Domenica 4 luglio giugno 2021
Le comunità comboniane più vicine si riuniscono, quando possibile, per celebrare le grandi feste dell’Istituto, come quella del Sacro Cuore di Gesù, celebrata il venerdì 11 giugno. Questo era quanto avevano programmato le comunità portoghesi di Maia e Vila Nova de Famalicão, se uno dei confratelli non fosse risultato positivo al Covid-19. P. José da Silva Vieira, missionario comboniano in attesa di poter partire per l’Etiopia, si è reso disponibile per guidare la riflessione della giornata, che si è poi dovuta svolgere online. La riflessione, intitolata “Il trionfo del Cuore”, è stata registrata anche su YouTube.
IL TRIONFO DEL CUORE
La devozione al Sacro Cuore di Gesù nasce dal racconto della morte di Gesù secondo il vangelo di San Giovanni e la sua solennità è celebrata dalla Chiesa universale fin dal 1856. Fu istituita da papa Pio IX, con il quale Daniele Comboni ebbe una relazione molto intensa. I grandi promotori della devozione erano stati, due secoli prima, San Giovanni Eudes (1601-1680), sacerdote francese che scrisse i primi testi per la celebrazione dei Sacri Cuori di Gesù e Maria, e Santa Margherita Maria Alacoque (1647-1690), monaca del monastero di Paray-le-Monial, alla quale, quando aveva 17 anni, apparve Gesù e le chiese una devozione particolare al suo cuore. La basilica di Estrela, a Lisbona, è la prima chiesa dedicata al Cuore di Gesù.
La spiritualità del Sacro Cuore di Gesù rappresenta il trionfo dell’ottimismo della grazia, promosso dai gesuiti, contro il pessimismo del giansenismo. Il Dizionario Michaelis definisce il giansenismo come “dottrina di Cornelio Giansenio (1585-1638), teologo olandese e vescovo di Ipres, che nega il libero arbitrio ed enfatizza la predestinazione, affermando che la salvezza dell’uomo dipende dalla volontà del creatore e non dalla sua disponibilità alle buone opere”. In senso figurativo, è una “etica severa, austerità, morale e religiosa, estrema”.
La contemplazione del Cuore di Cristo più che una devozione è una spiritualità: sottolinea il volere e il vivere che si recita nella giaculatoria “Gesù mite e umile di cuore, fai che il mio cuore sia come il Tuo”.
È una spiritualità molto attuale e missionaria: la cultura contemporanea, segnata dall’individualismo narcisistico globalizzato, ha bisogno di cuore per essere una cultura della vita. Nella Chiesa, santa Teresa di Lisieux voleva essere l’amore. Nel mondo, noi cristiani dobbiamo essere il cuore. Che deve pulsare al ritmo dei battiti di quello di Gesù.
Questa fu l’intuizione vissuta da san Daniele Comboni. Scrisse: “[il cattolico]” trasportato egli dall’impeto di quella carità accesa con divina vampa sulla pendice del Golgota, ed uscita dal costato del Crocifisso per abbracciare tutta l’umana famiglia, sentì battere più frequenti i palpiti del suo cuore; e una virtù divina parve che lo spingesse a quelle barbare terre, per istringere tra le braccia e dare il bacio di pace e di amore a quegl’infelici suoi fratelli” (Scritti 2742).
Papa Francesco descrive questo percorso contemplativo con la semplicità creativa che gli è propria: “uniti a Gesù, cerchiamo quello che Lui cerca, amiamo quello che Lui ama” (Evangelii gaudium 267).
Ho intitolato questa riflessione “Il trionfo del cuore”. Mi sono ispirato alla rivelazione della Madonna di Fatima ai pastorelli il 13 luglio 1917: “Finalmente il mio cuore immacolato trionferà”. Fatima è il messaggio del trionfo del cuore.
Ho interpretato questa vittoria “cordiale” alla luce dell’iconografia orientale in cui il cuore di Maria è rappresentato da Gesù Bambino.
Il trionfo del cuore di Maria è il trionfo del cuore di Gesù. Inoltre, questa è anche un’intuizione comboniana: i due cuori “lavorano” insieme e sono cuori trionfanti.
Sottolineando il successo delle due sorelle che prepararono tre schiave per il battesimo, Daniele Comboni scrisse nella sua Relazione alla Società di Colonia: “Alla fine vinse la grazia del Cuore di Gesù e di Maria” (Scritti 5315).
1. Cuore mite e umile
Gesù ci fa una proposta che non possiamo rifiutare, un percorso di benessere integrale e olistico: “Venite a me voi che siete stanchi e oppressi e vi darò riposo. Prendete su di voi il mio giogo e imparate da me che sono mite e umile di cuore, e troverete riposo nella vostra vita, perché il mio giogo è dolce e il mio peso leggero” (Mt 11, 28-30).
Gesù fa questa proposta dopo una breve preghiera di lode al Padre, perché i piccoli, più dei saggi e dei sapienti, sono capaci di accogliere la rivelazione di Dio manifestata in Lui.
Questa offerta di Gesù assume una dimensione enorme nella società psicotica in cui viviamo. Gesù fa un’offerta concreta agli affaticati e oppressi, assetati di riposo per il corpo e per il cuore: propone la mansuetudine e l’umiltà di cuore come rimedio per la stanchezza e le depressioni che colpiscono la salute fisica e mentale.
Nel 2018 i portoghesi hanno acquistato più di 10 milioni di confezioni di ansiolitici e quasi 9 milioni di scatole di antidepressivi. Il Portogallo è il quinto maggior consumatore di antidepressivi fra i 19 paesi dell’OCSE, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico.
In una società nevrotica come la nostra, Gesù propone una cura naturale: un cuore mite e umile come risposta alle psicosi e alle depressioni che derivano da una cultura altamente competitiva senza norme ne segnali umanizzanti.
Papa Francesco fa notare con molto buon senso che “se viviamo tesi, arroganti davanti agli altri, finiamo per essere stanchi ed esausti”. E propone una vita d’uscita: “se guardiamo ai limiti e ai difetti degli altri con mansuetudine, senza sentirci superiori, potremo aiutarli ed eviteremo di sprecare energie in lamenti inutili”.
I passi
L’offerta che Gesù ci fa comprende cinque passi.
a) Venite a me… Il primo passo che ci propone è uscire da noi stessi, dalla comfort zone e dai nostri dolori, dall’io per andare fino a Lui, dall’autoreferenzialità al riferimento Trinitario, il Dio-famiglia, il Dio-amore. Lo psichiatra Viktor E. Frankl, nel suo L’uomo in cerca di senso, libro di memorie di tre anni nei campi di sterminio nazisti, scrive: “Quanto più una persona si dimentica di sé – dedicandosi ad una causa o all’amore di un’altra persona – diventa più umana e più fattiva e attuale”.
b) Riconoscere la fatica e l’oppressione. L’invito di Gesù è per gli affaticati e gli oppressi. Per accettare il suo invito è necessario prendere coscienza e dare un nome alla fatica e all’oppressione che pesano su di noi, alle loro cause. Alcune sono personali, altre istituzionali, altre ancora sociali e culturali. Il primo passo per la cura è farsi carico della malattia.
c) Accettare il riposo di Gesù. Gesù ci dà il riposo del suo amore, della sua grazia, del suo abbraccio, della sua pace. Siamo liberi di accettare oppure no.
d) Prendere il suo giogo. Nelle Scritture ebraiche il giogo è la Torah, la legge del Signore. Al tempo di Gesù, la Legge era codificata in 613 prescrizioni: 365 proibizioni (comandamenti negativi) e 248 obblighi (comandamenti positivi). Un fardello morale molto pesante per la mente e il cuore del credente devoto. Gesù riassume la Legge nel triplice amore: per Dio, per il prossimo e per sé stessi. Giovanni, inoltre, dice che l’amore a Dio si traduce in amore al prossimo. Il giogo del Signore è il giogo dell’amore.
e) Imparare la mansuetudine e l’umiltà da Lui. Gesù dice che il rimedio per la fatica e l’oppressione che ci colpiscono sta in un cuore mite e umile. La mitezza di Gesù viene dalla sua umiltà. L’apostolo Paolo inserisce un inno cristologico nella lettera che scrive ai cristiani di Filippo, la città a nord della Grecia che fu porta d’ingresso del cristianesimo in Europa. Prima, lancia una sfida, come introduzione: “Abbiate fra di voi gli stessi sentimenti che sono in Gesù Cristo”.
L’inno canta il processo di svuotamento che Gesù intraprese attraverso il mistero dell’incarnazione: essendo Dio si fece servo, uomo con gli umani, obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo è stato esaltato, proclamato il Signore.
Il Figlio, il Verbo, “umiliò sé stesso” e pose la sua tenda in mezzo a noi, pellegrino fra i pellegrini. Lui è il navigatore nel percorso di pacificazione verso la mitezza.
Nel Discorso della Montagna, Gesù benedice e loda i miti “perché erediteranno la terra” (Mt 5,5).
Celebrare il suo cuore vuol dire assumere l’umiltà e la mitezza come forme di vita in un mondo così devoto al successo individuale, alla fama, alla concorrenza sfrenata.
2. La mistica di Comboni
Daniele Comboni fece una sintesi delle due devozioni – del Sacro Cuore di Gesù e del Buon Pastore – nell’icona comboniana del Cuore Trafitto del Buon Pastore, approfondito da P. Francesco Pierli.
Nella lettera pastorale per la consacrazione del Vicariato al Sacro Cuore, scritta da El Obeid, il 1 agosto 1873, in qualità di pro-vicario apostolico assieme al pro-segretario P. Giuseppe Franceschini, esclama: “siamo profondamente convinti che il giorno faustissimo di questa solenne Consacrazione segnerà un’era novella di misericordia e di pace pel nostro dilettissimo Vicariato e che dal seno misterioso di questo divin Cuore trafitto sgorgheranno torrenti di grazie e fiumi di celesti benedizioni su questo gran popolo a Noi dilettissimo dell’Africa Centrale, su cui pesa ancora tremendo da tanti secoli l’anatema di Canaam” (Scritti 3330).
Circa sei anni dopo, nella Relazione alla Società di Colonia, scritta a Khartoum il 15 febbraio 1879, il santo vescovo afferma: “Il Sacro Cuore di Gesù ha palpitato anche per i popoli neri dell’Africa Centrale e Gesù Cristo è morto anche per gli Africani. Anche l’Africa Centrale verrà accolta da Gesù Cristo, il Buon Pastore, nell’ovile, e il missionario apostolico non può percorrere che la via della Croce del divin Maestro, cosparsa di spine e di fatiche di ogni genere...” (Scritti 5647).
Questi due paragrafi servono da inquadramento teologico per capire la mistica che Comboni ha vissuto e ci propone “col tener sempre gli occhi fissi in Gesù Cristo, amandolo teneramente, e procurando di intendere ognora meglio cosa vuol dire un Dio morto in croce per la salvezza delle anime”, come scrisse nel celebre Capitolo X sulle Norme specifiche per coltivare lo spirito e le virtù degli alunni dell’Istituto nelle Regole del 1871 (Scritti 2721).
Tutti siamo pastori, amministriamo altre persone. Essere pastori secondo il Cuore di Dio significa contemplare il Crocifisso nei crocifissi della società – gli scartati, gli impoveriti, i più poveri e abbandonati – amandoLo teneramente attraverso il servizio ministeriale a queste icone, presenza reale del Signore che continua a soffrire e a morire sulle croci della povertà scandalosa, della disoccupazione, della xenofobia, del razzismo, della violenza domestica e sessuale, dello sfruttamento dei migranti illegali, della solitudine, della malattia, della morte prematura.
Possiamo fare i pastori attraverso l’imperativo morale, combattendo il male con la moralità, cercando di controllare le scelte essenziali delle persone con cui lavoriamo, a volte con discorsi manipolatori. È una scelta che può portare al moralismo come mezzo di servizio missionario e al conseguente distanziamento rispetto ai “peccatori”, perché pensiamo di essere su un piano più alto. Questa era la tentazione dei farisei.
Contemplando il Cuore aperto del Buon Pastore impariamo anche ad essere pastori attraverso le ferite delle persone affidate a noi, del loro peccato personale e sociale. Noi lasciamo che il nostro cuore sia trafitto dalla spada dei dolori di quelli di cui ci prendiamo cura?
Il vecchio Simeone profetizzò a Maria, la madre di Gesù: “una spada ti trafiggerà l’anima” (Lc 2,35). Questa profezia ci può servire da ispirazione: nel rapporto con le persone possiamo lasciarci trafiggere dai loro dolori affinché siano curati dalle nostre piaghe – come Gesù ci ha curato mediante le sue, mantenendole come segno di trionfo e risurrezione – o cadere nella tentazione del moralismo (che di norma addebitiamo ad altri).
Karl Rahner nel suo Il cristiano del futuro scrive che il cristiano del secolo XXI o sarà mistico o non sarà cristiano. Definisce la mistica come “un’esperienza di Dio autentica, che nasce dall’interno dell’esistenza”.
La stessa cosa si applica a noi: il missionario del XXI secolo o è un mistico o non è missionario. Il discepolo missionario è colui che rimane con il Maestro per imparare da lui ed è inviato a facilitare l’esperienza dell’amore tenero e misericordioso della Trinità a coloro che hanno fame e sete di Dio.
In fondo, è questo il dinamismo evangelizzatore che Giovanni preconizza nel prologo della prima lettera: “Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita (poiché la vita si è fatta visibile, noi l’abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi), quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia perfetta”.
La contemplazione è una buona terapia per le aritmie del cuore missionario. La grammatica della contemplazione si coniuga con l’ascoltare, vedere, toccare la Parola della Vita nelle Scritture, nei sacramenti e nella vita di ogni giorno. Solo così possiamo sincronizzare il nostro cuore con quello di Cristo affinché battano assieme per le stesse persone. Solo così siamo pastori secondo il Cuore di Dio, che conducono il gregge del Signore con conoscenza e intelligenza (Ger 3,15).
L’immagine che illustra questa riflessione è un’icona usata dai Comboniani in Egitto nelle attività di animazione missionaria. Si ispira alla cosiddetta icona dell’amicizia o dell’abbraccio, un’opera copta del secolo VI oggi esposta al Museo del Louvre per ricordare san Mena “che diede buona testimonianza del Salvatore”.
L’amicizia, l’abbraccio che Comboni riceve da Gesù, è l’amicizia e l’abbraccio per gli africani. La contemplazione del Cuore Trafitto del Buon Pastore ci porta allo stesso dinamismo: dare ciò che riceviamo, parlare di ciò che sappiamo, testimoniare ciò che viviamo. Paolo è chiaro: “crediamo e per questo parliamo” (2 Cor 4,13)
Papa Francesco ricorda che “La missione è una passione per Gesù ma, al tempo stesso, è una passione per il suo popolo” (Evangelii gaudium, 268).
Il dialogo teso e intenso fra il Signore risorto e Pietro nell’apparizione presso il lago di Tiberiade illustra le dinamiche di questa passione (Gv 21,15-19).
Gesù rinnova l’invito a Simone, figlio di Giovanni, a seguirlo, dopo avergli chiesto: “Mi ami?” per due volte e “Mi vuoi bene?” (una volta). Pietro ripete per tre volte: “Sì, Signore, tu lo sai che ti voglio bene”. Ogni volta che Pietro confessa il suo amore a Gesù, riceve l’imperativo vocazionale “pasci i miei agnelli” (tre volte).
Noi missionari comboniani siamo testimoni dell’amore della Santissima Trinità attraverso il rapporto di amicizia con il Signore risorto vissuto nella vita comunitaria. Solo così possiamo acquisire la resilienza per essere fedeli alla nostra vocazione di testimoni dell’amore misericordioso di Dio espresso da Gesù con la sua vita e il Suo mistero pasquale, attraverso il cuore trafitto dalla lancia e per i nostri dolori.
3. Cuore: territorio della missione
Dalla Evangelii nuntiandi la missione ad gentes ha un’identità geografica molto forte. L’ad gentes fisico è l’ambito della missione.
San Giovanni Paolo II, nella Redemptoris missio, scrive che “non c’è che un’unica missione, dappertutto eguale” (32) e che “la missione ad gentes, in forza del mandato universale di Cristo, non ha confini. Si possono, tuttavia, delineare vari ambiti in cui essa si attua, in modo da avere il quadro reale della situazione” (37).
Gli ambiti che il Papa polacco introduce sono: a) territoriali; b) mondi e fenomeni sociali nuovi, che includono le grandi città, i giovani, i migranti e i rifugiati e le situazioni di povertà; e c) i nuovi areopaghi delle aree culturali, fra i quali emergono i mezzi di comunicazione sociale, le questioni di GPIC e il mondo della cultura, della ricerca scientifica e delle relazioni internazionali.
D’altro canto, nella Christifideles laici, l’esortazione apostolica sulla vocazione e missione dei laici nella Chiesa e nel mondo, del dicembre 1988, aveva scritto che “L’uomo è amato da Dio! È questo il semplicissimo e sconvolgente annuncio del quale la Chiesa è debitrice all’uomo. La parola e la vita di ciascun cristiano possono e devono far risuonare questo annuncio: Dio ti ama, Cristo è venuto per te, per te Cristo è Via, Verità, Vita!” (34).
Questa sintesi rivoluziona il contenuto dell’annuncio che passa dal kerigma (Gesù è nato, vissuto e morto per noi, il Padre lo ha risuscitato e chi crede in lui e si converte avrà la vita eterna) all’amore fontale: Dio ti ama.
Sulla stessa linea, Papa Francesco ha scritto nella Evangelii gaudium: “Ora che la Chiesa desidera vivere un profondo rinnovamento missionario, c’è una forma di predicazione che compete a tutti noi come impegno quotidiano. Si tratta di portare il Vangelo alle persone con cui ciascuno ha a che fare, tanto ai più vicini quanto agli sconosciuti. È la predicazione informale che si può realizzare durante una conversazione ed è anche quella che attua un missionario quando visita una casa. Essere discepolo significa avere la disposizione permanente di portare agli altri l’amore di Gesù e questo avviene spontaneamente in qualsiasi luogo, nella via, nella piazza, al lavoro, in una strada” (127).
L’annuncio dell’amore è soprattutto un dialogo di cuori. Per questo la Conferenza Episcopale Portoghese ha ricordato nella nota pastorale Tudo, todos e sempre em missão, che annunciava l’Anno Missionario 2018-2019, che il cuore è, di fatto, più che la geografia, il territorio della missione. “Dall’incontro con la Persona di Cristo nasce la Missione che non si basa su idee né su territori, ma ‘parte dal cuore’ e si rivolge al cuore, poiché sono ‘i cuori i veri destinatari dell’attività missionaria del Popolo di Dio’”, scrivono i vescovi al n. 7.
Papa Francesco va nella stessa direzione quando afferma, nel Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 2021, che “la buona novella del Vangelo si è diffusa nel mondo grazie a incontri da persona a persona, da cuore a cuore. Uomini e donne che hanno accettato lo stesso invito: ‘Vieni e vedi’, e sono rimaste colpite da un ‘di più’ di umanità che traspariva nello sguardo, nella parola e nei gesti di persone che testimoniavano Gesù Cristo”.
Lo scrittore cattolico giapponese Shusaku Endo, nel suo romanzo Silenzio, ricostruisce alcune lettere di P. Sebastião Rodrigues presumibilmente scritte a Macau nel 1640 mentre il gesuita portoghese attende, ansioso, con un compagno, la nave che li porterà clandestini in Giappone per aiutare i cattolici barbaramente perseguitati dalle autorità e scoprire che cosa è veramente accaduto a P. Cristóvão Ferreira, anziano formatore che si diceva avesse apostatato. L’opera è un vero trattato di missiologia.
Nella prima lettera, il missionario portoghese scrive: “Ancora cinque giorni e suonerà l’ora della partenza. Nessun bagaglio porteremo in Giappone se non il cuore”.
Essendo il cuore il territorio della missione, il cuore è anche il mezzo dell’evangelizzazione. Contemplare il Buon Pastore dal Cuore Trafitto vuol dire imparare da Lui ad amare fino alla fine, fino alla consunzione. Imparare soprattutto la compassione, questo commuoversi fino alle lacrime, questo “tripar” (= commuoversi fino alle viscere), come propone Mons. António Couto, che era la reazione viscerale di Gesù davanti ai mali che affliggevano quelli che lo ascoltavano.
Gesù Cristo non è un’idea, è un amore che si vive e si condivide. Nell’antropologia biblica, pensiamo con il cuore e amiamo con le viscere. Per essere missionari di cuore dobbiamo passare dalla ragione al cuore. Siamo razionalisti per (di) formazione e molte volte cerchiamo di camuffare i sentimenti.
Per essere missionari di cuore dobbiamo abbandonare le paure del rischio di amare e di essere amati. Io ho compreso pienamente la potenza dell’espressione ‘Dio mi ama’ quando ho fatto esperienza di un amore contraccambiato.
Papa Francesco ha fatto della tenerezza la quarta virtù teologale. Dobbiamo sviluppare l’emisfero destro del nostro cervello per essere più affettivi invece di voler essere più effettivi.
Francesco, nella Laudato Si’, scrive che dobbiamo “ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri” (49).
Questo ascoltare olistico fa di noi dei missionari dell’ecologia integrale. I nostri antenati uccidevano e cacciavano per necessità, alcuni lo facevano per il piacere sottile di uccidere. Oggi siamo chiamati a prenderci cura della casa comune e di tutti i suoi abitanti attraverso una vita più sobria e sostenibile, riducendo il consumo e aumentando il riciclaggio e la separazione dei rifiuti.
Il Vaticano, alla fine di maggio, ha lanciato la Piattaforma di azione Laudato si’, con un percorso di sette anni per mettere in atto l’applicazione dell’enciclica che ha cinque anni.
Afferma: “L’Adozione di stili di vita sostenibili si fonda sull’idea di sufficienza e promuove la sobrietà nell’uso delle risorse e dell’energia. Le azioni potrebbero includere la riduzione dei rifiuti e il riciclo, l’adozione di abitudini alimentari sostenibili (optando per una dieta più a base di vegetali e riducendo il consumo di carne), un maggiore uso dei trasporti pubblici, la mobilità attiva (camminare, andare in bicicletta) ed evitare l’uso di articoli monouso (ad esempio plastica, eccetera”.
Alcuni gesti missionari concreti: riciclare le capsule del caffè (molto pratiche ma anche inquinanti), separando il contenuto dalla plastica o alluminio; comprare prodotti sfusi invece che in piccole confezioni, mangiare meno carne e più legumi…
La missione è un torrente di amorevolezza che dal cuore della Trinità va al cuore dell’intera Creazione attraverso i nostri cuori.
4. Cuore: casa di Dio
Propongo, infine, di contemplare il Cuore Trafitto del Buon Pastore come chiave interpretativa per la religiosità post-moderna, uno sguardo ad un futuro già presente.
Partiamo da un dato innegabile: la secolarizzazione sta avanzando a grandi passi soprattutto nell’emisfero nord e le istituzioni religiose stanno perdendo utilità e influenza. I più giovani aderiscono di meno alle forme organizzate di religiosità: il 27 per cento dei nordamericani e l’11 per cento degli europei si definiscono spirituali ma non religiosi, secondo uno studio del Pew Institute.
Siamo agenti di pastorale. Andiamo verso la disoccupazione? Non credo. Ma dobbiamo “riciclare” il servizio missionario: passare da un approccio istituzionale e strutturale alla missione del cuore attraverso la mistica dell’incontro. Un cambiamento d’epoca esige un cambiamento del paradigma della missione.
L’etimo di religione è religare (legare, unire di nuovo) o relegere (rileggere, rivisitare). Il prefisso re chiede una costante attualizzazione del legare o del leggere.
La ricerca spirituale delle nuove generazioni si rivela attraverso stili di vita più armoniosi. I segni di questa ricerca spirituale passano attraverso l’ecologia, la meditazione, lo yoga, i ritiri, l’armonia con il creato: vite ecologicamente sostenute, ancorate nel vegetarianesimo o nel veganesimo, che è un modo radicale di vivere vegetariano. Entrambi sono la manifestazione di una compassione integrale per le persone e gli animali.
D’altra parte, la secolarizzazione non uccide la fede, ma la purifica, la riporta all’essenziale: la relazione cordiale con Dio, con i fratelli e con la natura. È nel cuore che si trova l’epicentro della religione.
Gesù risponde al fariseo che cerca una sintesi della fede che l’essenziale è amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stessi, citando i libri del Deuteronomio e del Levitico (Mc, 29-31). Paolo è più radicale: “tutta la legge trova la sua pienezza in un solo precetto: ama il prossimo tuo come te stesso (Gal 5,14).
Leggiamo nella profezia di Geremia, capitolo 31, 31-34: “‘Ecco, i giorni vengono’, dice il Signore ‘in cui io farò un nuovo patto con la casa d’Israele e con la casa di Giuda; non come il patto che feci con i loro padri il giorno che li presi per mano per condurli fuori dal paese d’Egitto: patto che essi violarono, sebbene io fossi loro signore’, dice il Signore; ‘ma questo è il patto che farò con la casa d’Israele, dopo quei giorni’, dice il Signore: ‘io metterò la mia legge nell’intimo loro, la scriverò sul loro cuore, e io sarò loro Dio, ed essi saranno mio popolo. Nessuno istruirà più il suo compagno o il proprio fratello, dicendo: Conoscete il Signore! poiché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande’, dice il Signore ‘Poiché io perdonerò la loro iniquità, non mi ricorderò del loro peccato’”.
La profezia di Geremia annuncia il passaggio da una religione organizzata – la religione pietrificata del tempio e della casta sacerdotale, clericale – verso una relazione cordiale con Dio, impressa nel cuore.
In questa alleanza nuova ed eterna “nessuno istruirà più il suo compagno o il proprio fratello, dicendo: Conoscete il Signore! poiché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande”, dice il Signore ‘Poiché io perdonerò la loro iniquità, non mi ricorderò del loro peccato’, sottolinea il versetto 34.
Forse è per questo che la città santa, la nuova Gerusalemme scesa dal cielo, non ha tempio: “Non vidi in essa alcun tempio, perché il Signore Dio onnipotente e l’Agnello sono il suo tempio” (Ap 21, 22).
Lo squarciarsi della cortina del Tempio nel momento in cui Gesù consegna lo spirito al Padre ha proprio questo significato: il mistero di Dio diventa accessibile a tutti! Non ci sono né barriere né controllori del divino per mediare la relazione fra Dio e il suo popolo.
Paolo parla spesso del cristiano come la nuova casa di Dio. “Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?” chiede ai cristiani di Corinto (1 Cor 3,16; 6,19). Pietro dice che siamo pietre di un edificio spirituale (1 Pt 2,5).
D’altro canto, Gesù dice alla samaritana che “l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna (Gv 4,14).
Etty Illesum, la giovane ebrea olandese morta da Auschwitz, aveva scritto nel suo diario: «Dentro di me c’è un pozzo molto profondo. E lì dentro c’è Dio. A volte riesco ad arrivarci. Ma molto spesso ci sono sassi e terra nel pozzo, e Dio è sepolto lì sotto. Allora è necessario dissotterrarlo».
Papa Francesco scrive al n. 88 della Fratelli tutti: “Dall’intimo di ogni cuore, l’amore crea legami e allarga l’esistenza quando fa uscire la persona da sé stessa verso l’altro. Siamo fatti per l’amore e c’è in ognuno di noi una specie di legge di ‘estasi’: uscire da sé stessi per trovare negli altri un accrescimento di essere”. Perciò “in ogni caso l’uomo deve pure decidersi una volta ad uscire d’un balzo da sé stesso”.
È l’amore che ci fa uscire dalla confort zone e ci apre a Dio e agli altri, perché “Dio è amore”, come non cessa di ripetere Giovanni nella prima lettera.
Ecco perché la secolarizzazione sta promuovendo una religione del cuore, basata su una spiritualità personale, cordiale. Che deve recuperare la dimensione comunitaria.
Contemplare il Cuore di Cristo ci porta ad essere missionari di cuore e con il cuore, che rivelano il Cuore della Santissima Trinità e sono punto di incontro con il cuore di tutti gli uomini e donne, con il grande cuore dell’Universo.
Preghiera finale
Terminiamo questa riflessione recitando assieme la preghiera cristiana ecumenica, l’ultima delle due preghiere con le quali Papa Francesco conclude l’enciclica Fratelli tutti. Queste parole esprimano il nostro desiderio di vivere di più a partire dal cuore.
Dio nostro, Trinità d’amore,
dalla potente comunione della tua intimità divina
effondi in mezzo a noi il fiume dell’amore fraterno.
Donaci l’amore che traspariva nei gesti di Gesù,
nella sua famiglia di Nazaret e nella prima comunità cristiana.
Concedi a noi cristiani di vivere il Vangelo
e di riconoscere Cristo in ogni essere umano,
per vederlo crocifisso nelle angosce degli abbandonati
e dei dimenticati di questo mondo
e risorto in ogni fratello che si rialza in piedi.
Vieni, Spirito Santo! Mostraci la tua bellezza
riflessa in tutti i popoli della terra,
per scoprire che tutti sono importanti,
che tutti sono necessari, che sono volti differenti
della stessa umanità amata da Dio. Amen.