«Siate simili a quelli che aspettano il loro padrone». In questa frase ci sono almeno due pilastri dell’esistenza: noi aspettiamo qualcosa e abbiamo un padrone. Ma va precisato: non aspettiamo qualcosa, ma Qualcuno. Il Padrone.
«Siate simili a quelli che aspettano il loro padrone». In questa frase ci sono almeno due pilastri dell’esistenza: noi aspettiamo qualcosa e abbiamo un padrone. Vivere senza attendere niente vuol dire non avere storia, ma solo istanti sconnessi. La saggezza è la percezione del nesso fra le cose, la quale diventa intuizione della direzione della storia.
Questa sapienza si chiama Speranza che — va ricordato — non è banale inclinazione positiva ma accoglienza provvidenziale degli eventi, ed è un’attitudine che solo Dio può donare e che siamo chiamati a ricevere ed esercitare. Le cose che accadono sono gravide di salvezza. Potremo migliorare quanto vogliamo la nostra situazione attuale, ma se quel che capita non ci porta oltre, tutto quel che abbiamo è solo una borsa che invecchia, un tesoro a portata di ladri e tarli.
Ma va precisato: non aspettiamo qualcosa, ma Qualcuno. Il Padrone. Non siamo noi il centro della realtà ma un Altro. Rifiutare questo vuol dire slittare nello scivolo elicoidale del proprio ego e fallire nelle relazioni. È il nocciolo di una vita sterile e infantile. Il testo infatti gioca fra due attitudini: quella di una infinita fase orale nella quale darsi tutti i piaceri alla portata; e quella adulta di chi sa occuparsi degli altri, dualismo innescato dalla domanda di Pietro: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?».
Gesù allora annunzia un luminoso stile di vita: l’esistenza di chi sa curare gli altri dando “la razione di cibo a tempo debito”, immagine nitida dell’arte educativa: saper consegnare la giusta quantità al momento opportuno. Da dove viene questa abilità così bella e rara? Gesù definisce questa persona un «amministratore fidato e prudente». Ha una relazione autentica col Padrone, è affidabile, e da questo sgorga la sua saggezza. So dar da mangiare, perché mi nutro presso il Padre.
Più so obbedire a Dio, più so prendermi cura dei fratelli. Se vivo come chi attende il suo buon padrone, so amare coloro che Lui mi affida.
[Fabio Rosini – L’Osservatore Romano]
I calcoli sbagliati dell’uomo ricco e sazio
Sap 18,6-9; Salmo 32; Eb 11,1-2.8-19; Lc 12,32-48
Gesù continua ad ammaestrare i suoi discepoli e la folla. Si tratta di una pedagogia di cui ci è stato presentato un importantissimo capitolo domenica scorsa attraverso la parabola del ricco proprietario “stolto”. Egli vuole mettere anche noi in guardia contro i falsi valori di questo mondo, e quindi contro le false sicurezze, per guardare piuttosto verso il Regno che viene. E’ qui ed ora che avviene la scelta decisiva per garantirsi un tesoro in cielo. La parabola dei servi, che domina il brano evangelico, è preceduta da alcune esortazioni circa la valutazione e l’uso dei beni. I discepoli di Cristo non devono lasciarsi sopraffare dalle preoccupazioni materiali, poiché sono “il piccolo gregge” raccolto dall’iniziativa del Padre.
Perciò possono contare sulla sua fedeltà e attendere in dono il regno che deve essere oggetto della loro ricerca prioritaria. In questo clima di fiducia, i discepoli devono condividere i beni con i poveri, cioè devono distaccarsi dai beni di questo mondo e metterli al sicuro nel tesoro dei cieli, ponendo il loro cuore dove c’è il loro tesoro, Gesù Cristo, poiché la grande ricchezza è un “investire” sul Regno di Dio.
Gesù quindi li invita alla vigilanza, a tenersi pronti, nell’attesa della venuta del Figlio dell’uomo, viene sottolineata l’incertezza dell’ora. Tutti devono allora essere” pronti con la cintura ai fianchi e le lucerne accese”. L’attesa deve essere vigilante, e la vigilanza, tuttavia esclude la paura, l’angoscia, l’ansia. Occorre stare al proprio posto, in senso sereno ed attivo, svolgendo i compiti affidatici. In altre parole, il tempo dell’attesa della venuta del Figlio dell’uomo è il tempo di responsabilità e di fedeltà. L’attesa del Signore infatti, dovrebbe comandare l’agire di ogni cristiano. Non possiamo vivere senza considerare che il Signore tornerà e lo incontreremo per un rendimento di conti, poiché egli è stato già in mezzo a noi e ci ha affidato delle consegne. Il Regno è il vero valore e la venuta del figlio dell’uomo è la vera meta.
Il servizio della comunità è il tema della seconda parte della parabola. Essa è introdotta da una domanda di Pietro :”Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?”. Gesù risponde presentando due tipi di amministratori. Il primo, “fedele e saggio” è chiamato “beato” perché svolge il suo compito con senso di responsabilità. Egli sarà reso partecipe dell’autorità del suo Signore. Il secondo conta sul ritardo del suo padrone e si comporta con arroganza, abbandonandosi ad ogni sorta di prepotenza e disordine. Il Padrone di quel servo infedele e stolto verrà” nel giorno in cui meno se l’aspetta e in un’ora che non sa, e lo punirà con rigore. E’ una messa in guardia a quanti hanno in qualsiasi ruolo autorevole e ne abusano. Gesù conclude la parabola con una sentenza: “A chiunque fu dato molto, molto sarà richiesto; a chi fu affidato molto sarà richiesto molto di più”. Cioè ognuno di noi ha una responsabilità proporzionale ai doni ricevuti.
La prima lettura del libro della Sapienza , è una rilettura degli eventi dell’Esodo. La liberazione degli Ebrei è posta in antitesi con lo sterminio dei nemici oppressori, gli Egiziani. Questa meditazione sulle opere salvifiche di Dio infonde speranza, fondata sulla fedeltà di Dio, che non abbandona mai i suoi servi. La seconda lettura dalla Lettera agli Ebrei parla della fede di Abramo e dei patriarchi. In modo esemplare, essi vivono la fede, che viene definita come “fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono”. Essa è quindi, ciò che contrassegna gli amici di Dio. Nel cammino di fede di Abramo, in particolare, vi sono tre tappe : la partenza verso una meta sconosciuta, il soggiorno nella terra promessa abitando sotto le tende (egli aspettava la città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso), e l’offerta del figlio Isacco, che è pegno del suo futuro e garanzia della fedeltà di Dio alla sua promessa.
Qui si ha l’apice della fede di Abramo, che si apre a un futuro più grande, quello della risurrezione dai morti. Isacco è quindi una prefigurazione di Gesù che si è offerto a Dio nella speranza della risurrezione. Come si vede bene, la fede è operosa, e la risurrezione dai morti è la meta verso la quale sono incamminati tutti i credenti sul modello della fede di Abramo.
Don Joseph Ndoum