Padre Feliz da Costa Martins, in terra sudanese: “È sempre Pasqua. Pasqua eterna”

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Martedì 26 luglio 2022
P. Feliz da Costa Martins, missionario comboniano portoghese, ha già completato 71 anni, 34 dei quali passati in terra sudanese. È un buon “narratore” di storie di missione. Oggi ci parla del karama, una tradizione funebre sudanese, nel contesto del funerale di Zeituna, una bambina che faceva la chierichetta nella cappella di S. Daniele Comboni, vicino a El Obeid. La storia di Zeituna si conclude con la certezza della vita dopo la morte: “La mia nuova casa ora è la Casa del Padre, con Gesù Risorto, gli angeli e tutti i santi. Vivo la felicità perfetta, qui in Paradiso. Per me non c’è né prima né dopo Pasqua. È sempre Pasqua. Pasqua eterna”.

PASQUA ETERNA

Il pomeriggio stava per finire e il buio cominciava a coprire la terra. Anche se il sole, quel giorno, non si era fatto vedere. La tempesta d’aria gli aveva rubato la luce, lasciando dietro di sé un cielo denso e pesante, che continuava a scaricare, senza pietà, la polvere fina del deserto.

Mi siedo nella veranda aspettando P. Alessandro Bedin, un comboniano italiano, per recitare insieme, come ogni sera, il rosario. Poco dopo lo vedo arrivare mentre risponde al cellulare. “Scusami, non posso pregare con te. Mi stanno chiamando per un funerale” mi dice un po’ mogio. “A quest’ora?!” chiedo istintivamente, ma non cerco di dissuaderlo, prima di tutto perché un funerale è un momento delicato per il quale bisogna essere sempre disponibili. E poi perché è comprensibile che non si aspetti il giorno visto che il caldo eccessivo di questi giorni (sopra i 45 gradi) può accelerare il processo di decomposizione.

Le ore sono diventate lunghe: non volevo andare a dormire prima che P. Alessandro tornasse dal cimitero. E se succede qualcosa? Pensavo. Mi sono pentito di non averlo accompagnato.

Trent’anni fa

Mi ricordai del primo funerale che avevo presieduto in Sudan, nella missione di Kosti. Quel lontano giorno di più di trent’anni fa, il carro che trasportava il morto si fermò davanti alla missione. Cominciava a far buio. Uno del corteo mi mostrò lo stato pietoso dell’asino che aveva una zampa ferita, facendomi capire la necessità di usare la macchina della missione. In meno di venti minuti arrivammo al cimitero. Gli uomini scesero con la cassa aperta, lasciando il defunto avvolto nella kafan. A quel punto ci improvvisammo tutti becchini, usando a turno pala e piccone, ma siccome la terra era sassosa ci volle parecchio tempo.

Ad un certo punto, la lanterna si spense. Poco male, se non che si udì una voce: “purtroppo ho dimenticato il petrolio!”. Che fare? Andarlo a comprare? Di notte i negozi sono chiusi. Non mi feci pregare: controllai il livello di gasolio nella macchina e accesi il motore: “Miracolo della luce” sentii dire da qualcuno. “Così possiamo lavorare”, concluse riprendendo la pala. Finalmente, dopo la preghiera finale del rito funebre, si misero due pali a forma di croce in cima alla tomba. Era il 1988, nel cimitero cristiano di Kosti.

Ma torniamo a El Obeid, a oggi. P. Alessandro non era tornato. Mancava poco alla mezzanotte quando mi ha chiamato al telefono: “la macchina non parte…” ha detto con un filo di voce. La cosa non mi ha sorpreso conoscendo la macchina; ne abbiamo un’altra ma è in pessime condizioni tanto che non mi azzardo a prenderla neanche di giorno, figuriamoci a quell’ora! Eppure, in qualche modo dovevo aiutarlo. Allah maujud, Dio non mi deluderà, come dicono i sudanesi.

Senza pensarci due volte mi sono avviato verso il cimitero. P. Alessandro ha telefonato di nuovo: siamo riusciti a far ripartire la macchina e sto venendo a casa! Mi ha detto con voce più serena. Grazie a Dio! Sono tornato a casa e poco dopo è arrivato P. Alessandro. Per prima cosa gli ho chiesto: “chi hai seppellito?”. “Zeituna”, mi ha risposto tristemente, mentre mi restituiva il bicchiere d’acqua che aveva appena bevuto.

“Ma che dici?”, “Sì, la bambina che aiutava nella Messa nella cappella di S. Daniele Comboni. In pochi giorni un’appendicite acuta se l’è portata via”, ha aggiunto mentre si ritirava per il meritato riposo della notte che stava già diventando troppo corta.

Ero arrabbiato e mi sono lamentato con Dio. Non è giusto! Zeituna, seppellita di notte e in fretta, mentre i suoi amici e amiche non hanno neanche potuto salutarla!

Funerale concluso

Mi sono consolato al pensiero che la sepoltura, secondo il costume sudanese, non vuol dire la fine del funerale. Mi riferisco al karama, una tradizione che consiste nel pasto comunitario in onore della persona che viene sepolta e che si fa il terzo giorno dopo la morte. Solo allora il funerale è concluso. Nel caso di un cristiano, il karama include la celebrazione della Parola in casa del defunto o la celebrazione dell’Eucaristia in chiesa.

E così è stato. Tre giorni dopo, c’è stato il karama in onore di Zeituna. La cappella di S. Daniele Comboni non riusciva a contenere i fedeli che hanno occupato anche parte del sagrato.

Tutti i chierichetti e le chierichette sono venuti. Con le loro tuniche bianche, sono stati una presenza particolare, attorno all’altare, in onore della loro compagna. La certezza della vita dopo la morte, anche se avvolta in lacrime di dolore che in quel momento alcuni non riuscivano a trattenere, è stata una cosa tangibile in mezzo a quell’assemblea cristiana.

Alla fine della messa, come in un pellegrinaggio, abbiamo riempito la strada in direzione della casa della famiglia di Zeituna. Prima di entrare, ho salutato alcuni amici nella grande tenda montata per l’occasione nella strada accanto.

Uno degli organizzatori del karama mi ha detto: “P. Feliz, non dimenticare che il tuo posto è lì, dentro la casa, nella prima stanza subito all’ingresso”. “Grazie”, ho risposto. In onore della piccola chierichetta accetto qualsiasi osservazione. Quando sono entrato nel luogo indicato, c’erano già P. Alessandro e P. Fadi, un sacerdote sudanese, assieme a Ismael, il Pastore protestante, e altre cinque persone.

Dopo qualche minuto, un compagno della bambina morta è passato con l’ibrique – la tipica brocca di plastica sudanese – per distribuire acqua per le mani dei commensali.

Subito dopo, uno dei giovani ha portato la senia, un enorme vassoio rotondo di metallo, pieno di prelibatezze sistemate in diversi piatti. Lo ha messo sul piccolo tavolo in mezzo al gruppo: il pranzo è servito. Le posate? Dio ci ha pensato prima di noi: ci ha creato con mani e dita che sappiamo usare benissimo.

Da più di un mese

Il pranzo era squisito. Dopo aver bevuto il tipico tè alla menta, ho visto nel patio il signor Maidan, il capofamiglia, e ho pensato di stare un momento con lui. Mi ha indicato l’albero di limoni che stava quasi morendo di sete e ha detto: “Ti ricordi il giorno in cui sei stato qui per la benedizione durante la Quaresima? È passato già un mese da allora e la pioggia non si è vista!”.

Ci siamo ricordati della spontaneità della figlia che si era presentata nel patio con un catino pieno d’acqua dicendo: “Non ne abbiamo per innaffiare il limone ma per benedire la nostra famiglia l’acqua non può mancare”.

Alcuni ospiti, dopo aver pranzato, passavano da noi per salutare e dire qualche parola di conforto e di speranza.

Mi piace ricordare un altro gesto simpatico che Zeituna aveva fatto quel giorno, dopo la benedizione. Dopo aver dimostrato la sua abilità nella caccia alle locuste che mangiavano pacificamente le foglie del già sofferente limone, era corsa verso di me con una manciata di locuste dicendo: “queste sono migliori di quelle del mercato!”.

“Grazie, Zeituna; sai che mi piacciono molto le locuste ma adesso non abbiamo il tempo di cucinare...”, ho risposto. La piccola ha compreso subito la priorità del momento e ha detto: “Certo, è Quaresima e i vicini aspettano la benedizione delle loro famiglie”. Detto questo, l’abbiamo vista infilarsi le ciabatte e unirsi al gruppetto che mi accompagnava.

Siamo entrati ancora in quattro case per la benedizione. Il disco rosso del sole stava scomparendo all’orizzonte, suggerendoci di rimandare al giorno dopo il resto del lavoro.

Secondo il buon costume sudanese, la chierichetta e altre due signore hanno camminato con me fra le strade di sabbia fino alla via asfaltata. Pochi minuti dopo, è passato il furgoncino-bus. Mentre salivo, la piccola ha insistito: “Allora padre, quando vieni di nuovo a casa?”. “Dopo Pasqua”. Era circa un mese fa.

Nuova dimora

Stavo ancora parlando col padre quando mi è sembrato di vedere in mezzo a noi una figura di angelo. Era lei, Zeituna. Gli ho detto: “Ti avevo promesso di venire a casa tua dopo Pasqua; e sono qui. Ma non pensavo sarebbe stato per un funerale e un karama”.

“Sono contenta che tu sia venuto!” ha risposto col suo sorriso angelico. E ha aggiunto: “La mia nuova casa, ora, è la Casa del Padre, con Gesù Risorto, gli angeli e i santi. Vivo la felicità perfetta, qui in Paradiso. Per me non c’è né prima né dopo Pasqua. È sempre Pasqua. Pasqua eterna”.

P. Feliz da Costa Martins
Sudan