In Pace Christi

Dal Bosco Alessandro

Dal Bosco Alessandro
Data de nascimento : 23/08/1830
Local de nascimento : Breonio VR/I
Data da morte : 15/12/1868
Local da morte : Verona/I

Nacque a Breonio (Verona) il 23 agosto 1830; alunno dell'Istituto Mazza dal 1845, sacerdote nel 1855, fece parte della seconda spedizione del Mazza in Africa (1857-59), restando a Khartoum come procuratore dei mazziani di S. Croce. Dopo la morte del Knoblecher (Napoli, 13 aprile 1858) e del Gostner a Khartoum (16 dello stesso mese ed anno), Dal Bosco rimase 1'unico sacerdote a Khartoum, fino al ritorno degli altri mazziani da S. Croce il 4 aprile 1859. In quell'anno gravarono su di lui, oltre le incombenze del ministero e d'ufficio, anche il peso della scuola e la sorveglianza degli alunni e operai secolari, "che gli dettero da fare assai più che non possa dirsi" (Melotto, Zibaldone: A/12/1/51). Rimase nuovamente solo dal 1° dicembre 1859 al 29 marzo I860, mentre Beltrame si recava sul Nilo Bianco a sgombrare le stazioni di Gondokoro e S. Croce (Grancelli scrive Dal Bosco invece di Beltrame: M. 46; ma è evidentemente uno scambio di nomi, perché tutte le altre fonti hanno Beltrame: Morlang, 231; A. Spagnolo, 178-9; Crestani, 194-5). Il 20 luglio 1860 anche Beltrame e Dal Bosco lasciarono definitivamente Khartoum per Scellal, giungendovi l’11 settembre, ripartendo a metà dicembre 1861 per Verona, dove arrivarono ai primi di febbraio 1862.

Al suo ritorno, Dal Bosco fu per qualche tempo vicerettore del collegio Mazza. Uscito poi per salute, fu direttore spirituale dell'ospedale di Legnago fino al 1867, quando il Canossa lo invitò ad assumere 1'incarico di primo rettore del nuovo istituto africano aperto dal Comboni a S. Pietro Incarnario in Verona, dove era atteso ai primi di agosto 1867. Purtroppo 1'anno seguente, tornato ammalato dalla Germania, si spegneva a Verona all'età di 38 anni.

Abbondanti informazioni su di lui si possono leggere su Archivio Com-boniano, negli anni relativi. P. Cirillo Tescaroli ne ha tracciato un breve profilo in Note Mazziane, 1969, 1 (A/241/32/9-13). Ma il migliore tributo lo scrisse lo stesso Comboni nella sua relazione alla Società di Colonia per il 1871 (n. 18,10-100):

"Nominai Superiore del Collegio il pio e dotto Don Alessandro Dal Bosco, che prima lavorò con me come missionario nell'Africa Centrale. Non si poteva pensare a una persona più indicata per questo compito. Un uomo austero di costumi, profondo conoscitore dello spirito umano e de­gli ostacoli dell'attività missionaria nell'Africa Centrale, amabile nel tratto, convincente nei suoi argomenti, profondo conoscitore della dogmatica, della morale, del diritto canonico, delle leggi canoniche orientali, della storia e dei costumi dell'oriente, delle tribù nere, dell'arabo, italiano, francese, tedesco, inglese, nubano e greco etc. A noi parve che in questo uomo il cielo avesse fatto un regalo alla nascente opera per la quale egli diede la vita. Ma purtroppo egli si sentì colpito dagli strapazzi dell'apostolato in Africa, tanto più che soffriva di una malattia addominale, che incominciò a svilupparsi ancora a Khartoum e che nel laborioso disimpegno del suo ufficio aveva trascurato nei quattro anni da lui trascorsi a Legnago. Di ritorno dall'assemblea generale di Bamberga, dovette tenere il letto per mesi e il 15 dicembre 1868 morì la-sciando nuovamente orfano il nostro piccolo collegio missionario di Ve­rona ed anche 1'Opera del Buon Pastore, nella quale egli aveva 1'ufficio di segretario. Questa fu una perdita amara per il Collegio di Verona" (Arch. Comb. 1980, 1, 120).

Il 25 settembre 1868 Comboni aveva scritto da Parigi al card. Barnabò: "D. Aless. Dal Bosco è una perla pel Seminario di Verona" (Arch. Comb. 1977, 2,33). Questo eloquente elogio sarebbe più che sufficiente per farci ricordare con riconoscenza la dolce figura di Don Alessandro Dal Bosco. Ma ci sono in archivio anche due sue lettere al Comboni, che confermano quale intimità di sentimenti unisse i due amici. Meritano di essere citate almeno in parte.

"Verona, 7 maggio 1868. Io attendevo una tua, e tu forse attendi una mia. Spero che fra breve riceverò qualche tuo scritto; ma da parte mia non voglio indugiare di più a scriverti. A dirtelo, il tuo silenzio mi dà pena, ed ho paura che il motivo ne sia la strettezza della economia. Ci penso spesso, ma non saprei come aiutarti. Ne parlo poco anche con Monsignore, perché 1'argomento lo agita. Comunque sia preghiamo, e il buon Dio non ci abbandonerà.

"Sei stato offeso della penultima mia a cui rispondesti dal Cairo? Spero che no, poiché io conosceva beni i sentimenti tuoi; ma mi fece impressione il modo di esprimersi del missionari; e più ancora mi faceva paura il pensiero, che potesse nascere fra voi qualche disparere e in conseguenza qualche scissura. Questo fu il motivo per cui parlai a quel modo. Stiano dunque tranquilli i missionari, che non c'è nulla da temere". E dopo aver accennato alle buone intenzioni e attività di Girard nel far conoscere 1'Opera del Buon Pastore in Francia continua: "Subito subito non se ne vedranno gli effetti; ma come osserva benissimo Girard, giova che 1'opera sia conosciuta per poter essere amata; e quindi è sempre un guadagno per noi il farla conoscere più presto che si può. Oh! speriamo: è il Cuore adorabile del Buon Pastore che dispone le cose. Ei saprà aprirsi la strada e sostenere 1'opera sua".

Dopo un cenno al camilliano p. Tezza e al Rolleri, conclude: "In quanto a me, non so come farò. Penso di compilare pel giugno un numero (che sarà il primo) de' nostri annali: ma viva il cielo, il tempo e le forze mi mancano. Eppure capisco che bisogna che vi riesca io, ed io solo, perché difficilmente un altro mi potrebbe aiutare. Son disposto a fare tutto quello che posso; e poco o molto si farà. Non so ancora come faremo per la stampa. L'Opera del Buon Pastore fa lenti passi; ma però si avanza. Io vivo degli introiti di essere e spero di pagare una parte dell'affitto. Oh! se avessi un bel gruzzolo: non mi farebbe paura la stampa di un bel volume..." (A/4/22/1). Il n. 1 degli Annali del Buon Pastore, però, uscì soltanto in gennaio 1872.

Poco dopo Comboni era sbarcato a Marsiglia, e Dal Bosco gli scriveva da Verona il 21 luglio: "Ebbi ieri la carissima tua e quella del vescovo e lessi ambedue con quella avidità che puoi immaginarti... Proprio davvero il Signore ti prova: ma teniamo per certo che dopo la tempesta viene la calma. Gran fatto che il Signore non ti provvegga il necessario per la nostra travagliata missione? Vorrei ben sperare che i signori di Colonia si muoveranno a pietà". E dopo aver riassunto le notizie già inviategli al Cairo, prosegue: "Qui siamo in statu quo, cioè dormienti... Carissimo: io ti veggo affranto dalle fatiche e dai patemi d'animo e di corpo. Ma non temere: se mai soffristi tanto, vuol dire che il tuo operato questa volta vorrà essere più fruttuoso di tutte le altre volte. Quanto più si soffre per Iddio , tanto più egli benedice. Mi ricorderò di te nelle mie povere orazioni. Finisco, perché un po' di febbre ha preso anche me; ma sta quieto, che son cose da poco, benché il prostramento sia grande. Dio ti benedica de rore coeli, et de pinguedine terrae, mentre abbracciandoti sono, con tutto il cuore, il tuo aff.mo in G.M.G. D. Aless. Dal Bosco" (A/4/22/2).

Cinque mesi dopo questo intimo amico del Comboni era già morto. Si trova in archivio una "memoria", fatta stampare da due "morette" a tergo di una immaginetta francese, a ricordo della sua morte, con evidente afflato africano e missionario. Eccola:

"Una preghiera di pace e di requie per 1'aniraa trapassata del Sac. D. Alessandro Dal Bosco, Miss. Ap. dell'Africa Centrale, decesso il 15 dicembre 1868, nell'età ancor fresca di 38 anni. Di buon ingegno, d'indole dolce e tranquilla, di pietà specchiatissima. Giovanetto, Chierico, Sacerdote, nel Collegio Mazza ove fu educato; nell'Africa ove portò il Vangelo di Gesù Cristo; nell'Ospitale di Legnago ove 1'ebbe a carissimo Direttore; in Verona ove da un anno dirigea la pia Opera della Missione Africana, si mostrò sempre fornito delle più rare doti, delle più squisite virtù, che si attraeano il cuore di tutti ed il pianto inconsolabile di noi che in Lui perdemmo, ahi! troppo presto, il nostro amorosissimo Padre. Salve! o bell'anima, vittima delle fatiche e dei malori che hai sostenuti nei miseri nostri paesi, il profumo delle tue virtù e de' tuoi sacrifici ascenda al trono di Dio, per ottenere la sua benedizione, e sull'Africa che tanto amasti, e sull'anime nostre, e fortificarle nella S. Missione che siamo per imprendere. Le Morette: Maria Maragase, Elisabetta Mairama" (A/4/23).

Chi erano queste due morette? Ce lo dice una nota di Archivio Combo-niano (1978, 1, 9/4). Maria Maragase "tolta a sua madre dai Baggara, era venduta sette volte, nei Scilluk, nel Kordofan, a Dongola, al Cairo, ad Alessandria, ove fu riscattata dal P. Olivieri, che 1'affidò alle Suore della beatissima Vergine Maria in Cremona. I progressi della giovane negra furono sì notevoli che, da cinque anni in poi, era incaricata d'una scuola della casa. E' destinata all'Istituto del Cairo". Elisabetta Mairama "venduta tre volte, poi riscattata nel Cairo dal P. Olivieri ed allevata ad Altötting (diocesi di Passau in Baviera), nella casa delle Dame Inglesi, che 1'harmo affidata all'Istituto del Cairo". Questa Elisa­betta, che sembra si chiamasse Maria Anna (Mairama è forse un errore di stampa?) secondo la stessa fonte, avrebbe avuto allora 19 anni. Però non sembra sia nominata in seguito, per cui non sappiamo altro di lei. Interessante e invece la storia di Marietta, che finirà, dopo seri contrasti, col divenire un'eroina nelle tragiche vicende del Mahdismo, dove ricomparirà col nome di battaglia Marietta Combatti, e che merita perciò un cenno a parte (vedi Morette).

P.  Bano Leonzio

Da P. Leonzio Bano, Missionari del Comboni 1, p. 7-10

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Don Alessandro Dal Bosco è stato compagno di Comboni nella spedizione nell’Africa centrale del 1857 e poi primo rettore del suo Istituto. È nato a Breonio, Verona, nel 1830- A quindici anni è entrato nell’Istituto Don Mazza dove ha incontrato il coetaneo Daniele Comboni. I due hanno vissuto insieme gli anni della formazione. Comboni è diventato sacerdote nel 1854 e Dal Bosco nel 1855.

Intanto don Mazza stava preparando la seconda spedizione nel Centro dell’Africa alla quale partecipavano anche don Dal Bosco e don Daniele Comboni. (Nella prima, quella del 1853, erano partiti don Angelo Vinco, don Giovanni Beltrame e don Antonio Castagnaro). È commovente l’addio che il pio sacerdote ha rivolto ai cinque partenti: “Benedite, Signore, questi figlioli, ma d’una larga benedizione e piena; fateli buoni davvero e che vi siano fedeli fino alla morte…”. I cinque missionari sono partiti da Trieste il 10 settembre 1857. A metà febbraio del 1859, dopo un lunghissimo viaggio sul Nilo e attraverso il deserto, sono approdati a Khartoum.

Don Dal Bosco, secondo l’ordine ricevuto da don Mazza, si è fermato in città come procuratore delle missione, mentre Comboni e gli altri, a bordo della barca della missione Stella Mattutina, hanno coperto altri 1.500 chilometri fino ad arrivare alla missione di Santa Croce, quasi al confine con l’Uganda.

La stagione delle piogge a Santa Croce ha infradiciato le capanne fino a renderle simili a mucchi di paglia marcia, ha coperto di muffa le casse rovinando tutto ciò che vi era dentro, ha provocato invasioni di zanzare e di mille altri animali fastidiosi con conseguenti attacchi di malaria. In pochi mesi sono morti due missionari, p. Francesco Oliboni e il laico Isidoro Zilli. Il 15 gennaio 1859 i tre superstiti, febbricitanti, hanno lasciato Santa Croce e sono tornati a Khartoum. Ma intanto anche don Angelo Melotto spirava. Mentre Comboni tornava in Italia per rimettersi in salute, don Dal Bosco e don Beltrame rimasero a Khartoum in cerca di un posto più salubre per una nuova missione.

Ritorno amaro

Nel giro di sei anni erano cinque i missionari di don Mazza che avevano lasciato le loro spoglie sulle rive del Nilo. Nel frattempo era morto anche mons. Knoblecher, il Provicario Apostolico delle missioni dell’Africa centrale. Di fronte a tutti questi lutti, il Vicariato dell’Africa centrale venne chiuso e anche don Dal Bosco e don Beltrame rientrarono a Verona.

Al suo ritorno dall’Africa don dal Bosco è stato per qualche tempo vicerettore del Collegio Mazza. Uscito poi per salute, è andato come cappellano e padre spirituale nell’ospedale di Legnago, Verona. Questo fino al 1867.

Primo rettore dell’Istituto fondato da Comboni

Don Daniele Comboni, dopo il suo ritorno da Santa Croce non si era dato per vinto. La passione per la conversione dell’Africa lo bruciava. Nel settembre del 1864, mentre pregava sulla tomba di San Pietro a Roma, “come un lampo, mi balenò il pensiero di formulare un nuovo Piano per la cristianizzazione dei poveri popoli neri, i cui singoli punti mi vennero dall’alto come un’ispirazione”(Scritti 4690). Il Piano per la rigenerazione dell’Africa può essere riassunto con le parole. “Salvare l’Africa con l’Africa”, cioè educare gli africani in collegi, scuole, laboratori sulle coste dell’Africa “dove l’africano vive e non muta e l’europeo opera e non soccombe”.

Il Papa ha approvato questo Piano e ha incoraggiato Comboni ad attuarlo. Ma a questo punto l’Istituto Mazza non si è sentito di assumersi una responsabilità così grande per cui Comboni ha dovuto muoversi da solo ed è diventato fondatore. Ha scritto: “Sabato 1° giugno 1867, sotto gli auspici dell’Ecc.mo Vescovo di Verona, mons. di Canossa, ho aperto a Verona un Collegio per le Missioni della Nigrizia, con lo scopo di formare missionari europei per l’apostolato dell’Africa centrale” (Scritti 1447).

A questo punto si trattava di trovare un rettore per il nuovo Istituto che, al momento, era formato dal solo fondatore. Comboni si è ricordato del suo vecchio compagno di missione, don Dal Bosco, ormai l’unico superstite di quella spedizione. Anche in don Dal Bosco l’amore per la missione bruciava come una fiamma viva, e accettò l’incarico consentendo così a Comboni di muoversi a suo agio tra l’Africa e l’Europa in cerca di missionari e di aiuti per la missione.

Morto a 38 anni

La sede del nuovo Istituto era in un poverissimo stabile preso in affitto presso la chiesa di San Pietro Incarnario, Verona… Ma le opere di Dio devono avere il sigillo della croce. Ed ecco che, l’anno dopo, tornando ammalato da  Bamberga, Germania, dove era andato per l’assemblea generale sulle missioni, don Dal Bosco ha dovuto mettersi a letto e il 15 dicembre 1868 moriva. Aveva 38 anni.

Comboni ha scritto di lui: “Nominai superiore del Collegio il pio e dotto don Alessandro Dal Bosco, che prima lavorò con me come missionario nell’Africa centrale. Non si poteva pensare ad una persona più indicata per questo compito. Un uomo austero di costumi, profondo conoscitore dello spirito umano e degli ostacoli dell’attività missionaria nell’Africa centrale, amabile nel tratto, convincente nei suoi argomenti, profondo conoscitore della dogmatica, della morale, del diritto canonico, della storia, dei costumi dell’Oriente, delle tribù nere, dell’arabo, dell’italiano, del francese, del tedesco, dell’inglese, del nubano, del greco, ecc. A me parve che in quest’uomo il cielo avesse fatto un regalo alla nascente opera per la quale egli ha dato la vita. Ma purtroppo gli strapazzi dell’apostolato in Africa e una malattia addominale che incominciò a svilupparsi ancora a Khartoum lo hanno portato alla tomba. La sua è stata una perdita amara per l’Istituto”.

Già nel 1868 don Dal Bosco pensava di iniziare la pubblicazione del primo numero degli Annali del Buon Pastore che saranno stampati poi da Comboni dal 1872. “In quanto a me – ha scritto Dal Bosco nel 1868 – penso di compilare per giugno un numero (che sarà il primo) dei nostri Annali ma, viva il cielo, il tempo e le forze mancano”. Era anche segretario e vicedirettore generale dell’Associazione del Buon Pastore di cui l’Istituto di Comboni faceva parte.

Di don Dal Bosco è stata scritta una commovente memoria redatta da due “morette” che lo dicono “fornito delle più rare doti, delle più squisite virtù, vittima delle fatiche e dei malori che ha sostenuto nei nostri miseri paesi.”. Don Dal Bosco è stato una tappa fondamentale nel cammino di Comboni per la realizzazione del suo Istituto. 

P. Lorenzo Gaiga