La festa della santa famiglia è inserita nel contesto celebrativo natalizio. Il gruppo familiare composto da Giuseppe, Maria e Gesù vi appare come modello di ben assortita e rispettabile convivenza, concordia, donazione generosa e amore reciproco.

Una famiglia come le nostre

Festa della Santa Famiglia
Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore
Luca 2,41-52

La domenica successiva al Natale celebriamo la Festa della Santa Famiglia di Nazaret. Questa ricorrenza ci invita a riflettere sul mistero del Natale all’interno del contesto in cui si è realizzato: quello di una famiglia. I Vangeli, tuttavia, offrono pochissimi dettagli sulla vita familiare di Gesù e sulla sua infanzia, suggerendo che la vita della Sacra Famiglia sia stata ordinaria, priva di eventi straordinari degni di essere tramandati. Solo i Vangeli di Matteo e Luca forniscono alcuni riferimenti, perlopiù guidati da un’intenzione teologica più che storica.
Il Vangelo odierno ci narra l’episodio noto come lo smarrimento e ritrovamento di Gesù nel Tempio, l’unico episodio della sua adolescenza riportato nei testi evangelici.

Gesù dodicenne: la prima Pasqua a Gerusalemme

Gesù, all’età di dodici anni, accompagna per la prima volta i suoi genitori nel pellegrinaggio verso Gerusalemme. L’obbligo di adempiere a questo precetto iniziava solo a tredici anni, età in cui l’adolescente veniva considerato ‘adulto’ dal punto di vista della responsabilità religiosa e morale. Più tardi la tradizione rabbinica sviluppò il rito religioso chiamato Bar Mitzvah (‘figlio del comandamento’), nel quale il giovane adolescente leggeva pubblicamente per la prima volta i rotoli delle sante Scritture in ebraico. Questo rappresenta uno degli eventi più significativi nella vita di una persona ebrea.
Perché proprio a dodici anni? Potrebbe trattarsi di un riferimento al profeta Samuele che, secondo la tradizione, iniziò a profetizzare alla stessa età. In effetti, San Luca sembra trarre ispirazione dal canto di Anna, madre di Samuele, per il Magnificat (1Samuele 2,1-10), e dalla descrizione della crescita di Samuele per il commento conclusivo sullo sviluppo di Gesù in questo brano evangelico (cf. 1Samuele 2,26). Gesù è presentato come il discepolo in ascolto permanente del Padre, evocando la figura di Samuele, di cui è detto che ‘non lasciò andare a vuoto una sola delle sue parole’ (1Samuele 3,19).

Gesù “smarrito”: la “pasqua” della famiglia

“Ma, trascorsi i giorni (di solito tra tre e sette), mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero.” Di fronte a questo episodio, qualcuno ha parlato di una “famiglia sconquassata” (Alberto Maggi): genitori che smarriscono il figlio; un figlio che agisce per conto suo senza avvisare i genitori; e, quando lo ritrovano, invece di scusarsi, li rimprovera. Come si può definire questa una famiglia modello? Proprio perché rispecchia una famiglia reale, come le nostre, con smarrimenti, ricerche angosciate, incomprensioni e malintesi.
Non si tratta, ovviamente, di un racconto cronachistico, ma di un racconto teologico e catechetico rivolto alla comunità cristiana. I “vangeli dell’infanzia” (Luca 1-2 e Matteo 1-2) sono stati scritti alla luce della Pasqua. Questo è evidente, ad esempio, nel dettaglio del ritrovamento “dopo tre giorni”, chiaro riferimento pasquale.
Possiamo tuttavia cogliere in questa narrazione un parallelismo con la “pasqua” (passione-morte-risurrezione) vissuta da tante famiglie. Un figlio che si allontana, che segue la propria strada… Quanto dolore, quanta angoscia nella ricerca e nell’attesa! Tornerà? Ogni genitore, nel profondo, spera nel ritorno, nell’abbraccio che risolleva e ridona vita alla famiglia. E che dire, poi, dei figli che, pur rimanendo a casa, non si sentono compresi o non percepiscono l’affetto dei genitori?

Perché mi cercavate?”: le prime parole di Gesù

“Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo”. Il brano sottolinea lo stupore dei genitori e dei maestri della Torah. Questo stupore non era di meraviglia, ma di sorpresa per i genitori, per il comportamento insolito del figlio, e di irritazione per i maestri che l’ascoltavano. Infatti, il termine greco adoperato dall’evangelista indica una meraviglia irritata da parte di questi rabbini (Alberto Maggi). Gesù fa una “esegesi” della Legge che scompagina con le loro tradizioni!
La risposta di Gesù ai genitori è sconcertante. “Perché mi cercavate?”. Queste sono le prime parole pronunciate da Gesù nel Vangelo di Luca. Suonano come una rivendicazione di autonomia. Al “tuo padre” di Maria, che allude alla autorità paterna di Giuseppe, Gesù contrappone “il Padre suo”: “Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”. Qui trasparisce, per la prima volta, una presa di coscienza della sua identità profonda.
I genitori sono i custodi della tradizione e rappresentano il modo di pensare e di agire nella società. Rileggendo questo racconto e pensando alle nostre famiglie, potremmo vedere qui, simbolicamente, un ceno allo scatto generazionale che sempre esisterà tra genitori e figli. Ogni figlio porta con sé una novità che presto o tardi si scontrerà con la “tradizione” di “quello che è sempre stato fatto”! Il figlio può allontanarsi per un falso senso di libertà, come nella parabola del figlio prodigo. Ma ci può essere anche un distacco per fedeltà ad un richiamo interiore, che i genitori devono assecondare: “Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”

“Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro… Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore”. Ci sono tanti eventi che non riusciamo a capire e, quindi, tendiamo a scartare. La vita è composta da una infinità di tasselli. Il credente li custodisce tutti nel suo cuore, anche quelli che sembrano non inquadrare nell’ordine normale delle cose. San Luca in 2,19 dice: “Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore”. Il verbo greco impiegato per “meditare” è symbalein, che significa “mettere insieme”. La vita è un puzzle e richiede l’arte di Maria: “mettere insieme” i pezzi. Un giorno verrà quando ogni tassello troverà il suo posto!

P. Manuel João Pereira Correia, mccj

La famiglia di Nazaret e il codice domestico

1Sam 1,20-22.24-28; Salmo 83; 1Gv 3,1-2.21-24; Lc 2,41-52

La festa della santa famiglia è inserita nel contesto celebrativo natalizio. Il gruppo familiare composto da Giuseppe, Maria e Gesù vi appare come modello di ben assortita e rispettabile convivenza, concordia, donazione generosa e amore reciproco.

La famiglia di Nazareth, “un vero modello di vita” con le sue virtù, percorse nella fede, nella gioia, nella sofferenza e nella prova un itinerario tutto suo, certo irrepetibile, ma anche con tanti aspetti in comunione con le famiglie di tutti i tempi. Già all’origine, prima che questa famiglia si costituisse, c’è il dubbio legittimo di Giuseppe di fronte a Maria che risulta in attesa di un figlio non previsto. E dopo, questa nascita è tribolata: manca una casa di accoglienza e Gesù nasce in una grotta su una mangiatoia. Segue la persecuzione del sanguinario Erode che fa fuggire i genitori con il bambino in Egitto. Poi, tornati, quando portano Gesù dodicenne al Tempio, egli si eclissa per tre giorni. I momenti ancora più difficili sono quando Gesù lascia la casa familiare per la sua missione che lo condurrà al tragico epilogo del Calvario, in presenza della madre, presso la croce, impietrita dal dolore.

Con la celebrazione della Santa famiglia di Giuseppe, Maria e Gesù, la Chiesa vuole ricordarci tutta l’importanza che Cristo attribuisce alla famiglia in generale. Sul piano naturale, è la cellula del tessuto sociale. Sul piano spirituale, è la cellula della Chiesa, questa grande famiglia di Dio, che ha Dio come Padre, e noi siamo tutti fratelli di (e in) Cristo.

La costruzione del Regno di Dio passa attraverso la famiglia cristiana solida e preoccupata dai valori umani e spirituali. La famiglia è la grande scuola fondata da Dio per l’educazione degli esseri umani. E’ una struttura da conservare e da preservare con grande cura, soprattutto in questi tempi postmoderni di agonia della famiglia. L’agonia della famiglia è anche l’agonia della Chiesa.

In questo triste contesto, la chiesa incoraggia oggi che i cristiani fanno delle loro famiglie rispettive “piccole Chiese domestiche”, dove si teme e onora il Signore, si pensa a santificarsi e ad offrire alla società delle persone sante. Purtroppo, questo sembra un po’ arduo e utopistico in questi tempi odierni (post-cristiani?) di permissività, di abbandono delle virtù e di adozione elevata di una società “laica”, senza morale. Pensiamo ai divorzi, agli aborti, alle unioni libere, ai “matrimoni” tra omosessuali, alle coppie provvisorie e a tante altre scelte di oggi. II cristiani veri non devono lasciarsi ingannare da queste mode ispirate dall’egoismo e dal progetto nascosto di “paganizzazione della società”.

L’antica sapienza esalta l’onore che i figli devono ai genitori. E’ un atteggiamento di pietà e di riconoscenza. Li devono aiutare quando sono vecchi e fuori di testa. Oltre al principio di solidarietà tra generazioni che devono ispirare questo giusto rapporto tra genitori e figli, la compassione o la pietas verso i genitori ha anche una dimensione religiosa perché apre al rapporto con il Signore della vita: “Chi onora il padre espia i peccati…la pietà verso il padre non sarà dimenticata, ti sarà computata a sconto dei peccati”. Queste parole valgono anche per la madre.

La famiglia deve esprimere la carità che distingue il discepolo del Signore, la mansuetudine, la bontà, l’umiltà e la pazienza che sa sopportare e perdonare. Il perdono sincero ha come modello e fonte il perdono ricevuto dal Signore. Il cristiano non è uno che perdona e non dimentica l’offesa, ma è uno che perdona e non dimentica mai di aver già perdonato. Non ritorna più sulle cose perdonate.
Don Joseph Ndoum