Padre José da Silva Vieira e la cappella azzurra di Massina, in Etiopia

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Martedì 29 agosto 2023
Padre José Vieira, missionario comboniano portoghese, ci racconta la sua visita pastorale a una comunità cristiana di Massina, in Etiopia. “Al ritorno – dice il missionario – lungo il sentiero di solito si incontrano tante persone, soprattutto donne, che vengono dalla messa domenicale nelle chiese protestanti. Ci salutiamo con gioia perché siamo tutti fratelli e crediamo che Gesù risorto è il salvatore di tutta la creazione”.

Sentivo parlare di Massina quado andavo a celebrare la messa alla cappella di Jalahu, in fondo ad una stretta valle accanto al fiume Hawata. La mia missione era Haro Wato, sui monti Uraga. A quell’epoca, venticinque anni fa, Jalahu era un posto selvaggio. La gente andava al mercato e al mulino a Massina, dall’altra parte del fiume. Ora, Massina ha una cappella cattolica che appartiene alla zona di Adola, della parrocchia di Qillenso.

Il villaggio è a una ventina di chilometri da Adola, metà asfaltati e metà in terra battuta. Il sentiero si snoda lungo la riva sinistra del fiume Hawata in mezzo a piantagioni di caffè, chat – una pianta alcaloide che è legale in Etiopia – “falsi banani”, alberi da frutto e grano.

Il paesaggio è incantevole. Vi sono tante acacie, alberi tipici della savana africana. Gli abitanti sono socievoli e mentre passiamo ci salutano allegramente, soprattutto i bambini.

Quando stavo a Haro Wato, ho fatto spesso il bagno nelle acque limpide e fresche dell’Hawata, vicino alla cappella di Tuta. Qui il fiume si sporca molto a causa delle ricerche d’oro sulle rive e nel suo letto.

La gente del posto lo estrae usando pale, picconi e scodelle. I cinesi usano gli escavatori. Ce ne sono diversi in funzione sui cinque chilometri che percorriamo per arrivare a Massina. La concorrenza è sleale e talvolta si trasforma in violenti conflitti.

L’ultima volta che sono andato a celebrare a Massina, un membro della milizia oromo, la forza locale che mantiene l’ordine e la legge, mi ha fermato e mi ha chiesto se andassi per l’oro. “No, vado a pregare con le persone di Massina”, ho risposto. E mi ha lasciato proseguire.

Comunità cristiana viva

La cappella si trova ad un'estremità del villaggio. È stata aperta dal comboniano messicano padre Pedro Pablo Hernández. Insieme a un collega spagnolo abbiamo iniziato la missione di Haro Wato nel 1995. Lui ha sviluppato la presenza cattolica a Adola e intorno alla città santa dei Guji. La cappella attira l'attenzione, perché è dipinta di blu! Il mio colore preferito.

Massina è la comunità cattolica più numerosa fuori dalla città. In genere, una trentina di persone frequentano l'Eucaristia domenicale ogni sei settimane. La maggior parte sono donne. Sempre fedeli al loro Signore!

È anche una comunità molto autonoma. Volevano installare un sistema elettrico solare per alimentare gli altoparlanti e competere con i protestanti.

Hanno raccolto i soldi necessari per acquistare un pannello solare, una batteria, il controller di corrente e l'inverter – trasforma i 12 volt della batteria in 220 – lo stabilizzatore, un altoparlante esterno e un altoparlante interno.

Mentre il catechista dirige la preghiera del mattino e il rosario, il sacerdote si occupa dei penitenti per la confessione.

Se, per qualche motivo, ritardiamo – o perché la messa a Adola è stata più lunga o perché siamo rimasti impigliati nel fango del sentiero – il catechista fa la celebrazione della Parola.

Dopo, si celebra con calma la messa. I canti sono accompagnati dal tamburo e da un kerara, un’arpa etiope a cinque corde. Quello della comunità è un modello commerciale, con corde d’acciaio, diverso dai modelli artigianali che hanno corde di nailon o di cotone.

La preghiera dei fedeli è spontanea e molto partecipata: alcuni fanno delle richieste, altri ringraziano per le benedizioni ricevute. Diventa una specie di ritratto orale della vita delle persone della comunità.

La messa termina con due o tre canti ai quali partecipano tutti cantando o ballando.

Alla fine dell’eucaristia ci viene servito uno spuntino a base di injera – il pane tipico dell’Etiopia, una specie di pancake gigante fatto con farina di tef, un cereale locale – con patate, riso e alcune zuppe fatte col pomodoro. Gli anziani della comunità prendono parte al pasto. La buona educazione vuole che non si mangi tutto perché anche le donne hanno diritto alla loro parte dopo che gli uomini hanno mangiato.

Al ritorno, lungo il sentiero di solito si incontrano tante persone, soprattutto donne, che vengono dalla messa domenicale nelle chiese protestanti. Ci salutiamo con gioia perché siamo tutti fratelli e crediamo che Gesù risorto è il salvatore di tutta la creazione.

P. José Vieira, comboniano in Etiopia
Rivista Além-Mar