Il nuovo corso USA in Africa – La “pace mineraria” in Congo

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Lunedì 17 marzo 2025
Gli Stati Uniti e la Repubblica Democratica del Congo (Rdc) potrebbero tornare a essere grandi alleati nel business minerario come negli anni Novanta, ai tempi dell’amministrazione dell’allora presidente Bill Clinton. Infatti, verranno presto avviati negoziati formali sull’accesso degli Stati Uniti alle più grandi riserve al mondo di cobalto, coltan, rame e litio, essenziali per le tecnologie all’avanguardia nella difesa, nella transizione energetica e in altri settori. [Credit photo: Wikimedia]

Una decina di giorni fa, il Dipartimento di Stato americano ha dichiarato di essere disponibile a una partnership mineraria con Kinshasa confermando che sono iniziate le discussioni preliminari. Le autorità congolesi sperano così d’impedire ai ribelli M23, sostenuti dal vicino Ruanda, di saccheggiare le risorse minerarie del loro Paese. Da gennaio, com’è noto, il gruppo armato ha lanciato un’offensiva in grande scala nel settore orientale dell’ex Zaire, che ha messo in serie difficoltà l’esercito regolare congolese.

L’oggetto del contenzioso è rappresentato dal controllo delle immense risorse minerarie presenti nel sottosuolo del gigante africano. Non è un caso se il 21 febbraio scorso, proprio nel momento in cui le forze di Kinshasa erano costrette ad un’affannosa ritirata, un certo Aaron Poynton, U.S. President of the Africa-USA Business Council (società di consulenza statunitense specializzata nella gestione dei cosiddetti African affairs), ha inviato una lettera al Segretario di Stato Usa Marco Rubio, offrendo una “partnership strategica” tra i due Paesi.

La missiva propone tra l’altro l’accesso alle commodity congolesi, il controllo operativo di un porto in acque profonde da utilizzare come hub di esportazione e l’istituzione di una riserva mineraria strategica congiunta. In cambio, il governo di Washington si impegnerebbe ad equipaggiare e addestrare le forze armate congolesi per proteggere i corridoi di rifornimento minerario dai gruppi ribelli sostenuti da concorrenti stranieri, più o meno occulti.

La cooperazione militare rafforzata potrebbe persino sostituire la fantomatica forza di peacekeeping sotto l’egida delle Nazioni Unite, la Monusco, che la lettera descrive come espressione delle “inefficaci operazioni di mantenimento della pace delle Nazioni Unite” nella nazione centroafricana. Sta di fatto che il giorno dopo la scrittura della missiva, l’ipotesi concreta di un accordo sui minerali – per una curiosa coincidenza – è stata formulata con grande savoir-faire, dal presidente congolese Felix Tshisekedi in un’intervista del 22 febbraio scorso al New York Times. Félix Tshisekedi ha praticamente offerto su un piatto d’argento agli Stati Uniti e all’Europa una quota della vasta ricchezza mineraria del suo Paese, un settore attualmente dominato dalla Cina. 

Viene pertanto spontaneo pensare che in fondo l’invasione operata da M23 sul territorio congolese, nelle province del Nord e Sud Kivu, quasi in concomitanza con l’investitura di Trump alla Casa Bianca, sia stata una mossa per mettere Kinshasa con le spalle al muro rispetto alla sua politica di accordare prevalentemente concessioni minerarie al governo cinese.

Non ci vuole molto a capire che gli investimenti minerari occidentali sono visti come un affronto alla Cina, che da sola controlla tra il 75 e l’80% delle attività minerarie nella Repubblica Democratica del Congo, in particolare nei settori del rame e del cobalto. Un’alleanza che venne voluta e sancita dall’ex presidente congolese Joseph Kabila nel 2008 e rinegoziata dallo stesso Tshisekedi nel gennaio del 2024, in un accordo minerario tra la Rdc e un consorzio cinese denominato “il contratto del secolo”. 

L’intesa diplomatica per la pacificazione del settore orientale della Rdc, che potrebbe concretizzarsi a Luanda in Angola martedì prossimo, sarà con ogni probabilità espressione del nuovo corso inaugurato da Trump in Africa. È comunque bene ricordare che il presidente Tshisekedi ha trascorso gran parte della sua vita in Belgio ed è stato sostenuto dagli Stati Uniti durante la sua contestata elezione nel 2018. Motivo per cui si profila una stagione per il suo Paese in cui egli sarà costretto a dare un colpo al cerchio e uno alla botte. Un difficile equilibrismo tra opposti schieramenti. Viene da chiedersi se questa è la cooperazione allo sviluppo di cui ha bisogno l’Africa.

P. Giulio Albanese, MCCJ
Avvenire