Mercoledì 11 ottobre 2023
La sera del 10 ottobre, le comunità della Curia generalizia hanno celebrato insieme la festa di san Daniele Comboni. La messa è stata presieduta da padre Elias Sindjalim Essognimam, assistente generale. Alla celebrazione hanno partecipato alcuni sacerdoti diocesani, amici, benefattori, rappresentanti delle missionarie comboniane e delle suore appartenenti alle comunità cui offriamo il nostro servizio ministeriale. Una presenza molto significativa è stata quella del cardinale sudanese Gabriel Zubeir Wako, dal 2016 arcivescovo emerito di Khartoum (Sudan).

Padre Arnaldo Baritussio ha introdotto la solenne celebrazione della festa di San Daniele Comboni, a vent’anni dalla sua canonizzazione, avvenuta nell’ottobre 2003, sottolineando il fatto che Comboni, con la sua canonizzazione, è diventato un punto di riferimento per l’intera Chiesa cattolica, non solo per gli istituti da lui fondati. Ha poi messo in risalto il ruolo di Comboni come “profeta della missione”, animato da una «visione che aveva al suo centro l’amore incommensurabile per Dio» e lo spinse a dedicare l’intera sua vita all’evangelizzazione dell’Africa.

Padre Arnaldo, infine, ha rivolto a tutti i presenti un forte invito ad avere “gli occhi del profeta”, come quelli di Comboni, così da riuscire a “vedere oltre” e avere sempre una “visione ampia della realtà”: «La missione comboniana consiste proprio nel vedere “sempre più in là”, soprattutto oggi, perché a nessuno deve essere negato un presente che ha futuro».

Nella sua articolata omelia, padre Elias ha riflettuto sulla santità di Daniele Comboni, sottolineandone tre aspetti, con l’intento di aiutare l’Istituto a «riappropriarsi della sua propria identità e spiritualità». I tre aspetti sono ispirati da tre “ricorrenze” che l’Istituto ha celebrato quest’anno.

Passione per Dio – A 20 anni dalla canonizzazione di Comboni, non si può non fare memoria della sua profonda fede e della sua capacità di contemplare sempre Cristo crocifisso. La passione che Comboni aveva per Dio – sorgente prima della sua santità – era legata alla sua profonda relazione con il suo Creatore e al suo forte spirito missionario. La sua fede lo portò ad abbandonarsi nelle mani di Dio, consegnandosi totalmente alla sua volontà.

Passione per l’umanità sofferente – A 150 anni dall’omelia pronunciata da Comboni a Khartoum (1873), e riflettendo su alcuni passaggi di quel “testo programmatico”, non si può non rimanere colpiti dall’amore che il Fondatore aveva per gli africani e dalla sua totale dedizione nel cercare di fare tutto il possibile per portarli a Cristo, «morto anche per loro». Nei confronti degli africani, Comboni si comporta come un “buon pastore”, assumendo gli stessi sentimenti del “Grande Pastore delle pecore”, Cristo. Per amore degli africani egli affrontò viaggi difficile e rischiosi, sopportò fatiche e malattie, ed accettò una morte precoce, solo perché aveva deciso di «fare causa comune con loro». Rivolgendosi a loro nella chiesa di Khartoum, disse: «Assicuratevi che l’anima mia vi corrisponde un amore illimitato per tutti i tempi e per tutte le persone. Io ritorno fra voi per non mai più cessare d’essere vostro, e tutto al maggior vostro bene consacrato per sempre. Il giorno e la notte, il sole e la pioggia, mi troveranno egualmente e sempre pronto ai vostri spirituali bisogni: il ricco e il povero, il sano e l'infermo, il giovane e il vecchio, il padrone e il servo avranno sempre eguale accesso al mio cuore. Il vostro bene sarà il mio, e le vostre pene saranno pure le mie. Io prendo a far causa comune con ognuno di voi, e il più felice dei miei giorni sarà quello in cui potrò dare la vita per voi» (Scritti, 3157-8).

Grande amore per l’istituto e il senso di appartenenza – Nel Centenario della dolorosa divisione dell’Istituto comboniano (decretata il 27 luglio 1923 e finalmente risolta nella Solennità del Sacro Cuore del 1979) non si può non ricordare la passione che Comboni coltivava per l’unità tra i suoi missionari. Come ebbe a scrivere nelle Regole del 1871, egli pensava al proprio istituto come a «un piccolo Cenacolo di Apostoli per l’Africa, un punto luminoso che manda fino al centro della Nigrizia altrettanti raggi quanti sono i zelanti e virtuosi missionari che escono dal suo seno» (Scritti, 2648). Oggi non siamo più un “piccolo cenacolo” (siamo circa 1.500!), ma l’immagine (e lo spirito) di “cenacolo” deve rimanere fondamentale tra i comboniani. L’amore sincero tra di noi non può non rimanere un “punto luminoso”, se vogliamo essere autentici “raggi” che da esso emanano.

Dopo l’Eucaristia, c’è stata una agape fraterna, caratterizzata da gioia e comunione.