La solennità di tutti i santi celebra quei numerosi santi, non compresi nel calendario ufficiale della Chiesa. Siamo quindi invitati a far festa con questa moltitudine di uomini, donne, bambini, adulti e anziani, che vivono nella gioia e nella gloria del paradiso. Facendo memoria di loro, viene anzitutto celebrato l’amore misericordioso di Dio che li accoglie; e poi, è una festa di speranza per noi nella Chiesa pellegrinante e sofferente. (...)

“La mia riflessione sulla Festa di Tutti i Santi”
P. Manuel João Pereira Correia

Le quattro sorprese del paradiso

Queste celebrazioni ci offrono una finestra, dalla quale possiamo avvistare orizzonti più ampi, o un abbaino, per ammirare il cielo stellato. Meglio ancora, si apre una PORTA: “Poi vidi: ecco, una porta era aperta nel cielo. La voce, che prima avevo udito parlarmi come una tromba, diceva: «Sali quassù, ti mostrerò le cose che devono accadere in seguito»” (Apocalisse 4,1). Entriamo da tale porta. Il Paradiso apre le sue porte permettendo una visita! Un'occasione da non perdere! Consentitemi di condividere con voi la mia “visita”!

TUTTI UGUALI O TUTTI DIFFERENTI?

Prima sorpresa: Il cielo è un meraviglioso e immenso mosaico di diversità

“Dopo queste cose vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua.” (Apocalisse 7, 9). Non ci sono “cieli” differenti capaci di separare ed evitare il “diverso” ... in una eterna e monotona uniformità! Ma un unico cielo in grado di ospitare e integrare la diversità. Tutte le differenze: geografiche, temporali, razziali, culturali, come quelle religiose, convivono felicemente, grati per il panorama variegato, che offre una continua e perenne novità!

Ulteriore sorpresa: la ricchezza dei temperamenti e delle sensibilità! Tutte loro rispettate. Tutte quante purificate. “Una stilla di divino c'è in ogni uomo. Siamo le foglie dissimili di un unico albero”(Cardinale Martini).

Finalmente “Il lupo abiterà con l'agnello, e il leopardo si sdraierà accanto al capretto; il vitello, il leoncello e il bestiame ingrassato staranno assieme, e un bambino li condurrà” (Isaia 11,6).

RIPOSO ETERNO?

Una seconda sorpresa: in cielo si lavora!...

Il cielo non è luogo di ozio! Tutta la gente lavora! Il Padre è il primo a dare l'esempio: “Il Padre mio agisce anche ora e anch'io agisco”, dice Gesù (Giovanni 5,17). E non è un lavoro “divino” fatto “dall'alto”; al contrario, molto umano, servizio umile, fatto in ginocchio: “Chi ha visto me ha visto il Padre”, dice Gesù, dopo aver lavato i piedi ai suoi discepoli.

Abbandoniamo, dunque, la convinzione di quelli che pensano che il “riposo eterno” sia una giustificazione per l'ozio. E si rilassino coloro che non sopportano di stare oziosi! Così come va il mondo, come potremmo andare avanti senza l'aiuto del Cielo?

GIOIA PIENA?

Una terza sorpresa: La gioia del cielo non è una felicità rilassata!

E come potrebbe esserlo se è il luogo di perfetta carità? Come potrebbero i nostri fratelli e sorelle estraniarsi dalla nostra sofferenza e dalle nostre pene? E Dio, soprattutto, come potrebbe farlo?! La solidarietà di Cristo, la sua compassione, le sue lacrime (Giovanni 11,42) sono emblematiche. La Scrittura non evita di parlare della profonda tristezza di Dio (Genesi 6,6). E San Paolo ci chiede di “non rattristare lo Spirito Santo di Dio” (Efesini 4,30). Non c'è da stupirsi, quindi, che alcuni veggenti abbiano sentito Nostra Signora parlare di “tristezza” di Dio e di suo Figlio, e che l’abbiano vista “piangere”! ...

PREMIO CONQUISTATO PER I NOSTRI MERITI?

Quarta sorpresa: Il cielo non è esclusivamente dei “giusti”!

Il cielo non è il “salario” concesso unicamente alle persone rette che lo avrebbero meritato con le loro buone opere. Saremo forse stupiti di incontrare là “certe” persone e saremo imbarazzati nel trovarci ad abbracciare qualche nostro “nemico”! Perché Dio è Colui che mangia e beve con i peccatori e siede a mensa con loro (Marco 2,15-16). “La bontà infinita ha sì gran braccia, che prende ciò che si rivolge a lei” (Dante). Quindi, per andare in Paradiso “basta chiederlo”, dice San Tommaso.

Là comprenderemo bene la sconcertante parabola di Gesù, degli operai invitati a lavorare nella Vigna che ricevono tutti la paga per intero. Parabola che ha avuto un'applicazione eloquente nel caso del “buon ladrone”, “assunto” all'ultimo momento...

In cielo si entra solo per amore. Così la mistica sufi musulmana Rabia di Bassora († 801) diceva che, se avesse potuto, avrebbe spento l'inferno e bruciato il paradiso perché tutti amassero Dio disinteressatamente, non per paura dell'inferno o speranza del cielo!

CONCLUSIONE?

Perdonate la mia audacia. Questa mia “interpretazione" è certamente distorta dal mio occhio miope e offuscato. Una misera e rabbuiata ombra distorce la realtà, giacché il Cielo è la Grande Sorpresa che Dio ci riserva!
P. Manuel João
[comboni2000]

Solidarietà e intercessione missionaria
Ricordo di tutti i santi e dei fedeli defunti
1-2 novembre

Ap 7,2-4.9-14; Sl 23; 1Gv 3,1-3; Mt 5,1-12

Riflessioni
Feste di famiglia, feste di fraternità! La festa di Tutti i Santi e il ricordo di tutti i fedeli defunti ci fanno sentire che siamo tutti membri di una famiglia grande, allargata fino ai confini del mondo. Sono due giornate (1 e 2 novembre) che ci riportano ad una nostra celebrazione familiare. Nostra, perché i santi e i defunti sono parte dell’unica famiglia di Dio e degli uomini, la nostra famiglia. È la famiglia di tutti i santi: non solo dei pochi riconosciuti ufficialmente come tali dalla Chiesa, ma di tutte le persone di buona volontà, di tutti coloro che hanno cercato Dio con cuore sincero e nel rispetto del prossimo. È la famiglia di tutti i defunti, non solo dei nostri parenti e amici. A tutti loro ci uniscono vicende comuni, fatte di gioie, speranze, dolore, fragilità, fatiche… Fino alla strettoia inevitabile della morte, in un cammino che accomuna tutti: santi e peccatori, ricchi e poveracci, credenti e non… Siamo parte di una famiglia innumerevole di donne e uomini di ogni lingua, colore, razza, religione, cultura, condizione sociale…

È la festa della famiglia allargata, dalle dimensioni universali, senza confini. Dove nessuno è sconosciuto o straniero per Dio e per coloro che vivono in Lui. Dove Dio conosce ogni volto e chiama ciascuno per nome. Una famiglia dove c’è una fraternità circolare di rapporti a beneficio di tutti: i santi del cielo intercedono presso Dio a nostro favore, mentre siamo pellegrini sulla terra; noi, pellegrini, diamo lode e rendiamo grazie a Dio per la sua misericordia e per le cose belle che Egli opera nei santi; noi e i santi offriamo suppliche per i defunti che ancora attendono di contemplare pienamente il volto di Dio; anche i defunti, in forme che noi non conosciamo, vivono una speciale comunione con Dio, che ridonda a beneficio nostro. È quindi una intercessione circolare: di Cristo e dei santi per noi; la nostra intercessione a favore dei defunti; e i defunti - che sono già dei salvati! - a favore dei parenti e di tutta la famiglia umana.

La circostanza è propizia per riflettere e vivere i valori di famiglia, fraternità, universalità, in una speciale comunione con gli antenati: sia gli antenati nel clan e nella cultura popolare, sia gli antenati nella fede cristiana, che sono i santi. Cioè coloro che hanno realizzato al meglio, spesso fino all’eroismo, gli ideali e i valori del Vangelo e delle culture dei popoli. Sono essi i giganti spirituali, i modelli riusciti dell’umanità rinnovata in Cristo, che è per tutti l’Uomo nuovo, il modello perfetto, l’ispiratore di ogni forma di santità. Un tema di particolare risonanza per tutti coloro che annunciano il Vangelo, anche fra i popoli non cristiani! Il Papa Francesco ci dice che la santità è “il volto più bello della Chiesa”; ci parla della “santità nella vita quotidiana”, che tante volte è “la santità della porta accanto”. (*)

Queste considerazioni non tolgono nulla al rigore e alla amarezza della morte, quel “duro calle”, di dantesca memoria, che fa paura, ma che è il passaggio obbligato verso la Vita piena. Un passaggio da affrontare senza evasioni, con realismo umano e cristiano! Ce ne ha dato un esempio, tra molti altri, il Card. Carlo Maria Martini, gesuita, maestro nella dottrina, arcivescovo di Milano (+ 2012): ammalato di Parkinson, “nel contesto di una morte imminente”, sentendosi “già arrivato nell’ultima sala d’aspetto, o la penultima”, confessava di essersi “più volte lamentato col Signore” per la necessità di dover morire. Martini non nascondeva il suo travaglio interiore fino ad accettare quel duro calle, oscuro e doloroso: “Mi sono riappacificato col pensiero di dover morire quando ho compreso che senza la morte non arriveremmo mai a fare un atto di piena fiducia in Dio. Di fatto, in ogni scelta impegnativa noi abbiamo sempre delle uscite di sicurezza. Invece la morte ci obbliga a fidarci totalmente di Dio”. Davanti al mistero della morte, che richiede “un affidamento totale”, Martini concludeva: “Desideriamo essere con Gesù e questo nostro desiderio lo esprimiamo ad occhi chiusi, alla cieca, mettendoci in tutto nelle sue mani”.

Di fronte alla morte, appare ancora più prezioso il dono della fede cristiana, l’unica che è capace di gettare una luce nuova e definitiva sul senso della vita, di Dio, del dolore, della storia… Una luce che fa la differenza. Una luce che altre fedi religiose non riescono a dare. Ancora una volta, emerge la novità del messaggio cristiano. E, quindi, l’urgenza della Missione.

Parola del Papa

(*) «Mi piace vedere la santità nel popolo di Dio paziente: nei genitori che crescono con tanto amore i loro figli, negli uomini e nelle donne che lavorano per portare il pane a casa, nei malati, nelle religiose anziane che continuano a sorridere. In questa costanza per andare avanti giorno dopo giorno vedo la santità della Chiesa militante. Questa è tante volte la santità “della porta accanto”, di quelli che vivono vicino a noi e sono un riflesso della presenza di Dio, o, per usare un’altra espressione, “la classe media della santità”. Lasciamoci stimolare dai segni di santità che il Signore ci presenta attraverso i più umili membri del popolo di Dio... La santità è il volto più bello della Chiesa. Ma anche fuori della Chiesa Cattolica e in ambiti molto differenti, lo Spirito suscita “segni della sua presenza, che aiutano gli stessi discepoli di Cristo”».
Papa Francesco
Esortazione apostolica Gaudete et exsultate (2018), nn. 7.8.9

P. Romeo Ballan, MCCJ

La via della santità non conosce confini

Apocalisse 7,2-4.9-14; Salmo 23; 1Giovanni 3,13; Matteo 5,1-12

La solennità di Tutti i Santi celebra quei numerosi santi, non compresi nel calendario ufficiale della Chiesa. Siamo quindi invitati a far festa con questa moltitudine di uomini, donne, bambini, adulti e anziani, che vivono nella gioia e nella gloria del paradiso. In loro l’evento della salvezza è divenuto storia personale e il mistero pasquale si è reso quotidianità. Facendo memoria di loro, viene anzitutto celebrato l’amore misericordioso di Dio che li accoglie; e poi, è una festa di speranza per noi nella Chiesa pellegrinante e sofferente.

I santi sono stati in mezzo a noi, si sono dedicati alle nostre stesse occupazioni ordinarie, e hanno avuto i nostri stessi problemi. Solo che hanno privilegiato la fede, il timore e l’amore di Dio, la carità e la preghiera. Essi hanno risposto all’amore di Dio facendosi imitatori di Cristo.

La solennità di tutti i santi appare allora come una sfida, perché la santità è un affare che ci riguarda da vicino. Purtroppo le nostre strategie di base sono spesso la mediocrità, l’indifferenza e l’allontanamento. Immaginiamo la santità per gli altri, per alcuni privilegiati o predestinati; l’osserviamo da lontano come inarrivabile, inavvicinabile, in una dimensione che non è quasi del nostro mondo. La solennità di tutti i santi ci invita a fare l’operazione inversa, di avvicinare la santità come vocazione e condizione normale del cristiano, a nostra portata.

La santità è quindi l’affare di tutti e fa parte delle nostre possibilità. Queste affermazioni danno ragione a quel autore che diceva che: “C’è una sola tristezza nel mondo, quella di non essere santi”. Ed un altro lodò il Signore perché aveva reso la santità così semplice, gioconda e bella. Infatti, il vangelo di questa solennità ci presenta una serie di beatitudini in quel senso, come percorso ideale per i chiamati al regno di Dio.

Questo brano evangelico presenta l’orizzonte in cui si dispiega la regalità di Dio, fonte e garanzia di felicità per tutti noi. A questo annuncio gioioso fa eco il brano della prima lettera di Giovanni, nella seconda lettura, che risale alla fonte di quel processo di assimilazione tra Dio e i suoi figli che si concluderà con una piena comunione finale, e noi lo vedremo così come egli è. Lo stesso tema appare nella prima lettura con un linguaggio apocalittico. L’identificazione dei servi di Dio contrassegnati dal suo sigillo è data mediante una simbologia numerica: “144 mila da ogni tribù d’Israele” e “una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua”. Il loro statuto di salvati viene espresso con la scena simbolica della liturgia celeste attorno al trono di Dio e dell’Agnello. Indossano vesti candide, segno di festa, con le palme in mano, simbolo della vittoria che hanno riportato sul male e sulla morte.

L’espressione “Beati”, che appare otto volte nel vangelo, è fin dall’Antico Testamento, una formula di congratulazioni, di felicitazione. Ma è anche l’annuncio di una gioia a venire. Le qualità celebrate qui non sembrano troppo diverse, e potrebbero essere ricondotte in due beatitudini: (il primo) “Beati i poveri in spirito” e (il secondo) “Beati i perseguitati per causa della giustizia”. Così gli altri sarebbero rispettivamente solo il loro sviluppo. “Beati i poveri in spirito” (espressione usata soltanto da Matteo) riguarderebbe allora i miti, i misericordiosi, i puri di cuore, gli operatori di pace e quelli che hanno fame e sete di giustizia.

L’espressione di Matteo “poveri in spirito” sarebbe allora comprensiva di tutte queste categorie o attitudini spirituali. L’ottava o meglio la seconda importante beatitudine concerne “i perseguitati per causa della giustizia”. La giustizia è il termine evangelico più generico per designare la virtù, il bene, la religione.

La ricompensa della prima beatitudine , “di essi è il regno dei cieli”, riappare solo all’ottava (seconda importante beatitudine), nello stesso tempo indicativo, formando così un’ inclusione poetica e una distinzione netta con le altre beatitudini intermediarie che sono nel futuro. L’apparente nona beatitudine è uno sviluppo dell’”ottava” per un applicazione diretta sugli apostoli e auditori presenti. A chi segue fedelmente Gesù sulla strada delle beatitudini, Gesù assicura felicità piena e duratura.
Don Joseph Ndoum

La forza
dei poteri ricevuti o restituiti

Non sono semplici promesse. Nemmeno netti comandi. Insomma, le beatitudini cosa sono? Più che doveri o premi, sono congratulazioni rivolte a chi detiene una forza palese, un’evidente capacità. In breve: non una lista di doveri, ma l’ammirazione suscitata da poteri. Nelle beatitudini, innanzitutto, Cristo non dice: “Sii povero!”, ma: “Complimenti a te che puoi essere povero. Congratulazioni a te che riesci ad essere mite”.

Si tratta della compiaciuta constatazione di una potenza, di un’abilità efficace, ormai a disposizione dei fratelli e delle sorelle di Cristo. Tutto possono, grazie a chi dà loro la forza. Possono perfino vivere da poveri, riescono addirittura a vivere da miti cioè disarmati; hanno l’energia per sostenere l’afflizione e il pianto; sono così possenti da resistere nella fame e nella sete di giustizia; talmente vitali da permettersi il lusso di un cuore puro, capace di guardare ogni cosa con giustizia; così potenti da non eliminare i nemici, cercando la pace; hanno la possanza di vivere da perseguitati, fino al martirio sanguinoso, o a quello causato dalle estenuanti pazienze d’ogni giorno, che fanno morire come un martire a gloria di Dio, ma senza la propria gloria.

Le beatitudini ricordano che dovremmo imparare a verificare la qualità della nostra fede non solo in base ai doveri onorati, ma anche in forza dei poteri ricevuti o restituiti. Se l’obbedienza non restituisce le potenze tipiche dei beati, a chi si sta obbedendo? Se la fede non dà forza (soprattutto l’energia della speranza, la possanza della carità) a chi si sta credendo?

Innanzitutto, al diavolo non interessa la nostra disobbedienza. Per lui è solo un mezzo per raggiungere il suo scopo, vale a dire la nostra impotenza, l’incapacità di stare all’altezza delle forze che lo Spirito di Cristo ci dà. Ci rende disobbedienti affinché diveniamo impotenti, rassegnati all’incapacità di vivere da poveri, miti, giusti.
[Giovanni Cesare Pagazzi – L’Osservatore Roman
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