Sabato 13 giugno 2015
La comunità della Curia ha celebrato ieri la solennità del Sacro Cuore con i Comboniani presenti a Roma, alcune Comboniane, e un gruppo di amici e benefattori. La messa della festa è stata presieduta da P. Tesfaye Tadesse Gebresilasie, assistente generale. P. Tesfaye ha ricordato i confratelli che vivono la missione con generosità e creatività continua nelle missioni difficili in Centrafrica, Sud Sudan, Sudan, Bambilo in Congo come ci parlava P. Joseph Mumbere, provinciale della circoscrizione comboniana del Congo, nel secondo giorno del triduo di preparazione alla festa del Sacro Cuore. Pubblichiamo qui di seguito l’omelia proferita durante la Messa.

 

OMELIA
per la festa liturgica
del Sacro Cuore di Gesù
a Roma

“Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua. Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate”.

Il Vangelo di oggi ci presenta Gesù già morto sulla Croce, che si dona fino all’ultimo punto. Stiamo contemplando i gesti del suo amore per tutti noi. Siamo invitati a credere di più, che Gesù è il segno dell’amore di Dio, della vicinanza di Dio e della sua misericordia. Gesù è stato così generoso con tutta l’umanità, con noi, fino alla fine, anche quando c’è l’odio di chi lo vede già morto, ma colpisce ugualmente il fianco del proprio Salvatore appeso a una croce. Dio fa di quest’occasione dolorosa una possibilità per indicare a noi che ha lavato i nostri peccati con il suo sangue versato sulla croce e con l’acqua del suo Spirito con cui siamo battezzati.

Il nostro Dio è un Dio che ama e che si dona. Il nostro Dio è un Dio che è solidale con l’uomo, il cui sangue è versato per i peccati altrui. Il nostro Dio non chiede sacrifici di animali o di persone umane. Il Dio in cui crediamo ci invita ad avere fede, non con la forza ma con l’amore e ci dice, condividete il mio amore, la mia consolazione e il mio incoraggiamento con i vostri fratelli e le vostre sorelle. Non è un Dio che ci chiede di uccidere gli altri, di tagliare loro la gola a causa sua, ma è un Dio che si lascia ferire il fianco per condividere, anche da morto, l’esperienza umana. Preghiamo affinché lo spirito di Dio ci guida a fare, più esperienza di Gesù che si dona a tutti noi e così possiamo continuare a cantare con Isaia come l’abbiamo fatto nel salmo responsoriale:
Ecco, Dio è la mia salvezza;
io avrò fiducia, non avrò timore,
perché mia forza e mio canto è il Signore;
egli è stato la mia salvezza.

Io, sta sera vorrei invitare tutti voi a ringraziare Dio, per quello che ha fatto nella nostra vita, personale, di comunità/di famiglia e nel nostro impegno-servizio pastorale, grazie all’incontro con Gesù e alla scoperta del suo amore per noi e per l’umanità.

1. A livello personale, l’incontro con Gesù mi ha dato un grande senso di dignità, perché credo che ci sia uno spazio per me nel cuore di Gesù, come individuo, come persona, come credente, come discepolo. Anche se mi resta molto da camminare, dopo il lungo cammino che ho fatto nell’incontro e di contemplazione di Cristo, sono uno che si sente accolto e consolato da Dio. Quando penso ai miei peccati, mi meraviglio del fatto che mi rialzo e non voglio rimanere schiavo dei miei peccati, ma voglio combattere spiritualmente; sì, grazie all’opera dello Spirito Santo mi sento accolto come sono e lavato dal suo sangue dai miei peccati. Grazie alla preghiera e alla contemplazione di Gesù uomo e Dio vicino a me, continuo la mia esperienza di vita spirituale e sento che Gesù dal suo cuore che mi ama, mi ha dato l’acqua che zampilla e lo Spirito che mi rinfresca nella mia vita di ogni giorno. Mi sento avvicinato da un Dio che m’insegna a camminare tenendomi per mano, un Dio che si china su di me per darmi da mangiare, un Dio misericordioso che si commuove per me, per mio fratello e mia sorella. Questa esperienza spirituale mi riempie di gioia, di serenità, di pace nel cuore, per questo dico grazie Gesù.

2. A livello di vita fraterna, sì, l’aver scoperto che il cuore di Dio palpita, si preoccupa per noi, ci ha reso capaci di comprendere che Dio ama anche i nostri fratelli e le nostre sorelle e vediamo che siamo chiamati a vivere la fraternità e le relazioni nel modo giusto e fecondo. Riusciamo a vedere che Gesù ha un cuore umano e che noi siamo chiamati a umanizzare, a fraternizzare. Come mai nel mondo, dove c’è a volte odio, divisione, pregiudizio, noi predichiamo unità nella diversità, comunione, uguaglianza? Come mai, a volte persino i nostri familiari, i nostri amici, quelli del nostro paese, quelli della nostra tribù, la pensano diversamente e noi ci impegniamo a fraternizzare con alcuni considerati lontani e nemici? Sebbene diventiamo tesi e nervosi fra noi e avvolte ci maltrattiamo reciprocamente, riusciamo a pazientare e cerchiamo di perdonarci avvicenda. Grazie a Dio, siamo diventati cosi capaci a sopportare il limite del nostro fratello e della nostra sorella, come loro sono pazienti con noi. Noi abbiamo imparato ad aspettare con pazienza, attendendo che la verità e la cosa giusta venga fuori, anche se si fa fatica. Ecco, siamo sorpresi, per quello che Dio ha potuto fare nella nostra fraternità. Certo, che c’è da camminare, però vogliamo celebrare l’esperienza buona già fatta? I nostri peccati e i nostri scandali sono diventati scuola di umiltà e di purificazione. Siamo più coscienti, che viviamo quotidianamente di questo perdono di Dio, ricevendolo e condividendolo con altri. San Paolo nella seconda lettura, ci fa gli auguri credendo che vale la pena imparare per avere il cuore secondo Dio:
“Che il Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori, e così, radicati e fondati nella carità, siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e di conoscere l’amore di Cristo che supera ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio”.

3. A livello d’impegno di evangelizzazione; io, vorrei che tutti ringraziassimo il Signore perché la conoscenza del suo cuore per l’umanità ci ha fatto apostoli del suo Vangelo. Il Signore ci ha mandato a camminare nella fede, speranza e carità insieme ai nostri fratelli e alle nostre sorelle e gli siamo grati perché siamo diventati capace di condividere quello che crediamo, nella proclamazione, nella testimonianza e nel servizio. Come strumento nelle sue mani, siamo diventati quella parola di consolazione che faccia incontrare i popoli, il Signore che li ama e vogliamo dire a loro:
Attingerete acqua con gioia
alle sorgenti della salvezza.
Rendete grazie al Signore e invocate il suo nome


Un apostolato generoso
che viene fuori da un’esperienza
di contemplazione di Cristo

La seconda lettura che abbiamo ascoltato oggi ci ricorda l’esperienza di Paolo (Efesini, 3, 8-12,14-9) e noi ci ricordiamo quanto il nostro cuore sia rafforzato nell’uomo interiore. Quante volte siamo andati con la nostra realtà di discepolato e di apostolato davanti a Dio, abbiamo pregato, abbiamo pianto e ne siamo usciti, rialzati da nostro dolore, rafforzati.

“Fratelli, a me, che sono l’ultimo fra tutti i santi, è stata concessa questa grazia: annunciare alle genti le impenetrabili ricchezze di Cristo e illuminare tutti sulla attuazione del mistero nascosto da secoli in Dio, creatore dell’universo, secondo il progetto eterno che egli ha attuato in Cristo Gesù nostro Signore, nel quale abbiamo la libertà di accedere a Dio in piena fiducia mediante la fede in lui. Per questo io piego le ginocchia davanti al Padre, dal quale ha origine ogni discendenza in cielo e sulla terra, perché vi conceda, secondo la ricchezza della sua gloria, di essere potentemente rafforzati nell’uomo interiore mediante il suo Spirito”.

San Daniele Comboni durante la beatificazione di Santa Margherita Maria Alacoque, nel settembre 1864, dopo aver letto un libretto sulla vita della Santa, si lascia guidare dallo Spirito Santo al punto di scrivere il Piano per la Rigenerazione dell’Africa. Lui, aveva cominciato da ragazzo a praticare la devozione al Sacro Cuore nella scuola Mazziana, fa un grande salto: per lui oggi il Sacro Cuore non è solo una devozione pietistica ma una forza che spinge a pianificare per la missione.

Io non voglio tacerle qui che, allorché la S. Sede mi ha affidato questa vasta e laboriosa Missione, la mia coscienza era un po' titubante, perché conoscevo la mia piccolezza di fronte a questo mandato enorme che Dio mi ha affidato tramite il suo augusto Vicario Pio IX. Allora io ho pensato che con le nostre forze non riusciremo mai a fondare il cattolicesimo in queste immense regioni dove la Chiesa, malgrado gli sforzi di tanti secoli, non è giammai riuscita. Allora ho gettato tutta la mia confidenza nel Sacro Cuore di Gesù e ho stabilito di consacrare tutto il Vicariato al Sacro Cuore di Gesù il 14 settembre prossimo. A questo scopo ho inviato una circolare per fare questa grande solennità e ho pregato l'apostolo ammirabile del S. Cuore, il P. Ramière, a redigere l'atto di Consacrazione solenne, ciò che egli ha fatto. Glielo invierò” (S 3318, a Mons Joseph de Girardin, 31/07/1873).

Grazie per quello che Dio fa attraverso il suo Spirito, viviamo la missione con generosità, basta pensare e chiedersi come vivono nella creatività continua i nostri confratelli nelle missioni difficili in RCA, Sud Sudan, Sudan, Bambilo in Congo come ci parlava p. Joseph Mumbere nel secondo giorno del triduo di preparazione, o a Chitima in Mozambico, ecc.


Un apostolato
che mi fa capace di accogliere
con amore e rispetto la gente

Comboni, cresciuto contemplando il Sacro Cuore di Gesù, diventa così profondo quando dice:
Il Sacro Cuore di Gesù ha palpitato anche per i popoli neri dell'Africa Centrale e Gesù Cristo è morto anche per gli Africani. Anche l'Africa Centrale verrà accolta da Gesù Cristo, il Buon Pastore, nell'ovile, e il missionario apostolico non può percorrere che la via della Croce del divin Maestro, cosparsa di spine e di fatiche di ogni genere. "Non pervenitur ad magna praemia nisi per magnos labores". Il vero apostolo quindi non può aver paura di nessuna difficoltà e nemmeno della morte. La croce e il martirio sono il suo trionfo” (S 5647).

Ho in mente l’esempio di un confratello che ha amato la nostra gente, che aveva un ascolto rispettoso e un modo gioioso, consolante, di andare incontro a chi soffriva: P. Ivo Martins do Vale, comboniano portoghese, che ha lavorato 16 anni in Etiopia, morto a 57 anni il 27 agosto 2009. Quando nell’agosto del 2009, venendo dall’Etiopia per partecipare al Capitolo Generale qui a Roma, andai a trovarlo a Viseu, per ringraziarlo a nome dei confratelli della provincia per la sua testimonianza, lui, dal suo letto di moribondo, mi chiese per tutto il pomeriggio della gente che aveva amato e servito. Quando me ne andai – ero appena arrivato a Lisbona – mi telefonò chiedendomi di salutare le persone. Due giorni dopo è morto. Sì, P. Ivo aveva un sorriso per tutti, una capacità di ascolto, trovava una sedia per fare sedere la persona e la ascoltava. Ricordo quando diceva che nelle nostre case bisogna avere uno spazio per accogliere la gente, un parlatorio, si è sempre interessato alla vita della sua gente.


Un servizio missionario
disinteressato

Un servizio disinteressato, il Signore fa grande il mio cuore, al punto di dimenticare me stesso e concentrarmi sulla gente e sulla missione. Mi sorprende che io, pauroso, egoista, sia diventato capace di gesti di generosità e di umanità. Per questo ringrazio il signore.

“Uniti a Gesù, cerchiamo quello che Lui cerca, amiamo quello che Lui ama. In definitiva, quello che cerchiamo è la gloria del Padre, viviamo e agiamo «a lode dello splendore della sua grazia» (Ef 1,6). Se vogliamo donarci a fondo e con costanza, dobbiamo spingerci oltre ogni altra motivazione. Questo è il movente definitivo, il più profondo, il più grande, la ragione e il senso ultimo di tutto il resto. Si tratta della gloria del Padre, che Gesù ha cercato nel corso di tutta la sua esistenza. Egli è il Figlio eternamente felice con tutto il suo essere «nel seno del Padre» (Gv 1,18). Se siamo missionari è anzitutto perché Gesù ci ha detto: «In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto» (Gv 15,8). Al di là del fatto che ci convenga o meno, che ci interessi o no, che ci serva oppure no, al di là dei piccoli limiti dei nostri desideri, della nostra comprensione e delle nostre motivazioni, noi evangelizziamo per la maggior gloria del Padre che ci ama” (EG 267).

Siamo grati al Signore per quello che ha fatto in noi, grazie al suo amore, grazie alla sua forza, perché siamo chiamati a evangelizzare per la maggior gloria a Dio e per servire l’umanità, Che Dio ci aiuti tutti noi. Amen.
P. Tesfay Tadesse