Sabato 19 ottobre 2024
Credo che sia doveroso ricordare chi è stato padre Franco Noventa per la Chiesa del Ciad e in particolare per la missione di Moïssala che ha servito in due periodi, dall’81 all’87 e dal 92 al 95. Era arrivato in un momento difficile. Nel 79 Moïssala era stata teatro di terribili massacri che avevano colpito la popolazione e turbato la comunità cristiana.

Accusato di difendere i musulmani, padre Miguel Sebastian, minacciato di morte, dovette lasciare la missione. Al suo posto arrivò padre Francesco Tomasoni. Anche Padre Joseph Delgado, responsabile della comunità,  affaticato dagli eventi lasciò Moïssala nell’aprile dell’81 e fu rimpiazzato da padre Franco Noventa nel novembre successivo.  Il terzo membro dell’équipe era padre Claudio Gasbarro, responsabile del settore di Bekourou. Anche se col tempo le tensioni con la popolazione si attenuarono, le ferite erano ancora aperte e non era facile per questi giovani missionari affrontare le sfide che la missione offriva.

Padre Franco Noventa era diventato sacerdote nel 66 e aveva lavorato nel seminario minore di Thiene per 2 anni. Fu poi inviato in Canada per tre anni e nel 75 lo ritroviamo nella missione di Obo nella Repubblica Centrafricana, al confine con il Sudan, a 1.200 km da Bangui.

Nel 1975 fu destinato a Napoli come formatore del postulato: fu un’esperienza che lo segnò positivamente e condivise spesso il ricordo di questo periodo felice con i giovani. [Tra le pagine del suo diario aveva conservato un volantino distribuito dai tifosi napoletani all’ingresso dello stadio. Era il periodo in cui l’Italia votava sull’aborto. Il testo del volantino recitava: “Tifoso napoletano, rifletti: “E se la madre di Krol avesse abortito?”]

P. Franco arrivò dunque nel 1981 a Moïssala, forte della sua esperienza a Obo, dove si era bene inserito e aveva imparato la lingua locale. La prima domenica a Moïssala tenne l’omelia in Sango, poiché lì c’era una comunità di centrafricani e molti capivano questa lingua. La gente lo applaudì e lo ringraziò, ma subito qualcuno gli disse. “Qui siamo in Ciad e da domenica prossima vogliamo ascoltarti in lingua Mbay…”.

Il suo inserimento fu faticoso, in primo luogo perché il passaggio di consegne con il padre Delgado non poté aver luogo. In secondo luogo, la lingua Mbay era sicuramente più difficile da imparare rispetto al Sango. In terzo luogo, padre Franco, fin dal seminario minore, aveva difficoltà con il cibo e per lui mangiare la polenta con la gente era una difficoltà insormontabile. E questo non era senza conseguenze per le relazioni con i catechisti e i responsabili delle comunità. Moïssala infine era la parrocchia che aveva il minor numero di battezzati: i cristiani non venivano correndo alla Chiesa, al punto che un vecchio gesuita commentava: “Gli mbay non si lasciano certo soffocare dalla religione…”.

Nonostante ciò si mise al lavoro, facendosi aiutare dai catechisti, soprattutto come interpreti. Riorganizzò il catecumenato, riprese i corsi di formazione dei catechisti, visitò i villaggi del suo settore, animando le comunità. Era molto chiaro nel suo insegnamento e spesso toccava i punti deboli dei suoi fedeli, come l’abuso nel bere, la menzogna, la stregoneria… Di fronte a un problema, reagiva direttamente e talvolta trovava reazioni altrettanto forti che lo ferivano.

Nel marzo dell’82, insieme a padre Francesco Tomasoni, accompagnarono, con due automobili, due catechisti al Centro di formazione di Koumogo.  Nel villaggio di Nadjikaba, attratto dal rumore delle auto, un bambino uscì di corsa da dietro il recinto di paglia e venne a sbattere contro la parte posteriore dell’auto guidata da padre Francesco, che non ha poté fare nulla per evitarlo. Purtroppo il bambino morì sul colpo. Anche se la famiglia del bambino non attuò alcuna forma di ritorsione (il padre divenne successivamente amico di padre Tomasoni…) l’intera comunità rimase sconvolta e per settimane il ricordo di questo incidente diventò un peso enorme da sopportare. 

Quando i Comboniani arrivarono a Moïssala nel 77, trovarono una vecchia casa costruita dai primi gesuiti, che mostrava tutti i segni della vecchiaia. La necessità di una casa più confortevole era chiara. Padre Franco fece tutto il possibile perché la nuova casa potesse vedere la luce. Così nell’82 fr. Silvano Salandini fu destinato a Moïssala per i lavori di costruzione, ma riuscì a malapena a costruire un piccolo magazzino, prima di rientrare per problemi di salute. Nove mesi dopo arrivarono da Bangui i fratelli Francesco Toffan e Carlo Mosca che, dopo un anno, completarono la costruzione del magazzino, della cucina e della casa, che fu inaugurata alla festa del Sacro Cuore dell’84. 

Tre mesi dopo, la città di Moïssala cadde nel cuore della ribellione e visse tempi estremamente difficili. Villaggi bruciati, violenze, rappresaglie… ci furono decine di morti. Le persone fuggirono nella Repubblica Centrafricana. I Padri e le Suore, rimasti a Moïssala, gestivano la missione con gli anziani, i malati, i disabili. Ci vollero molto tempo e pazienza per lavorare verso la riconciliazione e la pace e per riprendere le attività. Padre Franco aveva preso a cuore la situazione dei più poveri e abbandonati, si era prodigato affinché la scuola della missione potesse riaprire al più presto per dare segnali di una pace possibile. 

Allo stesso tempo la comunità iniziava a riflettere su come rendere più efficace l’opera di evangelizzazione. La priorità divenne la creazione di un centro di formazione per catechisti per elevare il loro livello di preparazione e garantire famiglie cristiane nei villaggi che potessero essere come il lievito nella pasta… Così, chiedendo la collaborazione di tutta la parrocchia, venne ultimato il Centro di Formazione di Silambi, inaugurato ufficialmente, alla presenza delle Autorità, dal Vescovo Gesuita mons. Veniat nel marzo dell’87. Trovarono posto, come prima promozione, dodici famiglie di catechisti. Padre Franco, insieme agli altri padri, alle suore e ai laici, si alternava nella formazione dei catechisti, delle donne e dei bambini.

Quando mons. Mathias Ngarteri divenne il primo Vescovo Ciadiano, padre Franco colse l’occasione per animare l’intera parrocchia. Il nuovo Vescovo fu accolto da una grande folla che lo aspettava impaziente. La messa venne celebrata sotto gli alberi di mango e la festa fu grande. Mons. Mathias ringraziò i comboniani per l’organizzazione del loro lavoro pastorale, l’accoglienza regolare dei seminaristi in stage nella loro comunità e la formazione dei leader e degli animatori delle comunità. Padre Franco ebbe una grande parte di merito in tutte queste iniziative.

Subito dopo lasciò Moïssala, per continuare la sua missione di formatore degli scolastici a Issy-les-Moulineaux. Tornò a Moïssala una seconda volta, dal 92 al 95. Questo secondo periodo fu sicuramente più faticoso ed ebbe un profondo impatto sulla mente e sul corpo di padre Franco che lasciò la missione in uno stato di salute preoccupante. Al suo ritorno in Italia, gli furono necessari alcuni mesi per ritrovare la salute e la disponibilità a ripartire per la missione: prima Parigi, poi la Delegazione e la Provincia dell’America Centrale. Su queste ultime esperienze non ho informazioni e lascio ad altri il compito di completarle. 

Cosa possiamo dire dell’esperienza di Padre Franco in Ciad e Moïssala?

Innanzitutto ha amato molto e ha sofferto molto.

In secondo luogo, è stato un “seminatore di speranza alle frontiere del Sahel” attraverso l’opera di evangelizzazione e di formazione. Nonostante il numero ridotto di battezzati, Moïssala fu generosa nell’offrire i suoi figli al servizio del Vangelo. La diocesi, i Fratelli del Sacro Cuore, i Missionari Comboniani, le Suore Comboniane e di altre congregazioni trovarono buoni candidati tra i giovani di Moïssala, segno che una buona semina era stata fatta. 

P. Franco era un uomo di fede e di preghiera e condivideva volentieri i valori che gli stavano a cuore. Amava insegnare e formare le persone. Aveva un debole per i poveri e gli indigenti. Ogni domenica, dopo la messa, distribuiva qualcosa per soddisfare i loro bisogni primari. 

Era attento al buon funzionamento della scuola cattolica associata. Chiedeva con forza  ai cristiani di essere coerenti con la loro fede e di non lasciarsi trascinare nelle abitudini dei pagani. La gente diceva che era severo nel parlare, ma aggiungeva che lo amava molto, perché era chiaro nel suo insegnamento e quello che diceva, lo diceva per il bene di tutti.

Porto nel cuore il ricordo di un uomo che ha amato Gesù Cristo, la missione, la comunità e i poveri ai quali annunciava la Buona Notizia. Ha saputo portare avanti una missione che san Daniele Comboni avrebbe definito “ardua, difficile e santa”. Ci ha messo tutto il suo cuore e tutte le sue forze.

Grazie, Franco, per tutto quello che sei stato e per tutto quello che hai dato affinché la gioia del Vangelo potesse entrare nel cuore della gente di Moïssala. Gli angeli siano in festa per condurti al Buon Pastore dal Cuore trafitto, che hai servito e amato tra i tuoi fratelli. Ha promesso una ricompensa ai servitori fedeli. Stai tranquillo: non ti deluderà.

P. Renzo Piazza
N’djamena, 14 ottobre 2024

Comboni2000