Lunedì 3 luglio 2023
Da oltre cent’anni i Missionari Comboniani lavorano nel nord-est dell’Uganda. «Essere missionari qui comporta vivere fianco a fianco con la gente, conoscerne la lingua e la cultura, e, se necessario, dare la vita per loro». È ciò che dicono padre Longinos López Fernández, spagnolo, e padre Germano Joaquim dos Santos Serra, portoghese, entrambi impegnati in Karamoja, alla équipe di Ecclesia, l’agenzia cattolica portoghese che è andata a fare loro visita. [Ecclesia]
Situata nel nord-est dell’Uganda, la regione del Karamoja è una delle più povere del paese. È una regione abitata tradizionalmente da gruppi di pastori – chiamati karimojong – che frequentemente sconfinano nel vicino Kenya, dando vita a un nomadismo che diventa facilmente fonte di tensioni e violenze.
La regione è anche luogo di un importante lavoro pastorale, da quando la fede cristiana vi è arrivata, grazie al coraggio e all’audacia dei missionari comboniani, la cui opera continua ancora oggi. La fede è assicurata e irrobustita anche grazie alla presenta di catechisti locali che garantiscono la sua trasmissione, sempre coniugandosi con la tradizione e la cultura locale.
Elanyangikoi è il nome con cui padre Longinos López Fernández è conosciuto tra i karimojong. Quando era ancora diacono, fu mandato nel Karamoja per una esperienza di lavoro pastorale. Un giorno, stava andando con un pick-up a visitare un villaggio. Il cassonetto della macchina era stracarico di persone. Tutto a un tratto, il veicolo si trovò nel bel mezzo di una razzia messa in atto da un gruppo di guerrieri di un vicino gruppo etnico, venuti a rubare bestiame. Longinos ricorda ancora quel terribile fatto: «L’unica cosa che ho pensato di fare fu quella di pigiare più che potevo sull’acceleratore e allontanarmi al più da quell’inferno, seguendo la direzione presa dalla gente in fuga». Lui non aveva mai sentito spari in vita sua se non in televisione e al cinema. Nonostante le molte pallottole sparate contro il pick-up, una sola persona fu colpita a morte. Gli altri passeggeri e la gente del posto commentarono così il comportamento di Longinos: «Apa elanyani ngikoi» [“il padre ha superato (in velocità) le pallottole”]. Da allora, Longinos è per tutti Elanyangikoi.
In Karamoja il lavoro dei missionari si svolge in armonia con quello del clero locale. La presenza della Chiesa è caratterizzata da una reale vicinanza alla gente, fatta di contatti diretti con le persone che vivono nei villaggi tradizionali, dove tradizioni ancestrali e antichissimi modi di vita persistono tuttora.
Dice padre Longinos: «Noi comboniani siamo chiamati a evangelizzare donando la nostra vita a questa gente, senza aspettarci nulla in cambio. Del resto, un missionario che non è pronto a vivere come le persone del posto dove è inviato, sporcandosi letteralmente le mani e dandosi da fare per edificare anche qualcosa di tangibile, molto probabilmente non è un “buon missionario”, perché sarà sempre avvertito dalla gente come uno che è fuori dall’ambiente circostante. La vita nei villaggi è molto diversa da quella che uno trova in città. Chi viene qui per dare una mano deve adattarsi al modo di vivere dei locali. Che tu sia un bianco o un africano, poco importa: devi inseriti completamente nell’ambiente e crescere con chi ci vive da sempre».
Per essere missionari in Karamoja è indispensabile possedere la lingua locale. Lo studio e la preservazione di questa antica lingua devono molto a due missionari comboniani, autentici pionieri in questo campo: padre Bruno Novelli e padre Mario Mantovani, ambedue ormai in paradiso da anni. Oggi questo importante lavoro è portato avanti con un comboniano portoghese, padre Germano Serra. Originario di Fânzeres, una località del comune di Gondomar, è arrivato in Uganda nel 1984 e, da subito, si è inserito nella cultura locale, bene accolto dalla popolazione locale. Dal suo arrivo non ha mai smesso di studiare sia la cultura che la lingua karimojong, cercando anche di preservarla e diffonderla, evitandone la sparizione. Si può dire senza ombra di dubbio che questo è sempre stato uno dei suoi obiettivi missionari. E continua ad esserlo.
Padre Germano è orgoglioso della sua passione per lingua karimojong, che intende salvaguardare ad ogni costo. A questo scopo, ha perfino aperto siti web e blog in cui questa lingua è consentita, e la gente vi partecipa, facendo a gara a chi sfoggia il miglior karimojong. Un dizionario e una grammatica karimojong sono oggi accessibili su Internet, ed è possibile arricchirli e approfondirli.
Padre Germano si trova bene qui. Dice che non gli dispiacerebbe finire i suoi giorni in Karamoja.
Abbiamo avuto la possibilità di fare visita a un villaggio della parrocchia di Losilang, curata pastoralmente da Joseph Lokedin, sacerdote diocesano. Siamo stati accolti festosamente dalla gente, che ha preso a danzare nel suo modo tipico: i ballerini spiccano prodigiosi “salti in alto”.
La gente del villaggio è molto generosa nei confronti del suo pastore. La comunità parrocchiale ha anche dato vita a un progetto generatore di reddito: costruiscono mattoni seguendo il metodo tradizionale, tramandato dagli anziani. Sebbene siamo nel XXI secolo, qui questi mattoni funzionano magnificamente e sono molto richiesti.
Il coraggioso impegno mostrato dai comboniani impegnati in questa regione deve senz’altro la sua origine alla loro specifica vocazione: dare la propria vita per l’Africa. Ma tale loro impegno si nutre anche dell’esempio di chi ha pagato con la propria vita quest’opera evangelizzatrice.
Abbiamo visitato la tomba di padre Mario Mantovani, anche oggi meta di molti visitatori. Padre Mario fu uno dei pilastri dell’opera di evangelizzazione in Karamoja. Lui fu no dei primi a specializzarsi nello studio della lingua locale, scrivendone ben due grammatiche e uno studio specifico sul verbo, e compilando un voluminoso vocabolario. Anche oggi, tutti coloro che vogliono lavorare qui si servono di questi tre volumi.
Un giorno, padre Mario viaggiava con padre Kiryowa Godfrey, un giovane comboniano ugandese. La loro macchina fu assaltata da un folto gruppo di razziatori (oltre 300) e i due furono crivellati di pallottole. Prima di loro, altri 11 comboniani avevano versato sangue in Uganda, vittime della violenza che qui assume spesso la forma della rapina o razzia.
In questo luogo la cui cultura è più che unica e dove pochi stranieri possono vantare di possedere davvero la lingua, oggi lavorano comboniani e comboniane provenienti da Spagna, Portogallo e Italia. Sono venuti qui per donare la loro vita a questo stupendo popolo. Sono stranieri, sì, ma sono diventati talmente “locali” da pregare Dio nella stessa lingua della gente che servono.
Missionari Comboniani in Karamoja, la missione di una Chiesa che pulsa nel cuore dell’Africa. Il contrasto di culture unite nell’universalità della proposta cristiana.
[Ecclesia]