Giovedì 3 luglio 2014
Dalle favelas sudamericane agli slum africani, 32 dei 54 sacerdoti che furono ordinati il 28 giugno del 1964 si sono riabbracciati a Verona, in Italia. Il momento culminante dell’incontro è stata la celebrazione del 22 giugno, domenica, nel Tempio Votivo di Verona, dove ben 54 dei 62 erano stati ordinati il 28 giugno 1964 dal Card. Agagianian, allora Prefetto di Propaganda Fide. Il superiore generale, P. Enrique Sánchez G. ha presieduto l’Eucaristia. Era presente anche il superiore provinciale d’Italia, P. Giovanni Munari.
Quelli del 1964:
50 anni di vita sacerdotale
Erano 62 i comboniani ordinati nel 1964: sudanesi, egiziani, portoghesi, spagnoli, irlandesi, inglesi, tedeschi, austriaci e italiani. Di quei 62, sedici sono morti, qualcuno, come P. Egidio Ferracin, in situazioni tragiche di martirio, e quattordici hanno lasciato l’Istituto (due di questi sono rimasti sacerdoti). Quindi, 32 sono oggi viventi e comboniani, attivi sul campo: 25 di questi si sono ritrovati dal 19 al 23 giugno a Limone, Verona e Bressanone; alcuni non si vedevano dall’anno dell’ordinazione.
Sono state giornate interessanti, passate a raccontare la missione, a ritornare alle fonti, a ringraziare il Signore, Comboni, i comboniani e tanta altra gente. Questi confratelli, nonostante qualche acciacco, non si sentono dei pensionati a riposo, sono pronti, tutti, a ripartire “in missione”.
Il momento culminante dell’incontro è stata la celebrazione del 22 giugno, nel Tempio Votivo di Verona, dove ben 54 dei 62 erano stati ordinati il 28 giugno 1964 dal Card. Agagianian, allora Prefetto di Propaganda Fide.
Ha presieduto l’Eucaristia il Superiore Generale, P. Enrique Sánchez G., cui va un sincero grazie. Era presente anche il provinciale d’Italia, P. Giovanni Munari. Ottima l’accoglienza dei sacerdoti diocesani della parrocchia, don Carlo e don Mario, e della gente. Anche la stampa, la radio e la TV di Verona hanno dato notevole rilievo all’evento. Un sincero grazie ai confratelli delle comunità che ci hanno accolto. Ciascuno dei 32 celebrerà la ricorrenza anche nelle parrocchie d’origine o in missione. Ad multos annos.
Missionari comboniani festeggiano 50 anni di missione nel mondo
Cinquant'anni fa, il 28 giugno, 54 ragazzi venivano ordinati sacerdoti al Tempio Votivo. Oggi non hanno più i capelli neri di allora, quando ricevettero il sacramento dal cardinale armeno Gregorio Agagianian, ancora voltato di spalle secondo il rito preconciliare. E anche il numero dei presenti non è più lo stesso. Nella chiesa costruita dopo la seconda guerra mondiale – ringraziamento dei veronesi per la salvezza dai bombardamenti – oggi si contano 32 teste incanutite sopra altrettante tonache bianche.
Ma lo spirito è immutato. Anzi, forse addirittura più forte, dopo mezzo secolo di missione sulle orme di San Daniele Comboni, a costruire scuole e pozzi, chiese e ambulatori, e ad abitare con gli ultimi della Terra nelle favelas sudamericane o negli slum africani.
La «classe del 1964», come amano chiamarsi questi padri comboniani, si è radunata qui da ogni parte del globo per festeggiare l'importante ricorrenza comune. Di nuovo insieme, alcuni per la prima volta da allora.
Ci sono i veronesi d'origine – Giuseppe Ambrosi di Domegliara, Sergio Chesini di Pedemonte, Romeo De Berti di Sorgà, Pasquino Panato di Vestenavecchia – e i veronesi d'adozione, come il varesino Venanzio Milani, che dopo l'esperienza in Congo è entrato nella direzione generale della Congregazione, girando sessanta Paesi, e ora è curatore del Museo Africano a San Giovanni in Valle.
C'è Alex Zanotelli, nato a Livo in Trentino, per tanti anni direttore di Nigrizia qui a Verona e poi in missione nella baraccopoli di Korogocho, alle porte di Nairobi, e adesso all'opera nel rione Sanità, a Napoli. E poi gli altri: tutti fulminati sulla via di Limone del Garda dal carisma comboniano. Spiritualmente, di certo, sono presenti anche i padri passati dall'altra parte, come Egidio Ferracin, vittima di un feroce agguato nella sua missione in Uganda, nel 1987.
Li riaccolgono a «casa» i parroci del Tempio Votivo, don Carlo Vinco e don Mario Basso: pure loro, in un certo senso, preti di frontiera in quest'angolo di periferia degradata attorno alla stazione di Porta Nuova. «Cinquant'anni fa eravate tutti qui, con la speranza di cambiare il mondo», li saluta don Vinco. «Adesso, tornate per ringraziare del lungo tempo di sforzi e sofferenze, ma anche di tanta gioia».
La messa è celebrata dal superiore generale dei comboniani, padre Henrique Sanchez Gonzalez: «Si moltiplicano i ricordi dei tanti incontri lungo le strade della missione. Oggi rammentiamo il passato, ma non senza guardare al futuro. Il lavoro non è finito, e presto anche voi farete ritorno nei luoghi in cui continuerete a essere utili».
Alla fine, viene letto il telegramma di «fervidi auguri» inviato da papa Francesco tramite il segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin.
I primi anni Sessanta erano tempi di decolonizzazione, di lotte contro la segregazione razziale e per i diritti civili in diverse parti del mondo. Erano, insomma, anni fertili per le grandi speranze di rinnovamento.
«Siamo stati ordinati durante il Concilio Vaticano secondo», sottolinea infatti padre Pietro Settin, vicentino. «Sognavamo una chiesa aperta, capace di dialogare. Se non ci si apriva, i giovani avrebbero riso di noi. Non fu sempre facile reinventare il progetto missionario. A chi era troppo legato al modello di Chiesa assimilato negli anni della formazione riuscì difficile. Molti di noi, comunque, hanno saputo essere segno del regno di Dio nel mondo. Anche per questo rendiamo grazie».
E in tempo di globalizzazione e di grandi migrazioni qual è il senso della missione?
Risponde padre Zanotelli: «Camminare con gli ultimi non basta più. Occorre rivoltare dalle fondamenta il sistema economico che consente a pochi di possedere quasi tutto, lasciando le briciole alla maggior parte della popolazione mondiale. È il pianeta stesso, inquinato e devastato, a gridarci che dobbiamo cambiare, pena l'autodistruzione dell'umanità. Pace, giustizia, e difesa del creato. La Chiesa che sogno, e che si sta manifestando, giocherà un grosso ruolo nel toccare le coscienze».
[L’Arena: Lorenza Costantino]