Sabato 12 marzo 2022
Non si può non condividere la visione di papa Francesco delineata nel capitolo ottavo dell’Enciclica Fratelli tutti: “Le diverse religioni, a partire dal riconoscimento del valore di ogni persona umana come creatura chiamata ad essere figlio o figlia di Dio, offrono un prezioso apporto per la costruzione della fraternità e per la difesa della giustizia nella società” (FT 271) . Penso che, in una maniera o nell’altra, molti di noi hanno esperienza di iniziative sia formali che informali che vanno in questa direzione.
Il numero successivo pero’ subito avverte: “ Come credenti pensiamo che, senza un’apertura al Padre di tutti, non ci possano essere ragioni solide e stabili per l’appello alla fraternità. Siamo convinti che soltanto con questa coscienza di figli che non sono orfani si può vivere in pace fra noi” (FT 272). Fare emergere il volto di Dio come un Padre che non sia solamente la proiezione del nostro bisogno di sicurezza ed identità è il presupposto fondamentale per accogliere e mettere in pratica l’invito dell’Enciclica… ed il punto dove a livello istituzionale le diverse religioni si trovano impantanate.
Dopo decenni di grandi stravolgimenti geopolitici (il terrorismo e poi l’ISIS, il problema immigrazione sia in Europa che negli USA, il fallimento di una pacificazione del Medio Oriente, l’espansione del modello cinese, la crisi della democrazia) caratterizzati da violenza e divisioni, ora anche il conflitto in Ucraina, nella cerniera tra Est ed Ovest, ha fatto ulteriormente emergere tutti i limiti che diverse tradizioni religiose (in questo ultimo caso, cristiane) hanno nello svolgere un ruolo di rilievo per costruire fraternità’, giustizia e pace.
Se ci si ferma alla la tradizione, alla cultura, o all’identità (spesso nazionale), ogni religione può rimanere solo un’espressione dell’ego individuale o collettivo e del suo bisogno naturale ed istintivo di assicurarsi sicurezza e protezione a scapito degli altri visti come nemici. A livello sia personale che comunitario, nessuno e’ molto disposto ad intaccare questo “io naturale”, addirittura provocarne la morte (ciò che simboleggia il battesimo cristiano, il risveglio buddista, etc.) perché un nuovo io filiale e fraterno possa nascere in Dio: gli ostacoli ad un vero dialogo interreligioso sono tutti qui. Molte iniziative a livello interreligioso, anche di per se meritevoli, ma volte solo a rafforzare il proprio l’ego religioso (“come siamo bravi noi!”), avranno sempre le gambe corte e cadranno sempre nella sporadicità e sensazionalismo.
La mia esperienza, influenzata dal mio vivere in Estremo Oriente, mi dice che bisogna partire dal silenzio per intaccare l’ego religioso e aprire piste nuove che superino i vari dualismi identitari che causano violenza, conflitti ed ingiustizie. Sono cosciente che certi tipi di “meditazione” in stile orientale che vanno di moda sono molto superficiali e tendenti solo ad un benessere individuale. Ma non si può negare che il silenzio (spesso anche unito al digiuno purificante nel senso di spogliamento dal superfluo e di corretto uso dei beni) che e’ caratteristica di ogni esperienza spirituale in ogni tradizione religiosa, può essere una base importante per costruire cammini comuni che vadano a beneficio anche della nostra società distratta, frantumata, impulsiva, cieca alla realtà. Capisco sempre più che molta gente, di ogni credo, sente il bisogno di silenzio, di respiro cosciente, di superare la dicotomia tra mente/corpo/spirito a cui la società digitale ci sta assuefacendo, di consapevolezza… tutte queste cose, quando si ha il coraggio di condividerle insieme con persone di diverse fedi, seriamente, ci mettono a nudo l’anima e sono una finestra sulla verità; creano comunione ed evitano cadute nell’intimismo.
La tradizione cristiana, specialmente il monasticismo e il misticismo, hanno sin dai primi secoli valorizzato questi aspetti. Forse potrebbe essere qualcosa da cui ripartire quando tanto nostro “fare” e “parlare” si rivelano sterili.
P. Paolo Consonni mccj
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