Mercoledì 11 gennaio 2023
La COP27 di Sharm-el-Sheikh è stata sotto diversi aspetti una COP africana. C’è stata un’ampia partecipazione del continente, inclusiva di Stati, organismi regionali e una vibrante società civile. Soprattutto, ha posto al centro la questione della giustizia climatica: i paesi che meno hanno contribuito alla crisi climatica sono quelli che ne pagano il prezzo più alto. Bisogna far pagare il debito climatico, per non lasciar indietro nessuno.
Sono state due settimane di negoziati molto intensi ed estenuanti, che sono culminati in una decisione storica: l’istituzione di un fondo per il risarcimento delle perdite e danni dovuti ai cambiamenti climatici, dopo 30 anni di lotta politica. Ma è solo il preludio di una vera conquista. Non è stato trovato, infatti, l’accordo sulle regole di tale fondo: come finanziarlo, chi ha diritto al sostegno, a quali condizioni e l’entità di tali finanziamenti. Nella migliore delle ipotesi, si arriverà ad un accordo nel 2024, ma non è affatto scontato.
La delusione più grande è stata sul fronte della riduzione delle emissioni di gas climalteranti e dei finanziamenti per l’adattamento ai cambiamenti climatici. Nel 2021 a Glasgow ci si era arenati su questi punti, ma era passata la proposta di rialzare annualmente le ambizioni di riduzione delle emissioni e di aumentare i finanziamenti per l’adattamento, priorità per il Sud globale. Nessun progresso significativo è stato fatto su questi punti. L’obiettivo di contenere l’aumento della temperatura media entro 1,5°C al di sopra dei livelli preindustriali – necessario per limitare danni che saranno comunque disastrosi a quel livello – ci sta rapidamente sfuggendo di mano.
Inoltre, la COP27 ha messo pericolosamente l’Africa sul sentiero dell’espansione dell’estrazione dei combustibili fossili. Dei 15 contratti sul gas firmati a Sharm-el-Sheikh, 8 riguardano paesi africani. Diversi politici africani rivendicano il diritto a una transizione equa e dunque a investimenti sull’estrazione di gas – ritenuto combustibile di transizione – per il fabbisogno energetico per lo sviluppo del continente. Anche in considerazione del fatto che le emissioni dell’Africa raggiungono solo 3,5% del totale globale e dunque riaffermando il principio di responsabilità comune ma differenziata. In realtà, la storia insegna che simili progetti estrattivi non beneficiano i popoli africani, ma i mercati europei, che ora cercano di superare la dipendenza dal gas russo. Inoltre si tratta di investimenti onerosi a lungo termine, con impatti immediati spesso devastanti su popolazioni locali e ambiente, mentre anche l’Africa necessita oggi di una transizione energetica.
Nell’insieme la COP27 ha mostrato la crisi attuale del multilateralismo. Nonostante gli sforzi e l’impegno nei negoziati, non ci si è minimamente avvicinati ai cambiamenti radicali che sono necessari, come dimostrano i rapporti scientifici dell’IPCC. Il principio del consenso è fondamentale perché una soluzione sostenibile richiede unità di intenti, partecipazione ed impegno da parte di tutti. Tuttavia, i progressi sono troppo piccoli e lenti per poter rispondere adeguatamente alla crisi climatica. Di fronte a crisi epocali, come quella del COVD19 ha mostrato, sono necessari interventi radicali, bisogna pensare ed agire in modo nuovo.
C’è allora bisogno di una forte pressione esterna al sistema dei negoziati. Alla COP27 la società civile ha perorato alcune proposte globali che creerebbero le condizioni per un cambio di passo nei negoziati:
Fr. Alberto Parise, MCCJ
Delegato di VIVAT International alla COP27