA XXXIII, p. 1006) l'autoritarismo non si addice al vescovo che è il responsabile di coloro che si considerano fratelli e figli dello stesso Padre. Colui che mira attraverso l'autorità dell'episcopato al proprio prestigio personale non serve gli interessi di Cristo.
Per non essere vescovi solo di nome, è necessario essere costantemente prudenti di fronte alle continue tentazioni di autoritarismo che possono a volte concretizzarsi in decisioni affrettate e precipitate in momenti di forti pressioni (Cf. Ep. 250, 2-3 in NBA XXIII, P 862-864). Ecco tutto il significato dei verbi praeesse e prodesse (Sermo 340/A). Se il vescovo è servitore di Cristo, il suo servizio deve anzitutto essere utile al popolo di cui ha l'affidamento e non già lo strunento della sua affermazione personale (Sermo 46, 2). Poiché egli è là per servire e non per asservire ; e la sola preminenza che egli può a buon diritto rivendicare è quella del più grande asservimenlo personale, poiché nella Chiesa chi governa è colui che serve (Le 22, 26). Il vero praepositus (posto, messo alla testa della comunità) è al servizio della salvezza della sua comunità e non alla ricerca del suo proprio interesse. D'altronde se la sua cattedra, durante le celebrazioni liturgiche, domina l'assemblea, ciò non è per nutrire il suo orgoglio di stare a capo e di essere visibile a tutti, ma, fra l'altro, a livello simbolico, per vigilare e osservare da lontano i pericoli che minacciano il popolo per meglio difenderlo.
Per questa ragione, l'episcopato non potrà dunque essere un privilegio personale al quale attaccarsi gelosamente. Per S. Agostino, niente è più grande che l'essere cristiano. D'altronde, egli dice, «se per tutelare il mio episcopato, devo disperdere il gregge di Cristo, come potrebbe un tale danno diventare un onore per un pastore?». Davvero, sarebbe una grave vergogna sacrificare l'unità o l'integrità della Chiesa alle proprie ambizioni personali.. Lo stesso Agostino non ha esitato, in spirito di abnegazione, la rassegna delle sue dimissioni quando si era reso conto del suo errore personale di giudizio e dei gravi danni che egli aveva causato alla chiesa di Fussala per avere proposto per questa nuova sede vescovile il giovane prete (20 anni) e dannoso vescovo (Ep. 209, 10, in NBA XXXIII, P. 502-504): un personaggio tanto strano quanto estraneo al sensus Ecclesiae.
4 – Il ministero episcopale è un pesante fardello che grava sulle spalle di chi lo esercita
S. Agostino si serve di certe espressioni per tradurre ciò: sorcina, periculum, pondus, labor, onus (Sermo 339, 1, in NBA XXXIII, P. 972).
Il termine sorcina (al plurale sarcinae, sarcinarum) è usata 278 volte da S. Agostino. Esso rimanda al fardello costituito dai bagagli ed effetti personali del soldato durante la campagna, e corrisponde al peso delle esigenze del pesante compito dell'episcopato. Non si tratta qui delle comodità personali o della dolce vita, ma del senso di responsabilità come guida del popolo di Dio. E si tratta di una situazione che deve essere sostenuta dalla preghiera dei fedeli. Agostino presenta pure il ministero sacerdotale ed episcopale contemporaneamente come nobile ed esaltante (se è compiuto come voluto da Dio) e come offìcium periculosum (grande pericolo). Il pericolo deriva dalla piccolezza di chi è chiamato ad esercitare un ministero così sublime. Non solo il vescovo è un uomo debole e fragile, ma la sua posizione di «maestro» in seno alla comunità diventa spesso scomoda, poiché egli è fatto bersaglio spesso di critiche aspre anche da parte dei fedeli oltre che dei nemici del Vangelo e che sono spesso causa di grandi angosce per il vescovo. Il vescovo Agostino allora chiede spesso ai suoi cristiani di essere clementi con lui e di pregare per lui piuttosto che contentarsi di semplici critiche.
Il pericolo può anche derivare da facili e striscianti lodi da parte di adulatori e cortigiani che potrebbero toccare o svegliare l'orgoglio o la vanità del vescovo, facendogli perdere di vista la salvezza del popolo e persino quella propria (Sermo 339, 1). Il vescovo d'Ippona non aveva che un solo desiderio: che i fedeli affidati alle sue cure pastorali vivessero fedelmente gli impegni della loro fede.
Pondus, onus et labor: questi termini traducono, come quelli precedenti, il carattere riguardante il peso e le esigenze del ministero episcopale e/o sacerdotale. Nella sua lettera (verso l'anno 398) indirizzata all'Abbate di un monastero del quale invidiava la serenità, Agostino si lamenta del peso (labor) del suo episcopato, poiché a volte gli mancava il tempo e la calma necessari per un faccia a faccia prolungato con il suo Maestro, nella preghiera, a causa dei bisogni del ministero e dell'attenzione alle disparate necessità della sua Chiesa. Tutto ciò costituiva magnus labor, magnum pondus, magnum onus che non facilitavano il desiderio di pace che Agostino provava nello studio delle Scritture. Non ignorava che la vita di ogni predicatore del vangelo è una duplice pena (labor) se la si raffronta con quella dei semplici fedeli che sono chiamati soltanto a penare sulla via ardua della fede. Il vescovo, invece, è chiamato a rendere conto della propria vita e i quella dei suoi fedeli.
Da sinistra:
Don Joseph Ndoum
e Severino Mastellaro
Da questo studio rapido di alcuni passi o estratti dalla predicazione e dalla corrispondenza di S. Agostino, questo grande pastore e teologo, risulta che il modello del ministero episcopale è lo stesso Gesù Cristo, pastore e servo per eccellenza. L'episcopato non è un onore, ma un onere e un servizio: il vescovo è più servo che superiore, il suo essere non è per se stesso, ma per il servizio di coloro per i quali egli è costituito ministro della Parola e dei Sacramenti. Si diventa vescovo per gli altri e non per se stessi e per la ricerca egoistica e individualista del benessere personale. S. Agostino aveva piena coscienza di questa missione a favore del popolo affidato alle sue cure pastorali. Ecco perché egli dice: «ciò che io sono per voi mi terrorizza, ma ciò che io sono con voi mi consola: poiché per voi io sono vescovo, con voi sono cristiano. Il primo titolo è quello di un incarico ricevuto, il secondo di una grazia. Quello designa il pericolo, questo la salvezza». Ogni persona contava ai suoi occhi di pastore, soprattutto perché ognuno è amato personalmente da Cristo. Come non augurare ciò al giovane vescovo Damiano, per tutte le sue pecorelle di Moroto.
Don Joseph Ndoum
Traduzione dal Francese di Francesco Lo Valvo,
Collaborazione di Severino Mastellaro