Sabato 29 marzo 2025
Ai numerosi appelli per una de-escalation delle tensioni montanti in Sud Sudan si è unito il 29 marzo anche quello della Conferenza episcopale del Sudan e del Sud Sudan, per voce del cardinale Stephen Ameyu Martin. In una conferenza stampa l’arcivescovo metropolita di Juba ha richiamato le parole di invito alla riconciliazione di papa Francesco durante la sua visita a Juba nel febbraio 2023: “La pace richiede perdono, coraggio e speranza. Richiede che guardiamo oltre noi stessi”, ha ricordato. [Credit photo: Office of the President of South Sudan. Testo: Nigrizia]
Ai numerosi appelli per una de-escalation delle tensioni montanti in Sud Sudan si è unito il 29 marzo anche quello della Conferenza episcopale del Sudan e del Sud Sudan, per voce del cardinale Stephen Ameyu Martin. In una conferenza stampa l’arcivescovo metropolita di Juba ha richiamato le parole di invito alla riconciliazione di papa Francesco durante la sua visita a Juba nel febbraio 2023: “La pace richiede perdono, coraggio e speranza. Richiede che guardiamo oltre noi stessi”, ha ricordato.
Martin ha poi ribadito la disponibilità della Chiesa cattolica a mediare per un dialogo tra i due contendenti: il presidente Salva Kiir e il primo vicepresidente Rieck Machar, agli arresti domiciliari dal 26 marzo scorso assieme alla moglie, la ministra degli Interni Angelina Teny. “Invitiamo ancora una volta il presidente Salva Kiir, tutti i leader politici e le parti dell’accordo di pace, incluso il R-TGoNU (il governo di unità nazionale, ndr), a onorare i propri obblighi e a resistere a qualsiasi tentazione di ricorrere alle armi”, ha detto il cardinale.
“Se il Sud Sudan torna alla violenza su vasta scala, le conseguenze saranno catastrofiche. La perdita di vite umane, il crollo dell’unità nazionale e di fragili istituzioni devasteranno le generazioni future” ha avvertito. Il prelato ha anche condannato il coinvolgimento dell’esercito ugandese. “L’arresto dei leader dell’opposizione e il coinvolgimento di forze militari straniere, in particolare lo spiegamento delle Uganda People’s Defence Forces (UPDF), hanno solo contribuito ad aumentare la paura e la sfiducia. Tali azioni rischiano di trasformare il nostro amato paese in un campo di battaglia per interessi esterni e manipolazione politica”, ha affermato.
L’arcivescovo ha poi esortato la società civile, i gruppi di giovani e donne, i leader tradizionali, la comunità internazionale e tutte le persone di buona volontà a opporsi alla guerra e ad evitare i discorsi d’odio. “Resistete all’incitamento all’odio, all’incitamento tribale e alla disinformazione, soprattutto attraverso i social media. Non lasciate che i vostri cuori si induriscano. Questa terra è vostra e dei vostri figli. Non lasciate che si bagni di nuovo di sangue”, ha detto Ameyu.
Scontri e tensioni crescenti
Il Sud Sudan è lacerato da settimane dall’aumento di tensioni, anche armate, tra i due schieramenti che già hanno combattuto una guerra civile durata cinque anni e conclusa con un fragile accordo di pace nel settembre 2018: l’SPLA guidato da Salva Kiir – poi rinominato Forze di difesa popolare del Sud Sudan (SSPDF), sostenuto dall’esercito ugandese – e l’Esercito di liberazione popolare del Sudan all’opposizione (SPLA-IO) di Rieck Machar.
L’arresto del primo vicepresidente – e di numerosi alti esponenti e funzionari del suo partito – è stato l’apice di un’escalation di tensione che ha visto scontrarsi le due forze armate a Juba e nella regione nord-orientale dell’Upper Nile, con decine di vittime civili e almeno 50mila sfollati. Lo stop a tutte le operazioni militari, ordinato da Kiir nei giorni scorsi ha permesso di fermare la deriva armata, che resta però pronta a riesplodere.
Per inviato IGAD serve un “intervento di sicurezza internazionale”
Nel tentativo di evitare una ripresa del conflitto su larga scala è intervenuto il 28 marzo scorso il kenyano Raila Odinga, in qualità di inviato dell’IGAD, l’Autorità intergovernativa per lo sviluppo, il blocco commerciale dei paesi dell’Africa orientale. Una visita con un esito poco confortante, visto che al suo rientro a Nairobi Odinga ha sottolineato che la situazione rimane irrisolta e richiede “un intervento di sicurezza internazionale” per prevenire una futura escalation armata.
Nella capitale sudsudanese il politico kenyano ha incontrato il presidente Kiir, ma non gli è stato permesso visitare Machar agli arresti domiciliari. “Ho chiesto di poter parlare con il Machar, ma non sono stati in grado di lasciarmi vederlo. Mi hanno raccomandato di incontrare il presidente [ugandese] Yoweri Museveni, cosa che ho fatto. Da Juba sono poi andato a Entebbe”, ha spiegato Odinga. Che ha aggiunto che proporrà ai vertici dell’IGAD la messa a punto di una road-map “per una pace e una stabilità sostenibili”.