La Parola di questa domenica è tutta un invito a sostare davanti alla croce, a fissare il nostro sguardo su Gesù, l’Amore esposto ed innalzato, e lasciarci attirare da lui: “E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me” (Giovanni 12,32). Solo “tenendo fisso lo sguardo su Gesù” (Ebrei 12,2) possiamo vincere il male. San Daniele Comboni raccomandava ai suoi missionari di “tener sempre gli occhi fissi in Gesù Cristo, amandolo teneramente, e procurando di intendere ognora meglio cosa vuol dire un Dio morto in croce per la salvezza delle anime. Se con viva fede contempleranno e gusteranno un mistero di tanto amore, saran beati di offrirsi a perder tutto, e morire per Lui, e con Lui” (Scritti, 2720-2722).

La “necessità” dell’amore

“Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito”
Giovanni 3,14-21

Affrettiamoci verso la Pasqua ormai vicina!

La celebrazione della quarta domenica di quaresima si apre con un reiterato invito alla gioia, che l’antifona d’ingresso riprende dal profeta Isaia: “Rallegrati [Laetare], Gerusalemme, e voi tutti che l’amate radunatevi. Sfavillate di gioia con essa, voi che eravate nel lutto. Così gioirete e vi sazierete al seno delle sue consolazioni” (cf. Isaia 66,10-11). Si tratta della cosiddetta “domenica Laetare” (come la terza domenica di Avvento, chiamata “Gaudete”). Alla tonalità penitenziale quaresimale si aggiunge un tocco di gioia per l’avvicinarsi della Pasqua e, invece dei paramenti liturgici di colore viola, si possono usare quelli di colore rosa. Piccoli segni che annunciano la gioia pasquale ed invitano il cristiano ad “affrettarsi con fede viva e generoso impegno verso la Pasqua ormai vicina”, come chiediamo nella preghiera iniziale (colletta).

La necessità dell’amore

Amore e misericordia sono il filo conduttore che collega le tre letture. Attorno ad esse troviamo tutto un corollario di concetti che sono al centro del messaggio cristiano: credere/fede, grazia/dono, luce/tenebre, opere buone/opere malvagie, salvezza/perdizione, vita/morte… Ma tutto dipende da un “BISOGNA”: “Bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo”!

Il brano del vangelo è la conclusione del dialogo di Gesù con Nicodemo, “uno dei capi dei giudei” che viene da lui, di notte, forse colpito dal suo gesto profetico della purificazione del Tempio. Nicodemo è un uomo sincero, alla ricerca della luce e della verità, che simpatizza con Gesù. Infatti cercherà di prendere le sue difese beccandosi un rimprovero di ignorante delle Scritture (Giovanni 7,50-52). Dopo la morte di Gesù, Nicodemo collabora con Giuseppe di Arimatea per seppellire il corpo del Signore (19,39).

Il testo inizia in un modo piuttosto enigmatico: “Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo” (v.21). Gesù fa riferimento all’episodio raccontato nel libro dei Numeri, cap. 21, quando il popolo di Israele nel deserto, morso dai serpenti, invoca Dio, e allora “Il Signore disse a Mosé: «Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta; chiunque sarà stato morso e lo guarderà, resterà in vita»”

In questo v.21 appare la forma verbale “bisogna” (δεῖ, dal verbo greco δεῖν, dein). Lo stesso verbo lo troviamo nei quattro vangeli nel primo annuncio della passione, morte e risurrezione di Gesù, tradotto con “dovere”: “Da allora Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva (δεῖ) andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno” (Matteo 16,21 e paralleli Mc 8,31; Lc 9,22).

La passione e la morte di Gesù vengono da lui stesso presentate come una “necessità” (necessitas). Certo, la sua morte non è una “fatalità”, ma potremmo domandarci: da dove viene questa necessità, questo bisogno o dovere? Si potrebbe rispondere: da una disposizione divina o per adempiere le Scritture, ma queste motivazioni ci lasciano insoddisfatti. Il contesto del versetto suggerisce che la vera motivazione di questa “necessità” è l’amore: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito”. Anche San Paolo lo sottolinea nella seconda lettura: “Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo” (Efesini 2,4-10). È la sintesi di tutto il vangelo!

È l’amore che dice: bisogna! Non per imposizione della volontà o per dovere morale, ma per un trasporto del cuore. L’egoismo, invece, dice: “Che bisogno c’è? Chi me lo fa fare?”. Il “bisogno” di Dio di amare perdutamente, una volta accolto, crea il nostro bisogno di amare. Come cambierebbe la nostra vita, se a guidarla fosse il bisogno dell’amore! Allora la nostra fame di amore e di felicità sarebbe saziata; l’angoscia e la disperazione scomparirebbero; la ricerca spasmodica di senso svanirebbe; quante domande e perché si dissiperebbero!… perché il bisogno creato dall’amore è l’unica via della pace! Ecco perché il Signore piange sulla nostra povera umanità che non ha riconosciuto questo amore: “Quando fu vicino, alla vista della città pianse su di essa dicendo: Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, quello che porta alla pace! Ma ora è stato nascosto ai tuoi occhi.” La conseguenza sarà la distruzione totale di Gerusalemme (Luca 19,41-44).

La prima lettura (2 Cronache 36) attribuisce la distruzione di Gerusalemme (prima dell’esilio) all’ira di Dio: “L‘ira del Signore contro il suo popolo raggiunse il culmine, senza più rimedio”. Questa è una rilettura frutto di una visione antropomorfica di Dio. In realtà “il percorso dal male commesso al male sofferto non passa attraverso l’ira divina” (card. Tolentino de Mendonça). Bisogna riconoscere che il male è davvero una cosa seria che non perdona e non risparmia nessuno. Le sue conseguenze possono trascinarsi per generazioni: “Finché la terra non abbia scontato i suoi sabati, essa riposerà per tutto il tempo della desolazione fino al compiersi di settanta anni” (prima lettura). Non ci sono scappatoie né sconti, purtroppo! Come combattere il male “accovacciato alla nostra porta”? (Genesi 4,7). Ecco due proposte suggerite dal vangelo.

La contemplazione del Crocifisso

La Parola di questa domenica è tutta un invito a sostare davanti alla croce, a fissare il nostro sguardo su Gesù, l’Amore esposto ed innalzato, e lasciarci attirare da lui: “E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me” (Giovanni 12,32). Solo “tenendo fisso lo sguardo su Gesù” (Ebrei 12,2) possiamo vincere il male. San Daniele Comboni raccomandava ai suoi missionari di “tener sempre gli occhi fissi in Gesù Cristo, amandolo teneramente, e procurando di intendere ognora meglio cosa vuol dire un Dio morto in croce per la salvezza delle anime. Se con viva fede contempleranno e gusteranno un mistero di tanto amore, saran beati di offrirsi a perder tutto, e morire per Lui, e con Lui” (Scritti, 2720-2722).

Guardando il Cristo “innalzato” (espressione giovannea che equivale a “glorificato”) possiamo essere guariti dal “veleno” del Serpente. Purtroppo noi viviamo una vita avvelenata dall’odio e dalla violenza, dall’egoismo che ci disumanizza, dalla corsa all’effimero, abbagliati da mille illusioni di una società consumistica… Solo la contemplazione del Crocifisso è l’antidoto a questi veleni! Nel nostro cuore si sono annidati numerosi serpentelli che, appena toccati, si destano, pronti a colpire. Solo la contemplazione del Crocifisso può stanarli e vincerli.

L’esposizione alla Luce

Riprendiamo il testo del vangelo. “La luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce… Chiunque infatti fa il male, odia la luce… Invece chi fa la verità viene verso la luce”. La grande tentazione dell’uomo fin dall’inizio è quella di “nascondersi”. È un meccanismo che ci portiamo dentro tutti. In nostro rischio nella vita di fede è di abitare, più o meno inconsapevolmente, nella penombra, non troppo lontani dalla luce per non essere inghiottiti dalle tenebre, né troppo vicini alla luce per non dover affrontare la “vergogna” della nostra “nudità” (Genesi 3,8-10). La Quaresima è il momento propizio per rispondere alla voce di Dio “uscito” alla nostra ricerca: “Adamo/Eva dove sei?”. È il tempo opportuno per uscire dai nostri nascondigli, dalle nostre “tane” ed andare verso la Luce.

Concludo con una citazione di Martin Buber: “Adamo si nasconde per non dover rendere conto, per sfuggire alla responsabilità della propria vita. Così si nasconde ogni uomo, perché ogni uomo è Adamo e nella situazione di Adamo. Per sfuggire alla responsabilità della vita che si è vissuta, l’esistenza viene trasformata in un congegno di nascondimento. Proprio nascondendosi così e persistendo sempre in questo nascondimento “davanti al volto di Dio”, l’uomo scivola sempre, e sempre più profondamente, nella falsità. Il cammino delluomo”). La Quaresima è l’occasione favorevole per disinnescare questo “meccanismo di nascondimento”!

Come esercizio spirituale per la settimana vi propongo:
1) Ritagliare dei tempi e degli spazi per contemplare il Crocifisso;
2) Trovare una occasione per la celebrazione personale del Sacramento della Penitenza.

P. Manuel João Pereira Correia, mccj
Verona, 6 marzo 2024

Il peccato produce vergogna

Quanta paura ha l’uomo che i suoi errori vengano scoperti! Da Adamo in poi il peccato produce vergogna. Chi può reggere il peso della propria miseria? Siamo nati fragili ed insufficienti e sopravviviamo solo se veniamo accolti, curati, riconosciuti. Per questo il cuore umano è insidiato dal terrore del rifiuto e fa i conti con l’antica paura di Adamo, quella di venire alla luce e rischiare di essere disprezzati.

Di mestiere, l’uomo, con le sue opere, cerca di intrecciare foglie di fico per costruire maschere formali o etiche, per avere una strategia di presentabilità, e così sopravvivere alla luce. Sepolcri imbiancati che vedono con orrore ciò che in realtà è salvezza. La quarta di quaresima, domenica della letizia, celebra uno dei testi più intensi di tutto il Nuovo Testamento, che proclama l’amore infinito del Padre che dà il suo Figlio amato per misericordia degli uomini, perché così si salvino.

Altrimenti? C’è un’alternativa? Esiste un modo per centrare il bersaglio dell’esistenza umana diverso dalla misericordia di Dio? Esiste un’altra strada per sopravvivere alle proprie cantonate se non quello di affrontare lo sguardo di Dio e scoprire che non ferisce, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta?

Sappiamo che la porta della vita nuova e il sentiero maestro per il cielo è il battesimo, che è il perdono dei peccati. Per i sacramenti non c’è altra strada. Nessun neo-pelagianesimo o neo-gnosticismo potranno mai offrirci quel che il perdono può darci. Gli uomini hanno cercato altre salvezze, altre pienezze, altri gaudi. E si sono imbattuti in una serie infinita di illusioni evanescenti, di letizie senza spessore e pienezze carenti. Di questi tempi c’è una pandemia, tanti uomini e donne soffrono e muoiono. Da molto più tempo c’è l’incredulità nel perdono, la vergogna di sé stessi e la sfiducia in Dio; questi mali hanno creato molto più dolore e morte. Un cuore nella tenebra, disperde. Un cuore perdonato ricostruisce.
[Fabio Rosini – L’Osservatore Romano]

‘Amore-misericordia’:
è l’unico giudizio di Dio sul mondo

2Cronache 36,14-16.19-23; Salmo 136; Efesini 2,4-10; Giovanni 3,14-21

Riflessioni
Dio ha tanto amato il mondo…” (Vangelo, v. 16). È questa la chiave di lettura che la Parola di Dio ci offre in questa domenica, per entrare fruttuosamente nel mistero della Pasqua, ormai vicina. Amore-misericordia: è la parola d’ordine, l’unico progetto del nostro Dio. Morte e vita, giudizio e salvezza, condanna e fede, tenebre e luce, male e verità... sono alcune espressioni del dualismo caratteristico di Giovanni, che appare anche nel Vangelo di oggi. La storia umana di tutti i tempi è fatta di questi contrasti, tensioni e vittorie parziali: a volte del male, altre del bene, a seconda delle forze e degli avvenimenti che si accavallano e si scontrano. Ciò che maggiormente angustia il cuore umano è sapere chi è più forte, chi prevarrà alla fine, quale sarà la parola definitiva. L’ottimismo o la depressione, la speranza o la disperazione dipendono dalla risposta a questo dilemma.

L’uomo è un essere in continua ricerca di risposte. Lo fu anche Nicodemo, un fariseo dal cuore sincero, che è il simbolo dell’uomo in ricerca. L’evangelista Giovanni - nella conversazione notturna di Gesù con Nicodemo (Gv 3) - ci dà la risposta di speranza: l’amore di Dio prevale sul male del mondo. Il giudizio di Dio sul mondo è la salvezza, offertaci come dono: “per grazia siete salvati” (II lettura, v. 5.8). La parola definitiva di Dio non è la morte, ma la vita: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in Lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna” (v. 3,16). La condanna, eventualmente, è una scelta personale di alcuni: è il retaggio soltanto per chi ama le tenebre e odia la luce (v. 19-20). Il progetto di Dio è tutto e sempre per la vita. «Sul peccato e sul male del mondo risplende sempre la luce dell’amore di Dio» (F. Mauriac).

«Tutte le religioni hanno cercato di staccarsi dal mondo, hanno sottolineato l'infinita distanza tra Creatore e creatura, hanno constatato la pesantezza della vita al punto da proporre un cammino di distacco dalla realtà. Il nostro Dio, invece, si lega al mondo, lo ama. Tanto. Quel ‘tanto’ rivela un aspetto di Dio che troppe volte dimentichiamo: l’amore esagerato di Dio per noi. Gesù ci ricorda che Dio non vuole giudicare il mondo, ma salvarlo (v. 17). Se ci credessimo! Se la smettessimo di credere in un Dio pronto a sottolineare, antipatico preside di scolaresca, le nostre incongruenze per aprirci a quel ‘ha tanto amato il mondo’ che ribalta la prospettiva» (Paolo Curtaz).

La rilettura della storia del Popolo d’Israele, proposta nel libro delle Cronache (I lettura), è fatta in termini di peccato-castigo-salvezza. Il peccato era generale: capi, sacerdoti, popolo... tutti “moltiplicarono le loro infedeltà” (v. 14). Ciononostante il Signore “aveva compassione del suo popolo” e gli mandava premurosamente i suoi messaggeri (v. 15). Dopo sconfitte, deportazione e schiavitù, finalmente si apre al popolo la via del ritorno in patria. La liberazione proclamata da Ciro, re di Persia, è vista come l’intervento finale di Dio, che dà compimento alla sua promessa di salvezza (v. 22).

Per San Paolo (II lettura), all’origine del progetto divino sul mondo, c’è un “Dio, ricco di misericordia”, che ama tutti con “grande amore” (v. 4), che offre la sua grazia sovrabbondante e “la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù” (v. 7). In Lui abbiamo la salvezza “mediante la fede; e ciò... è dono di Dio” (v. 8). Questo dono non è riservato ad alcuni, ma Dio lo offre a tutti, anche se per cammini diversi e in tempi differenti. Il segno di tale salvezza universale è il Figlio dell’uomo innalzato da terra nel deserto di questo mondo. È Lui il giudizio di amore divino sul mondo: un giudizio di misericordia! (*) Quella “misericordia di generazione in generazione” (Lc 1,50), che anche Maria ha cantato con gioia e passione dopo l’avvenimento dell’Annunciazione del Signore.

Per non chiudere gli occhi alla luce, è sufficiente e necessario guardare a Lui: Egli è il Figlio, il primo di molti figli e fratelli, innalzato alla vista di tutti, “perché chiunque crede in Lui abbia la vita eterna” (Vangelo, v. 14-15). La salvezza è offerta a chi crede, a chiunque eleva lo sguardo verso di Lui, a coloro che “volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto” (Gv 19,37). Tenere fisso lo sguardo d’amore su di Lui è fonte di salvezza e di missione, come raccomandava San Daniele Comboni ai missionari del suo Istituto per l’Africa: «Il pensiero perpetuamente rivolto al gran fine della loro vocazione apostolica deve ingenerare negli alunni dell’Istituto lo spirito di Sacrifizio. Si formeranno questa disposizione essenzialissima col tener sempre gli occhi fissi in Gesù Cristo, amandolo teneramente, e procurando di intendere ognora meglio cosa vuol dire un Dio morto in croce per la salvezza delle anime. Se con viva fede contempleranno e gusteranno un mistero di tanto amore, saran beati di offrirsi a perder tutto, e morire per Lui, e con Lui” (Scritti, 2720-2722). La contemplazione di Cristo, innalzato sulla Croce e vivo nell’Eucaristia, è stimolo efficace alla santità di vita e all’impegno missionario, per portare la salvezza di Gesù a tutti i popoli.

Parola del Papa

(*) «Credere nel Figlio crocifisso significa “vedere il Padre”, significa credere che l’amore è presente nel mondo e che questo amore è più potente di ogni genere di male in cui l’uomo, l’umanità, il mondo sono coinvolti. Credere in tale amore significa credere nella misericordia. Questa infatti è la dimensione indispensabile dell'amore, è come il suo secondo nome».
San Giovanni Paolo II
Enciclica Dives in Misericordia (1980), n. 7

P. Romeo Ballan, MCCJ

Dalla Croce
si irradia la liberazione dal male

2Cr 36,14-16.19-23; Salmo 136; Ef 2,4-10; Gv 3,14-21

Le esperienze descritte in termini storici ed esistenziali dalle tre letture di questa domenica non vi sono estranee, anzi sono proprio quelle che frequentemente minacciano il cammino dei credenti: l'infedeltà di Israele, la morte causata dal peccato nei pagani di Efeso, il fare il male e odiare la luce denunciati dal brano di Giovanni. Però, anche di fronte al peccato dell’uomo, Dio sa percorrere strade nuove: su di esso si innalza la croce del figlio, espressione di un amore che perdona e ridona vita (salute/salvezza) al fedele che con fiducia guarda a colui che è stato trafitto.

C'è qui una proposta di conversione, che ha come punto di partenza il riconoscimento del proprio peccato. Non si può capire e gustare il perdono se non si prende lucidamente coscienza della propria colpa. Soltanto accorgendomi del mio peccato come enormità, posso scoprire la grandezza della misericordia e del perdono di Dio. Non mi deve interessare il punto di vista della massa sul male.

A un cristiano deve interessare unicamente il punto di vista di Dio sul peccato. Quando il credente ammette le proprie stupidaggini, non vanta i propri errori come imprese gloriose, allora Dio si rivela come amore e manifesta la sua “debolezza” (nei confronti dell’uomo). Egli accosta i peccatori a uno a uno (samaritana, Zaccheo, adultera, il ladrone...). Il recupero avviene attraverso un rapporto personale fatto di comprensione, fiducia e amore.

Purtroppo, mai come oggi il male viene pubblicizzato, esibito. Non solo giustificato, addirittura esaltato, onorato. Il “Chiunque fa il male odia la luce” non corrisponde più alla realtà. Si esibisce tutto in piena luce, richiamando l'attenzione del pubblico. Il bene è deriso perfino diffamato. E il male glorificato. Difficilmente abbiamo il coraggio di riconoscere i nostri torti e ci si arrabbia soltanto perché “si è saputo” o se ne parla.

L'unico modo per impedire gli scandali o lo scandalismo è quello di scandalizzarci o di vergognarci noi, prima di compiere certe azioni eterodosse. I rimorsi è sempre meglio averli prima, e non saremo più lontani dal regno di Dio.
Don Joseph Ndoum