Roma, domenica 14 luglio 2013
L’Osservatore Romano, giornale quotidiano del Vaticano, ha pubblicato ieri, sabato 13, un articolo sulla campagna “Piquiá vuole vivere” che sta facendo il giro del mondo e che è sostenuta anche dai missionari comboniani in Brasile. La lotta della popolazione di Piquiá de Baixo “ha già ottenuto l’appoggio di numerosi settori della società brasiliana e la mobilitazione in suo favore nel mondo cresce di giorno in giorno”, dice l’articolo che pubblichiamo di seguito.
I comboniani in Brasile sostengono
la protesta di una cittadina
soffocata dall’inquinamento
Piquiá vuole tornare a vivere
“Piquiá vuole vivere”: da qualche giorno è un appello che sta facendo il giro del mondo. Un tam-tam che affolla la rete, diffuso in cinque lingue (oltre all’italiano, in inglese, portoghese, spagnolo e francese), che intende sostenere la popolazione di Piquiá de Baixo, centro del nordest del Brasile — nello Stato di Maranhão, in piena Amazzonia — che lotta ormai da più di un lustro contro l’inquinamento che, secondo le denunce, sta uccidendo lentamente i suoi abitanti. Una battaglia sostenuta con determinazione anche dai missionari comboniani che sul loro sito in rete hanno pubblicato un appello accorato e diretto. «Chiediamo il tuo aiuto per inviare un’e-mail al sindaco di Açailândia, al governatore e al procuratore generale di Giustizia dello Stato di Maranhão, per dire basta con l’inquinamento che sta uccidendo i 1.100 abitanti di Piquiá de Baixo, e basta con le scuse che continuano a rinviare il progetto di reinsediamento».
I missionari comboniani, che dal 2001 sono presenti sul posto, ricordano come l’abitato di Piquiá de Baixo, nel distretto industriale di Açailândia, risente ormai da circa venticinque anni dei problemi causati dall’inquinamento prodotto da cinque impianti siderurgici e da una società mineraria. «Circa 350 famiglie, più di 1.100 persone — è la denuncia dei missionari — stanno soffrendo a causa della presenza di queste industrie “nel cortile di casa”. Febbre, mancanza d’aria, prurito alla pelle, allergie e tumori causati dalla polvere di ferro e dai gas emessi da queste aziende: il profitto resta nelle mani di pochi, mentre i danni sono per tutti».
La lotta della popolazione locale ha già ottenuto l’appoggio di numerosi settori della società brasiliana e la mobilitazione in suo favore nel mondo cresce di giorno in giorno. Non essendo possibile la chiusura delle imprese, l’unica strada percorribile è ritenuta quella di avviare un processo collettivo di reinsediamento in un’area libera e più dignitosa. In altre parole, la costruzione di un nuovo quartiere, nel quale queste persone potranno finalmente trovare condizioni di vita accettabili.
Il progetto è già pronto e un team di avvocati è riuscito a strappare l’appoggio economico necessario del Governo federale. A questo punto, è solo il piccolo comune di Açailândia a ritardare l’attuazione di tutto il pro cesso.
L’Osservatore Romano, sabato 13 luglio, pagina 7.