La riconciliazione con il Creato, tra gli uomini, tra i popoli, tra le religioni, non è un’utopia della storia, perché in Cristo la riconciliazione è già cominciata. Con le parole dell’apostolo Paolo non possiamo mai dimenticare che: «Dio ha riconciliato a sè il mondo in Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione» (2 Cor 5,18-20). (...)
Pensieri sciolti e pensieri legati!
“Se il tuo fratello commetterà una colpa...”
Matteo 18,15-20
I brani del vangelo di questa domenica e della prossima appartengono al IV discorso di Gesù, secondo San Matteo, il discorso ecclesiale o comunitario (Matteo 18). Ricordiamo i precedenti: il primo, il discorso sul monte (cap. 5-7); il secondo, il discorso missionario (cap. 10); il terzo, il discorso delle parabole (cap. 13). In questo quarto discorso Matteo ha raccolto alcuni insegnamenti di Gesù sulla vita della comunità ecclesiale.
Il passo di oggi tratta della “correzione fraterna”, nel caso di un peccato grave che ostacola la comunione fraterna. Ci sono due versioni del testo: una corta che mette l'accento piuttosto sulla dimensione ecclesiale: “Se il tuo fratello commetterà una colpa”; e una più lunga che aggiunge “contro di te”, parlando di una offesa personale (la versione scelta dal testo liturgico). Il brano è formato da tre detti di Gesù, interconnessi. Le tre letture di questa domenica sono, d'altronde, facilmente collegabili tra di loro, apportando una ulteriore luce al vangelo, con il profeta Ezechiele posto come sentinella responsabile dei suoi fratelli (Ezechiele 33) e San Paolo che proclama la carità come pienezza della Legge (Romani 13, 8-10).
L'arte della correzione fraterna
La correzione fraterna è un'arte che richiede carità e delicatezza, intelligenza e tatto. Eviterei volentieri di parlarne o mi limiterei semplicemente a condividere qualche pensiero “sciolto”, ma mi sento “legato” dal vangelo! Perché trovo arduo parlare della correzione fraterna? Per tre ragioni. La prima, per la difficoltà inerente a questo compito. La seconda perché, per secoli, noi preti ci siamo accaparrati abusivamente questa mansione, quale nostro “diritto”, mentre essa è un dovere di ogni battezzato; per di più, l'abbiamo esercitata maldestramente e talvolta in un modo disastroso. Dunque, più che correggere dovremmo farci correggere! Terza ragione, oggi parlare di correggere non è “politically correct”, si rischia di andare contro la “privacy” di ognuno e di essere rimproverati di impicciarci negli affari altrui. Dunque, ci muoviamo in un campo minato e preferiamo ripiegarci nella critica, nel pettegolezzo o nel menefreghismo!
1. Un'operazione di salvataggio!
“Legato” da questa parola di Gesù, DA DOVE partirei? Dal versetto che precede immediatamente il brano di oggi: “È volontà del Padre vostro che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli si perda” (v. 14). Come punto di partenza troviamo la volontà salvifica del Padre. Si tratta, quindi, di una “pedagogia di recupero” (Papa Francesco). E l'obiettivo è di “guadagnare il fratello” (v. 15). Recuperare un figlio e guadagnarsi un fratello! Si tratta di una operazione di... salvataggio!
COSA fare concretamente? Gesù suggerisce un metodo articolato in tre passaggi graduali, introdotti dalla particella “se” (5 volte): prima da soli, poi eventualmente con uno o due testimoni e, per ultimo, se necessario, facendo intervenire la comunità, fino al caso estremo della constatazione della (auto-esclusione) del fratello o della sorella dalla comunità: “Sia per te come il pagano e il pubblicano”, cosa che non li esclude comunque dall'amore fraterno perché Gesù era amico di pubblicani e peccatori.
2. Un'operazione di fraternità
COME fare? Qual è la condizione essenziale per fare la correzione? La fraternità! Fraternizzare! La parola “fratello” nel vangelo di Matteo ha una particolare importanza. È interessante notare che generalmente va accompagnata da un aggettivo possessivo: “mio fratello”, “tuo fratello”, “miei fratelli”... L'evangelista vuole sottolineare il valore relazionale che sta al centro del messaggio di Gesù: “uno solo è il Padre vostro” e “voi siete tutti fratelli” (Matteo 23,8-9). Egli è il Figlio primogenito di una moltitudine di fratelli (Romani 8,29).
L'amore è al centro della relazione: “Fratelli, non siate debitori di nulla a nessuno, se non dell'amore vicendevole” (Romani 13,8, seconda lettura). Carità e verità si tengono per mano, ma la carità è la sorella maggiore. Nella correzione fraterna la verità al primo posto è come il sole di mezzo giorno: acceca il fratello condotto fuori dalla stanza buia dell'errore. La carità, invece, è come l'aurora che conduce progressivamente verso la luce piena!
3. Un'operazione di sinfonia!
DOVE porta la correzione fraterna? Alla sinfonia della comunione fraterna! “Se due di voi sulla terra si metteranno d'accordo per chiedere qualunque cosa ...”. Il verbo greco usato da Matteo per “mettersi d'accordo” (“symphonei”) è un verbo musicale e significa fare sinfonia, “sinfoneggiare”! La comunità è come un'orchestra in cui ognuno esegue la sua parte, suona il suo strumento. Ognuno apporta una nota o suono particolare che arricchisce la bellezza globale della sinfonia. Se uno stona o suona male o fuori tempo, non lo si esclude, ma lo si “corregge”. Il Padre, che ama la “sinfonia” creata dalla presenza di suo Figlio, ascolta volentieri questo gruppo, questa comunità. E il cielo si sintonizza con la terra: “Tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo”.
Può capitare, però, che qualcuno voglia imporre la propria voce o sovrastare agli altri strumenti, causando disarmonia e scompiglio. O qualcuno pretende di essere capace di suonare tutti gli strumenti e di fare a meno della collaborazione degli altri. Tale protagonismo porta alla passività, all'apatia e al disimpegno.
Sfortunatamente, anche in quel momento privilegiato di “sinfonia” che dovrebbe essere l'Eucaristia, spesso manca questo “mettersi d'accordo”, “sinfoneggiare”. Talvolta si prega o si celebra gli uni accanto agli altri, giustapposti. Si ripetono le stesse preghiere e gli stessi gesti, ma non c'è “un corpo solo e un'anima sola” (Atti 4,32). Inoltre, il presbitero che presiede l'Eucaristia, che dovrebbe essere come il “dirigente d'orchestra”, è quasi l'unico protagonista, che occupa il 90% della celebrazione. Abbiamo davvero un urgente bisogno di “sinodalità”, di camminare insieme come popolo di Dio.
Riflessione per la settimana
Ti invito a meditare ed applicare a te stesso il versetto dell'Alleluia: “Dio ha riconciliato a sé il mondo in Cristo, affidando a noi la parola della riconciliazione” (2Cor 5,19)
P. Manuel João Pereira, comboniano
Comunità missionaria
per una pastorale dei lontani
Ez. 33,1.7-9; Sl 94; Rm 13,8-10; Mt 18,15-20
Riflessioni
Come mettere uno stop alla maldicenza? Perché ammonire chi ha commesso una colpa? Come correggere chi è in errore? Correggere gli altri è un’impresa ardua, è un’arte che richiede umiltà e saggezza; è difficile farlo e farlo bene; è più facile - e più frequente, purtroppo! - parlare con altri degli altrui difetti ed errori; o limitarsi ad umiliarli e offenderli con il rimprovero… Perché non lasciarli nel loro problema? Qual è l’atteggiamento di carità da assumere in tali circostanze? Molto probabilmente, il testo odierno del Vangelo sulla correzione fraterna è lo specchio di situazioni concrete, che già si vivevano nella prima comunità cristiana, per la quale Matteo scriveva il suo Vangelo. Il brano fa parte del cosiddetto discorso ecclesiale (Mt 18), nel quale l’evangelista raggruppa diversi insegnamenti di Gesù circa i rapporti all’interno della comunità, scanditi sui seguenti passi: la vera grandezza consiste nel farsi piccoli e nel mettersi a servire (v. 1-5), la gravità dello scandalo dei piccoli (v. 6-11), la ricerca di chi si è allontanato (v. 12-14), la correzione fraterna (v. 15-18), la preghiera in comune (v. 19-20) e, finalmente, il perdono delle offese e la riconciliazione (v. 23-35).
L’obiettivo della correzione fraterna (Vangelo) è il ricupero e la salvezza del fratello/sorella che ha sbagliato o si è smarrito. Affinché l’ammonizione ottenga lo scopo desiderato, Gesù invita a procedere a tappe: in primo luogo, a livello personale, a tu per tu (v. 15); poi con l’aiuto di una o due persone (v. 16); quindi, con il ricorso alla comunità (v. 17). Il fatto che, alla fine, un fratello/sorella non ascolti nessuno e lo si consideri “come il pagano e il pubblicano” (v 17), non comporta e non autorizza un abbandono, ma piuttosto un’attenzione speciale verso queste persone, come faceva Gesù, che era “amico dei pubblicani e dei peccatori” (Mt 11,19; cfr. Lc 15,1-2). La chiave per capire questa testarda amicizia e preferenza di Gesù sta nella parabola del Buon Pastore che lascia “le 99 pecore sui monti per andare in cerca di quella perduta” (Mt 18,12). Gesù conclude questa parabola con un’affermazione forte: “Così il Padre vostro celeste non vuole che si perda neanche uno solo di questi piccoli” (Mt 18,14).
È questa la Parola che precede immediatamente il testo odierno sulla correzione fraterna. Dio ha più voglia e più fretta di perdonare che noi di essere perdonati. È proprio vero che Dio crede alla ricuperabilità delle persone: questo è il fondamento e la speranza della pastorale missionaria per i lontani. Nonostante i limiti, errori e frustrazioni, ma sempre con misericordia, perché è questo il vero volto di Dio, che Gesù è venuto a manifestarci.
Dio rifiuta l’atteggiamento di Caino, che non si preoccupa di suo fratello (cfr. Gen 4,9); anzi (I lettura) ci costituisce sentinelle per gli altri (v. 7) e chiederà conto a chi non parla “perché il malvagio desista dalla sua condotta” (v. 8). Non si tratta di interferire nella vita altrui, né di diminuire l’altrui libertà personale (v. 9), ma di essere presenza fraterna e amica, ispirata all’amore e alla ricerca del vero bene del fratello/sorella. Perché l’amore vicendevole (II lettura) è l’unico debito ammissibile con gli altri: infatti, “pienezza della Legge è la carità” (v. 10). San Paolo viveva da innamorato di Cristo e, pertanto, era preoccupato per tutte le Chiese (2Cor 11,28), voleva annunciare a tutti il Vangelo di Gesù e non aveva paura di rivolgere richiami forti e salutari alle sue comunità. Ma sempre con amore! (*)
L’amore vicendevole, che mira al ricupero di chi sbaglia, è la base su cui si fonda la correzione fraterna. Con tutti i rischi che questa comporta, soprattutto quando si devono ammonire i potenti della terra. Il martirio di S. Giovanni Battista (vedi memoria liturgica il 29/8) fu il risultato estremo di un doveroso e coraggioso rimprovero ad un re adultero e corrotto. Il messaggio odierno non riguarda solo i piccoli sgarbi o incidenti nella vita familiare o comunitaria, ma illumina anche il comportamento del cristiano (dei pastori e dei fedeli) di fronte ai responsabili dei mali maggiori della società: leggi perverse, degrado morale e sociale, gravi ingiustizie, corruzione, sistemi mafiosi, scandali pubblici…, di fronte ai quali il silenzio e il disimpegno suonano a debolezza, paura, viltà, complicità.
Il delicato ministero dell’ammonizione-correzione reciproca viene omesso con troppa frequenza, come costatava anche il Card. Carlo M. Martini (+31/8/2012). Questo difficile servizio della correzione-riconciliazione fraterna, fatto nella verità e nella carità, risulta più facile ed efficace quando ha il supporto di una comunità di fratelli che vivono la comunione e la preghiera, godendo in tal modo della presenza del Signore, perché sono riuniti nel Suo nome: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì Io-Sono in mezzo a loro” (Mt 18,20). Con queste parole Gesù ci dà una delle più belle descrizioni-definizioni di “chiesa-comunità”. Una comunità riconciliata e orante, che vive la fraternità, ha una grande forza missionaria spontanea ed esplosiva.
Parola del Papa
(*) “La correzione fraterna è un aspetto dell’amore e della comunione che devono regnare nella comunità cristiana, è un servizio reciproco che possiamo e dobbiamo renderci gli uni gli altri. Correggere il fratello è un servizio, ed è possibile ed efficace solo se ciascuno si riconosce peccatore e bisognoso del perdono del Signore. La stessa coscienza che mi fa riconoscere lo sbaglio dell’altro, prima ancora mi ricorda che io stesso ho sbagliato e sbaglio tante volte”.
Papa Francesco
Angelus della domenica 7.9.2014
P. Romeo Ballan, MCCJ
L’urgenza della riconciliazione
Matteo 18,15-20
La riconciliazione con il Creato, tra gli uomini, tra i popoli, tra le religioni, non è un’utopia della storia, perché in Cristo la riconciliazione è già cominciata. Con le parole dell’apostolo Paolo non possiamo mai dimenticare che: «Dio ha riconciliato a sè il mondo in Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione» (2 Cor 5,18-20).
Pensiamo che cosa immensa ci è affidata; a noi non è affidato il ministero della guerra, del razzismo, del nazionalismo, a noi è affidato il ministero della riconciliazione. Ogni giorno dobbiamo sentire, vorrei dire, l’urgenza della riconciliazione. Riconciliarsi prima di tutto con la propria storia, con un passato che non può essere una zavorra pesante che ti schiaccia; riconciliarsi con il presente, per poter scorgere i segni dei tempi. Riconciliarsi con il tempo che passa; la morte è il segno più chiaro della nostra fragilità e ci può insegnare a vivere una vita che sceglie l’essenziale, nell’attesa del compimento delle sorprese del suo amore.
Chiediamo anche perdono al Signore e l’aiuto della sua Grazia, perché noi spesso non siamo una realtà riconciliata; i cristiani sono separati; anche nella chiesa, in tante case, esiste il demone della divisione. Perché spesso non siamo riconciliati? Penso che la risposta più vera stia nel fatto che tra noi c’è troppo poca Parola di Dio. Dice il Signore al profeta: «Ascolterai una parola dalla mia bocca e tu li avvertirai da parte mia» (Ez 33,7-9).
Noi a volte abbiamo annunciato parole che non erano dalla bocca di Dio; abbiamo detto tante cose, dicendo che erano le parole di Dio, e invece non era vero; erano e sono ancora oggi a volte parole di potere, di ideologia, parole dei più forti, e così siamo diventati ministri di divisione. Noi non dobbiamo dire parole che vincono, ma parole che salvano, e solo quelle riconciliano e costruiscono la pace, quella vera.
Dobbiamo essere umili e stare attenti, anche nelle nostre cattedre universitarie, nella nostra stampa, nelle nostre chiese, a diventare quasi senza rendersene conto, mistificatori della Parola, persone che hanno scambiato il vangelo con la cultura, gente che non vuole il dialogo ecumenico e con le altre religioni, persone sempre inquiete, in guerra contro tutti, che giudicano il mondo con disprezzo, e che pensano che la Fratellanza umana, nuova frontiera del cristianesimo sia una eresia.
Anche la Chiesa qualcuno dice, ha dei nemici e quindi bisogna difenderla: dal relativismo, dal soggettivismo, dal laicismo e così via. Gesù però non si è mai difeso; e allo stesso modo Pietro e Paolo non si sono mai difesi. C’è tutta una storia di nemici che abbiamo combattuto forse per non vedere il male dentro di noi: il potere, il denaro, il clericalismo. La Chiesa la difende il Signore, a noi il compito di renderla sempre più bella e attraente con un battesimo coerente con la vita.
Donaci sempre Signore un cuore riconciliante, generoso e fedele, aperto all’accoglienza e alle necessità di quanti incontriamo. Fa che la nostra fede sia coerente con l’onestà, la giustizia e la carità e sappia trasmettere alle nuove generazioni la gioia dell’incontro con il Risorto.
Francesco Pesce / Osservatore Romano
La correzione fraterna, un'arte che richiede umiltà
Ez 33,7-9; Salmo 94/95; Rm 13,8-10; Mt 18,15-20
La parola di Dio di questa domenica ci propone un segno importante, che dovrebbe essere riscontrabile in ogni comunità cristiana: la correzione fraterna. Questo tema appare già nella prima lettura, dove il profeta Ezechiele si sente ricordare dal Signore che è stato costituito come “sentinella per il suo popolo” col compito di vegliare sui suoi concittadini, e di ammonire chi sbaglia.
Nel brano evangelico, la correzione fraterna appare addirittura un dovere. La Chiesa è santa, ma composta di peccatori; ed ecco allora la necessità della correzione fraterna. La lezione fondamentale è che ognuno è corresponsabile della vita di fede dei fratelli; e la preoccupazione non è quella di dimostrare il torto o di punire, ma di aiutare e liberare: ciò che conta è il ricupero del fratello, e la qualità essenziale tra i membri della comunità è l’essere fratelli. Nella comunità cristiana è grandissimo quindi il valore di ogni singola persona.
Anche un solo cristiano conta, è importante e prezioso. Bisogna fare di tutto per non perderlo. Per il ricupero del fratello colpevole, Gesù insegna una procedura graduale a tre livelli. Si tratta di un procedimento di misericordia e di una traduzione umana della pazienza di Dio. Prima il peccatore va avvicinato ed ammonito a tu per tu, segretamente. Se fallisce questo primo approccio, si cerca un confronto in presenza di due o tre testimoni, persone di fiducia, che possano riuscire là dove noi non ce l’abbiamo fatta da soli. Soltanto dopo un nuovo insuccesso la mancanza rilevata può essere portata davanti all’assemblea della comunità locale.
Solo alla fine, dopo aver esaurito tutti i tentativi per far rientrare nell’ambito della comunità il fratello che ha commesso qualche colpa, questi può essere considerato come “un pagano e un pubblicano”, cioè un escluso dalla comunità. Questa scomunica o esclusione, più che un elemento punitivo, costituisce un motivo di riflessione e uno stimolo alla conversione. Essa ha una funzione pedagogica, e non vendicativa. E non è tanto la comunità che decreta l’esclusione, quanto il fratello peccatore ostinato che si pone automaticamente in stato di separazione, fuori dalla comunione.
Spesso, di fronte alla mancanza di un fratello, se ne parla immediatamente con tutti, la si pubblicizza in ogni angolo, perfino con le amplificazioni; e il colpevole è talvolta l’unico a non sapere di ciò che da tempo tutti dicono alle sue spalle. Cristo ci insegna un procedimento opposto. Nel caso di un membro della comunità che commette una colpa, l’amore del prossimo si attua nella forma della correzione fraterna. Ci si corregge perché si è fratelli, membri della comunità ecclesiale dove tutti siamo figli del Padre celeste. Ci si ammonisce perché ci si ama. Questa “correzione” non può mai essere una vendetta o mascherare un complesso di superiorità: deve stare a cuore unicamente il bene del fratello.
Occorre anche fare attenzione allo stile che la correzione fraterna deve avere: verità e carità insieme. Si tratta di afferrare la verità con le molle della carità, poiché certe verità scaraventate in maniera brutale ed offensiva possono essere tutto tranne che verità evangelica, che non è mai disgiunta dalla discrezione, dalla carità e dal rispetto della persona. Bisogna aiutare il fratello a prendere coscienza del suo stato di colpa, perché possa ravvedersi. Lo scopo è di creare nel peccatore un esame di coscienza, perché è proprio in questo tipo di situazione, come risulta nel caso della parabola del figliol prodigo, che spesso Dio si inserisce e spinge alla conversione.
Anche se sembra previsto un limite nella prassi della correzione fraterna e sembrano fissati i criteri per far parte della comunità cristiana, non vuol dire che sia limitato l’ambito dell’amore del prossimo e soprattutto quello della misericordia di Dio. Il fratello escluso continua ad essere oggetto dell’amore misericordioso del Padre celeste, che benefica tutti senza distinzione tra buoni e cattivi, giusti ed ingiusti. E in quanto figli del Padre celeste, i credenti continuano ad amare e a fare del bene anche a quelli che non fanno parte della comunità dei fratelli.
In questo ordine di riflessione la seconda lettura di questa domenica, tratta dalla Lettera ai Romani, traccia un programma di vita cristiana: sono tanti i comandamenti di Dio, e riguardano i vari aspetti della condotta; tuttavia, essi sono condensati e pienamente compiuti nell’amore.
Don Joseph Ndoum