Giovedì 18 gennaio 2024
P. Mario Riva è deceduto presso la nostra comunità comboniana di Castel d’Azzano, mercoledì 12 gennaio 2024, verso le ore 8:00 del mattino. Il suo funerale è stato celebrato lo scorso martedì 16 gennaio, alle ore dieci, presso la nostra comunità di Castel d’Azzano, e nel pomeriggio, alle ore 15, nella chiesa parrocchiale di Valmadrera (LC).
Dati dell’Annuario Comboniano: nato il 9.2.28 a Lecco d. Milano (I) VT. 9.9.47 – VP. 20.9.51 – OS. 7.6.52; Venegono 45-47; Rebbio 47-50; Brescia 50-51; Venegono 51-52; I 52-54; SS 54-64; I 64-66; U 66-74; I 74-77; KE 77-82; I 82-85; SS 85-00; I 01-05; SS 05-12; I 12-24. Dati riassuntivi: 95 anni di età, 76 anni di vita religiosa, 71 anni di sacerdozio, 32 anni in Sud Sudan, 26 anni in Italia, 8 in Uganda, 5 in Kenya.
P. Mario era rientrato in Italia l’ultima volta nel 2012, per motivi di salute, ospitato nelle Comunità di Rebbio, Milano e ultimamente Castel d’Azzano. Nell’ultimo periodo, la sua salute è stata fragile, con momenti di crisi da cui finora era riuscito a riprendersi. La notte precedente al decesso ha avuto un importante deterioramento generale. Ci ha lasciati, amorevolmente assistito dai membri della Comunità di Castel d’Azzano e dal personale di servizio.
Qui di seguito l’omelia di P. Renzo Piazza che ha presieduto alla celebrazione.
Funerale di Padre Mario Riva
16 gennaio 2024
Io, vostro fratello e vostro compagno nella tribolazione, a causa della parola di Dio fui rapito in estasi, nel giorno del Signore, e udii dietro di me una voce potente, come di tromba, che diceva: “Quello che vedi, scrivilo e fallo conoscere …”. Ora, come mi voltai per vedere chi fosse colui che mi parlava, vidi quattro esseri simili a figli di uomo che spingevano un anziano su un piccolo carro. Era inverno e avanzavano a fatica su una strada ripida, delimitata da due muri. Man mano che avanzavano la strada si inerpicava sempre più e si deteriorava al punto che era impossibile tornare indietro. Al termine della strada c’era un muro e una grande porta, chiusa. Qualcuno aveva messo un cartello ben leggibile: “Siamo in preghiera: vi chiediamo di attendere”.
L’anziano, stanco e un po’ spazientito subito mormorò: “Anche questa mi doveva capitare!”.
Il primo degli accompagnatori, vestito in modo ordinario, portava al collo un segno di riconoscimento: FRATELLO MISSIONARIO COMBONIANO. E diceva agli altri: “Mi hanno detto che il suo tempo è compiuto e che è bene incamminarlo in un luogo più adatto a lui e alla sua età. Lungo la strada abbiamo pregato, ma lui rispondeva solo: “adesso e nell’ora della nostra morte….”.
Anche il secondo accompagnatore, vestito di scuro, portava un cartellino sul petto con scritto: “SUPERIORE GENERALE”. Appena si aprì la porta e apparve S. Pietro, gli disse “Noi lo abbiamo già tenuto per 76 anni nel nostro Istituto e ha sempre tenuto una buona condotta… Non sarebbe possibile lasciarlo qui per un po’, almeno provvisoriamente?”
Pietro non rispose, perché subito si era fatto avanti un altro dei portatori, dalla pelle scura, dicendo: “Io mi chiamo Madid e 30 anni fa – avevo solo 5 anni – stavo morendo di fame nel mio paese, il Sudan. Mi ero perso nella savana e per caso ho incontrato lui. Mi ha dato un po’ di acqua, ma senza convinzione. Pensava che non ce l’avrei fatta a sopravvivere. Invece si è preso cura di me e mi ha restituito alla vita. E poi mi ha insegnato che il suo Maestro diceva: “Venite, benedetti, entrate nella mia casa, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere”. Lui ha fatto questo per me. Ora bisogna essere di parola. Dovete assolutamente trovargli un posto”.
Madid non aveva ancora terminato la sua richiesta, quando una quarta persona alzò la voce. Era una donna, e parlava una lingua straniera: “Io non sono mai andata a scuola e non ho mai parlato la lingua dei bianchi. Ma questo uomo, quando è venuto in mezzo a noi, parlava la nostra lingua e nella nostra lingua ci ha parlato di Dio, insegnandoci a vivere da fratelli. Ci voleva bene. E’ stato un operatore di pace. La casa di Dio deve essere aperta per lui”. Poiché alla porta del paradiso nessuno capiva quella lingua, Pietro si informò se all’interno ci fosse qualcuno che potesse fare da interprete. Gli segnalarono che da qualche giorno, vicino alla porta c’era un uomo dalla lunga barba che si dava da fare per dare una sistemazione a 4-5 dei suoi amici che erano arrivati recentemente, senza preavviso. Ripeteva spesso ai suoi interlocutori: “Il primo amore della mia giovinezza fu per l’infelice Nigrizia”. Pietro allora gli disse: “Tu che conosci la Nigrizia, capisci quello che dice questa donna? Perché è così insistente? Io sono un po’ perplesso…”
Daniele – questo era il suo nome – gli rispose: “Pietro, ti ricordi la brutta figura che hai fatto quando volevi tenere lontano i bambini da Gesù? E ora vuoi far aspettare fuori, al freddo, questo anziano?
E’ vero che questo candidato al paradiso è stato un po’ scomodo, che ha avuto una testa dura e un caratteraccio… Però ha voluto bene agli africani, li ha considerati fratelli e degni di partecipare al banchetto della vita: non ha risparmiato né fatiche né viaggi né parole per coinvolgere più gente possibile a dare una mano all’Africa”.
Mentre Daniele diceva questo, alla porta del Paradiso arrivò un uomo dal volto luminoso, vestito di bianco, con il cuore trafitto e delle ferite alle mani. Fu subito riconosciuto dai nostri quattro amici, che reiterarono le loro richieste al Figlio di Dio.
Vedendo la loro fede, disse all’anziano che stava sul piccolo carro: “Figlio, ti sono perdonati i peccati”. L’anziano scosse la testa e mormorò: “Grazie per i peccati perdonati, ma ora mi vuoi lasciare qui fuori dove c’è pianto e stridore di denti? Ho fatto un lungo viaggio e sono stanco. Se mi vuoi fare aspettare ancora, è meglio che tu dica a S. Pietro di cancellarmi dal tuo libro… Rimandami piuttosto in Africa, dove almeno non si soffre il freddo!”
Di fronte a tanta insistenza Gesù rispose: “Neanche in Israele ho trovato gente così! Vi avevo detto che il Regno di Dio soffre violenza e che sono i violenti che se ne impadroniscono. Lasciatelo entrare e trovategli posto vicino ai piccoli e ai poveri. Evitate di metterlo vicino ai grandi e ai potenti, perché c’è rischio di disordini”.
E fu così che le porte si aprirono, fu steso un tappeto rosso, un angelo suonò la tromba, e la sua melodia fu subito coperta dal rullio dei tam tam che Denka e Nuer avevano portato fin lassù. Le donne lanciavano i loro you you altissimi. L’anziano avanzò a passo deciso e fu lieto di scoprire che capiva le lingue di coloro che gli stavano attorno e facevano festa. Erano le lingue attraverso le quali erano stati amati. Allora capì che la morte non aveva potere sull’amore. E fu felice. E ci fu gioia, gioia grande per tutti.
Ricordando Padre Mario Riva
Innanzitutto voglio ringraziare con voi il Signore per il Dono che ha fatto di P. Mario a tutti i Comboniani, del grande bene che ha compiuto e della sua dedizione per l’Africa: ha svolto la sua missione in Uganda e Kenya ma è al Sud Sudan che ha dedicato i suoi anni giovanili e quelli della sua maturità.
Ci siamo conosciuti per la prima volta durante un incontro delle due comunità comboniane che operavano nella diocesi di Torit nel così detto “New Sudan” (Nuovo Sudan) nel novembre 1991.
Cosa posso dire di lui?
P. Mario, come confratello, aveva un “caratterino” non sempre facile e chi era con lui doveva armarsi con una buona scorta di “pazienza”, che però si trasformava in ammirazione nel vedere la sua grande dedizione per la gente, specialmente quella in situazioni difficili e spesso disperate. Anzi, sembrava che queste situazioni se le andasse proprio a cercare. Era quindi lodevole e quando riflettevo sentivo davvero una grande stima per il suo esempio e testimonianza. Prima che io lo conoscessi, in Sud Sudan, Uganda e Kenya, si era messo a servizio di gruppi etnici diversi per cultura e lingue, ma dal 1990 ha sempre operato nella diocesi di Rumbek fino al 2012. P. Cesare Mazzolari (prima superiore provinciale e poi vescovo di Rumbek) aveva una grande stima di lui. Conosceva molto bene il suo carattere, le sue fragilità ma soprattutto la sua dedizione. In particolare sapeva che, nelle situazioni più difficili, avrebbe potuto contare nella sua disponibilità. Questo lo ha fatto trovare spesso in situazioni limite. Nella prima metà del 1990 viene assegnato alla diocesi di Torit. Passa alla diocesi di Rumbek a Yirol, quindi a Kakuma (Kenya) con i giovani Dinka e Nuer sfollati dall’Etiopia. Ha poi partecipato a vari tentativi di esplorazione, con le loro incognite e pericoli, per trovare luoghi che potessero permettere la nostra presenza all’interno della diocesi di Rumbek.
Ricordo in particolare quando si è trovato in una situazione molto pericolosa con P. Benjamin Madol, prete diocesano. Benché Mons. Mazzolari avesse inviato un piccolo aereo per evacuarli, P. Mario decise di rimanere con la gente. Solo più tardi Mons. Cesare riuscirà a convincerlo a partire per trovare altri luoghi di presenza. Questo dimostrava come le sofferenze della gente erano per lui più importanti della sua vita e della salute stessa.
In un’altra circostanza, nel luglio del 1993, con gli sfollati Dinka nel Nord Uganda, mi spiegava la difficile situazione della gente. Viveva e dormiva, come loro, senza un alloggio permanente. Essendo quasi mezzogiorno, gli ho chiesto: “Hai qualcuno o qualcuna che ti prepara da mangiare?” Mi rispose indicandomi il pentolino sul fuoco. Vi era un po’ di riso e acqua che egli si cuoceva da solo e che sembrava più colla che riso. Era inutile insistere di fare più attenzione alla sua salute, avrebbe continuato, come del resto faceva sempre, a condividere la situazione della gente senza preoccuparsi di se stesso. Un’altra cosa che ho notato era la grande stima che aveva per i sacerdoti diocesani che lavoravano con lui. Assieme a loro, affiorava il meglio del suo carattere.
Concludendo, la mia riconoscenza si estende alla sua famiglia, alla parrocchia e a tutti coloro che gli sono stati vicini e hanno condiviso la sua missione e la sua dedizione per l’Africa, in particolare, per il Sud Sudan, la diocesi di Rumbek e la sua gente.
P. Francesco Chemello mccj
Valmadrera piange Padre Mario Riva,
una vita al fianco dei più poveri
Il missionario Comboniano si è spento a 96 anno dopo una vita trascorsa in Sudan. Il sindaco Rusconi: “Un esempio per tutti: ha testimoniato la sua fede con l’entusiasmo di vivere accanto agli ultimi”.
VALMADRERA, 12/01/2024 – E’ grande il dolore a Valmadrera e a Lecco per la morte di Padre Mario Riva, avrebbe compiuto 96 anni il prossimo 9 febbraio. Il lecchese si è spento oggi, venerdì, a Verona, presso la Casa dei Missionari Comboniani. Padre Mario Riva ha passato un’intera vita in Sudan e in particolare nel Sud Sudan, accanto alle persone più povere.
Era molto conosciuto, oltre che a Valmadrera, anche a Pescarenico e Germanedo. “Ho appreso la notizia dal nipote Mario Scola, che in questi ultimi anni lo ha sempre seguito con la sua famiglia, figlio della sorella Carla e che per lui era un secondo papà – ha detto il sindaco di Valmadrera Antonio Rusconi -. D’altra parte Padre Mario era l’esempio del missionario che testimonia la sua fede con l’entusiasmo di vivere accanto agli ultimi. Il premio Beppe Silveri per le Missioni lo ha visto presente più volte, anche perché nasce dall’amicizia che Beppe aveva con Padre Mario. Negli ultimi anni si era dovuto arrendere ai 90 anni, ma aveva continuato a seguire una comunità di suore in Sudan che accoglievano ragazze in difficoltà o minacciate, unica scuola femminile nel Sud Sudan”.
“Lo avevamo conosciuto in oratorio come appassionato di calcio e, finché un infortunio al ginocchio non lo aveva fermato, aveva continuato a giocare – racconta ancora Rusconi -. Non era possibile non credere alla sua fede e al valore della sua testimonianza missionaria, tanto era l’entusiasmo con cui la viveva”.
D’altra parte Padre Mario Riva aveva avuto anche il merito, sul finire degli Anni ’90 di far conoscere il dramma del Sudan: una prima trasmissione su Rai 3 “Ho incontrato Madid”, la storia di un piccolo africano di cinque anni perso da una carovana che rischiava la morte per fame nel deserto, aveva commosso migliaia di persone. Era stato Padre Mario Riva ad accompagnare la troupe per le riprese tra i casi più disperati di bambini malnutriti. Così tutta Italia aveva conosciuto con emozione la fame, la disperazione e le guerre del Sudan.
Successivamente, Padre Mario e il caso Madid furono ripresi da Rai 1 nella trasmissione “Il fatto” di Enzo Biagi, con lo stesso Biagi e con l’operatrice lecchese Paola Nessi che si recarono in Sudan. Quando gli si parlava di queste trasmissioni, Padre Mario si schermiva e sorrideva, affermando che l’importante era salvare tante persone dalla fame, come fosse “il servo inutile” del Vangelo.
“La sua è una testimonianza che onora tutta la comunità valmadrerese e il territorio – ha concluso Rusconi -. I funerali dovrebbero tenersi martedì mattina a Verona e nel pomeriggio a Valmadrera dove sarà sepolto”.
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