Lunedì 3 gennaio 2022
Oggi, 1° gennaio, è la Giornata mondiale della pace. La notte santa gli angeli lanciano questo grido di gioia: “Pace in Terra agli uomini che ama il Signore!”. Questa pace, però, non è un pacchetto preconfezionato che noi dobbiamo semplicemente ricevere: la pace Dio ce la regala come impegno da assumere, e ci dá la forza e la passione per portare avanti questo impegno.
Quando riceviamo questo regalo, il primo passo da fare per realizzare la pace è essere coscienti di quello che succede attorno a noi: una cosa molto difficile e impegnativa. Come diceva Orwell, vedere cosa sta davanti al nostro naso richiede uno sforzo paziente e continuo. La pandemia che stiamo vivendo, tra le altre cose, ha creato una specie di nebbia che ci impedisce ancor più di vedere la realtà. Mi riferisco al fatto che ormai i mezzi di comunicazione parlano quasi unicamente del coronavirus, e tutto il resto - gli altri problemi e le altre sfide - rischia di rimanere nascosto, invisibilizzato.
Il papa, nel suo Messaggio per la Giornata mondiale della pace di quest’anno, ci aiuta a gettare un po’ di luce sulla realtà ‘nascosta’: “Negli ultimi anni è sensibilmente diminuito, a livello mondiale, il bilancio per l’istruzione e l’educazione, considerate spese piuttosto che investimenti. Eppure, esse costituiscono i vettori primari di uno sviluppo umano integrale: rendono la persona più libera e responsabile”. Non è casuale che le spese per l’istruzione, che rendono le persone libere e responsabili, siano diminuite. Perché il sistema non vuole persone libere, ma vuole persone asservite al mainstream della cultura dominante.
Di fronte alla diminuzione delle spese per l’istruzione, afferma il papa, “le spese militari, invece, sono aumentate, superando il livello registrato al termine della “guerra fredda”, e sembrano destinate a crescere in modo esorbitante”. È dunque necessario “un cambio nel rapporto tra gli investimenti pubblici nell’educazione e i fondi destinati agli armamenti”. In altre parole, il papa invita i Governi a investire meno soldi in armi e più soldi nell’istruzione.
Questa preoccupazione del papa è condivisa dagli scienziati che nel dicembre scorso hanno rivolto una proposta all’Umanità. È un appello sottoscritto da 50 premi Nobel, fra cui il Dalai Lama e gli scienziati italiani Giorgio Parisi e Carlo Rubbia: “La spesa militare, a livello globale, è raddoppiata dal 2000 ad oggi, arrivando a sfiorare i duemila miliardi di dollari statunitensi all’anno”. Si tratta di “un colossale dispendio di risorse che potrebbero essere utilizzate a scopi migliori”. La proposta consiste in questo: “che i governi di tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite si impegnino ad avviare trattative per una riduzione concordata della spesa militare del 2 per cento ogni anno, per cinque anni. La metà delle risorse sbloccate da questo accordo verrà convogliata in un fondo globale, sotto la vigilanza delle Nazioni Unite, per far fronte alle istanze più pressanti dell’umanità: pandemie, cambiamenti climatici e povertà estrema”. Gli scienziati sottolineano che queste grandi sfide che siamo chiamati ad affrontare potranno essere risolte solo attraverso la collaborazione di tutti.
Purtroppo, di questo importantissimo appello dei premi Nobel è rimasta, sui nostri mezzi di comunicazione, solo una piccola traccia. Infatti, a parte qualche eccezione, questa importante notizia è stata relegata ad un trafiletto, passando quasi del tutto inosservata. Perché, si domanda Domenico Gallo, magistrato e giurista, “nessuno dei leaders politici italiani, ha reputato di spendere una sola parola su questa proposta dei 50 premi Nobel?... Forse perché in questo contesto storico l’orientamento è quello di incrementare, non di ridurre, le spese militari (la NATO pretende che la spesa militare dell’Italia debba passare dagli attuali 26 miliardi di euro a 36 miliardi annui) e la “libidine di servilismo” dei nostri politici impedisce persino di affrontare il tema. Ma il tema resta, con la solidità di un macigno, e la Storia non fa sconti per nessuno”.
Insomma, possiamo fare come gli struzzi e mettere la testa sotto la sabbia per non vedere il problema, ma il problema rimane: moltissime risorse che si potrebbero investire per affrontare la crisi pandemica e climatica si usano invece per moltiplicare in maniera esponenziale le armi da guerra.
Questa proposta dei premi Nobel, in realtà, è una vecchia proposta della Chiesa, da Paolo VI sino a papa Francesco, che nella “Fratelli Tutti” dice: “Con il denaro che si impiega nelle armi e in altre spese militari costituiamo un Fondo mondiale per eliminare finalmente la fame e per lo sviluppo dei Paesi più poveri!” (262).
Domandiamoci: le comunità cristiane, nei vari paesi, hanno raccolto questo appello del papa, ispirato al Vangelo della pace? Come comunità cristiana, abbiamo fatto proposte concrete per ridurre le spese militari e così investire di più nella sanità, l’istruzione e la lotta alla povertà? Se non ci impegniamo in questo, che senso ha celebrare la pace annunciata dagli angeli la notte di Natale?
Nel suo Messaggio per la Giornata della Pace il papa parla di cose molto concrete: di lavoro, di sfida climatica, di disuguaglianze, di spese militari. Generalmente noi pensiamo che la spiritualità non abbia niente a che fare con la concretezza economica e politica della vita. E invece la pace di cui parla Gesù è una pace che si realizza attraverso azioni molto concrete. Se riduciamo la spiritualità a devozionismo disincarnato la pace si riduce ad una parola vuota.
E allora, che gli angeli ci aiutino a dare concretezza e verità alla nostra vita spirituale e alla nostra vita di fede! “Pace in terra agli uomini che ama il Signore!”.
Dopo aver parlato di istruzione e spese militari, il papa, nel suo messaggio, tratta un altro tema fondamentale per la costruzione della pace: il tema del lavoro e del rispetto dei Diritti Umani sul lavoro. A questo proposito Francesco afferma che è necessario “promuovere la cultura della cura”, perché “il profitto non sia l’unico criterio-guida” della nostra economia.
Il papa parte dalla costatazione che “i lavoratori precari sono sempre più vulnerabili”, e che questa vulnerabilità colpisce oggi la maggioranza dell’umanità. Di fatto, “solo un terzo della popolazione mondiale in età lavorativa gode di un sistema di protezione sociale”, cioè gode dei diritti sindacali. Si tratta di una situazione di ingiustizia che, secondo il papa, “soffoca la libertà e la dignità delle persone, avvelenando l’economia e impedendo che si sviluppi il bene comune”.
Qual è la soluzione? “Promuovere in tutto il mondo condizioni lavorative decenti e dignitose, …e far crescere una rinnovata responsabilità sociale”. Per questo è necessario “sollecitare le imprese al rispetto dei diritti umani fondamentali di lavoratrici e lavoratori”.
A chi spetta realizzare tutto questo? Il papa afferma: “Su questo aspetto la politica è chiamata a svolgere un ruolo attivo”. Domandiamoci: come cristiani, come comunità cristiana, stiamo chiedendo ed esigendo ai nostri politici che prendano iniziative concrete per garantire i diritti dei lavoratori e lavoratrici? O è un problema che, come credenti, non ci poniamo nemmeno?
La pace annunciata dagli angeli a Betlemme si realizza, concretamente, anche con questo impegno politico: “Tutti coloro che operano in questo campo, a partire dai lavoratori e dagli imprenditori cattolici, possono trovare sicuri orientamenti nella Dottrina Sociale della Chiesa”, dice Francesco. Noi cristiani conosciamo e seguiamo la Dottrina Sociale della Chiesa, che è l’applicazione del Vangelo dell’amore alla sfera sociale? Siamo interessati a realizzare la pace annunciata dagli angeli?
Anche nell’omelia per la messa di Natale della settimana scorsa il papa, contemplando il presepe, ha parlato dei Diritti dei lavoratori: “Guardiamo ancora una volta al presepe e vediamo che Gesù alla nascita è circondato proprio dai piccoli, dai poveri. Sono i pastori. Erano i più semplici e sono stati i più vicini al Signore. Stavano lì per lavorare, perché erano poveri e la loro vita non aveva orari, ma dipendeva dal gregge. E Gesù nasce lì, vicino a loro, vicino ai dimenticati delle periferie. Viene dove la dignità dell’uomo è messa alla prova… Dio stanotte viene a colmare di dignità la durezza del lavoro. Ci ricorda quanto è importante dare dignità all’uomo con il lavoro, ma anche dare dignità al lavoro dell’uomo, perché l’uomo è signore e non schiavo del lavoro”.
Il papa ci stimola a vivere una spiritualità incarnata: contemplare il presepe implica renderci conto che Gesù vuole essere vicino, prima di tutto, ai dimenticati e agli sfruttati, e vuole che ci impegniamo perché a tutti sia riconosciuta la dignità di essere figli di Dio.
Quando il papa parla di diritti dei lavoratori si riferisce, tra le altre cose, al diritto alla sicurezza sul lavoro, al diritto ad un salario dignitoso, e alla necessità di far rispettare le leggi. Ad esempio, in Ecuador esiste una legge sul salario minimo (che è davvero molto basso), ma in molti casi questa legge non si rispetta, e molte persone lavorano 12 ore al giorno per 10 dollari al giorno. Quindi la questione che pone il papa relativa ai diritti dei lavoratori è intimamente legata a quella delle disuguaglianze crescenti. Il World Inequality Report del 2022 ci conferma che la metà più povera degli abitanti del Pianeta possiede appena il 2% della ricchezza complessiva; mentre il 10% più ricco possiede addirittura il 76% delle risorse mondiali.
Anche in Italia, la metà più povera della popolazione possiede solo il 10% della ricchezza complessiva, mentre il 10% più ricco detiene il 50% delle risorse. Questa disuguaglianza non è frutto della fatalità, ma è il risultato di precise scelte politiche ‘liberiste’, che hanno deregolamentato il mercato del lavoro, hanno moltiplicato le privatizzazioni e smantellato lo Stato sociale.
E anche questo problema è avvolto nella nebbia della pandemia: quasi nessun politico ne parla. Ma grazie a Dio, con il suo Messaggio per la pace, il Papa ci accende una luce che può re-orientare il nostro cammino e indicarci la sfida che attende l’Umanità del Terzo millennio: uscire dall’economia del profitto, che vede l’arricchimento di pochi come unico criterio-guida della nostra economia, e costruire la cultura della cura e della fraternità.
Entrare nella cultura e nell’economia della cura significa dare priorità alla vita del Pianeta e dell’Umanità invece di darla al profitto ‘provvisorio’ di una piccola minoranza. Dico provvisorio perché nel giro di poco tempo neanche questa piccola minoranza potrebbe godere dei suoi smisurati profitti, se poi il pianeta muore. I nostri posteri ci giudicheranno e ci condanneranno duramente per l’ingordigia dei pochi che domina il mondo e per il nostro servilismo a questa ingordigia.
Ancora una volta, quando ci esorta a vivere la pace, il papa parla di cose molto concrete, e ci invita a vedere in tutta la sua drammaticità la realtà che sta davanti ai nostri occhi: abbiamo globalizzato la disuguaglianza, abbiamo globalizzato l’esorbitante spesa militare, l’ingiustizia e il disprezzo dei Diritti Umani. Di fronte a questo, il papa ci chiama ad una grande conversione: “promuovere la cultura della cura”, cioè, passare dall’economia dell’interesse privato e immediato all’economia della fraternità, che si prende cura della comunità e dell’ambiente. Questa conversione non è più differibile: è una questione di vita o di morte!
“Gloria a Dio nei cieli e pace in Terra agli uomini che Egli ama!”. Vi auguro che nel 2022 gli angeli ci aiutino a realizzare questo annuncio con una spiritualità concreta, incarnata nelle sfide della nostra epoca.
Buon Anno!
fr. Alberto