In Pace Christi

Ramponi Egidio

Ramponi Egidio
Data de nascimento : 11/11/1909
Local de nascimento : Bolca VR/I
Votos temporários : 01/11/1928
Votos perpétuos : 07/10/1932
Data de ordenação : 09/07/1933
Data da morte : 03/01/1982
Local da morte : Verona/I

Padre Egidio Ramponi è nato l'un­dici novembre 1909 a Bolca, un paesello della Lessinia, in provincia di Verona, a 800 metri sul livello del mare, famoso in tutto il mondo per i suoi fossili (pesci, palme, coc­codrilli) che risalgono a 50 milioni di anni fa.

A 17 anni, dopo il ginnasio, padre Egidio lasciò il seminario diocesano di Verona per entrare tra i Comboniani. Venne ordinato sacerdote nel 1933.

In questo stesso anno partì per l'Uganda: prima a Lodonga, per un anno e mezzo, e poi divenne rettore del seminario di Gulu. Ma la salute, che si rivelò subito malferma, lo costrinse a rimpatriare dopo quattro anni e mezzo.

Nonostante il poco tempo trascorso in Africa, padre Egidio riuscì ad imparare a perfezione la lingua logbara e a capire la mentalità di quel popolo. Qualche articolo pubblicato in quel periodo e un libro dato alle stampe rivelano una notevole capa­cità di interpretare scientificamente gli usi e i costumi dei Logbara.

Negli anni difficili della guerra fu superiore a Sulmona. Essendo la città occupata dai tedeschi, padre Egidio riuscì in breve tempo a im­parare la loro lingua. Fece questo sforzo per due motivi ben precisi:

1° - Molti italiani, presi prigionie­ri dai tedeschi, rischiavano il campo di concentramento e la fucilazione. Egli, col suo modo di fare convin­cente e persuasivo, riuscì a restituire alle famiglie tanti poveri disgraziati altrimenti destinati alla prigionia o alla morte.

2° - Tra i tedeschi c'erano alcuni cattolici che si rivolgevano a lui per la confessione o per un po' di con­forto. Non solo, ma con sorpresa e gioia, scoprì tra i soldati tedeschi dei sacerdoti comboniani dell'allora ramo tedesco. Padre Egidio s'intrat­teneva fraternamente con loro di notte o di nascosto, amministrava loro i sacramenti e dava la possibi­lità di celebrare qualche messa.

Nel 1947 i superiori diedero a padre Egidio l'incarico di aprire la casa di Cozzano in provincia di Novara, lasciata libera dai Gesuiti. Pa­dre Egidio prese sulle sue spalle l'eredità lasciata dai padri della Com­pagnia di Gesù, che consisteva nell'assistere e seguire la gioventù del paese e dei dintorni, organizzata nel­la cosiddetta «Congregazione Mariana». Qui padre Ramponi conobbe le prime anime che, sotto la sua guida e direzione, avrebbero dato vita a quello che diventerà l'Istituto se­colare delle missionarie comboniane.

Quest'opera gli fu motivo di gran­di gioie, ma anche di non poche sofferenze, soprattutto quando l'isti­tuto corse il rischio di cambiare la sua fisionomia iniziale.

Ebbene, in questa circostanza pa­dre Egidio seppe mettersi in dispar­te, silenziosamente, lasciando che al­tri conducessero l'opera iniziata fra tanti sacrifici e preghiere.

«La cosa importante - diceva - è che l'Istituto vada avanti salvando il suo carisma di secolarità, di anima­zione missionaria nel secolo».

Il tempo gli diede piena ragione. Non solo l'Istituto delle missionarie secolari comboniane s'incamminò de­ciso sulla via della secolarità, ma ri­conobbe in padre Ramponi, e a pie­no titolo, il vero Fondatore.

Dal 1948 al 1953 padre Ramponi si dedicò all'animazione missionaria nei seminari d'Italia. Li visitò tutti intrecciando conoscenze preziose con sacerdoti e vescovi. Dotato di una carica umana eccezionale, vivificata da un intenso spirito di fede, di preghiera e di zelo si fece amare e stimare da tutti.

Molti Comboniani sono frutto del suo ministero. Un ministero duro, in quanto doveva recarsi nelle città, an­che le più lontane, servendosi dei mezzi pubblici e viaggiando spesso di notte. Le nostre riviste ebbero in lui un propagandista di eccezione.

Dal 1953 al 1958 fu rettore della chiesa di San Tornio nel centro di Verona. Una chiesa dove c'è l'ado­razione perpetua e dove alcuni missionari comboniani si dedicano a tempo pieno al ministero delle con­fessioni. A San Tornio fanno capo penitenti (sacerdoti, religiosi, perso­nalità della politica e della finanza e fedeli) non solo della città e della provincia di Verona, ma anche delle regioni limitrofe.

Numerosissimi sono i benefattori che procurò al nostro istituto, e gran­de la stima che i Comboniani godono a tutti i livelli grazie alla simpatia che padre Egidio sapeva suscitare.

A intervalli più o meno lunghi fu padre spirituale degli scolastici a Venegono e a Verona. Molti di essi continuavano la direzione anche da sacerdoti e dalla missione.

Ricordandolo come padre spiritua­le, P. Alfredo Neres afferma: «Fu uomo di equilibrio negli anni duri della contestazione. Trattava con dol­cezza, mostrando sempre però un at­taccamento alle direttive della Chie­sa e alle norme dell'autorità».

La salute sempre più compromessa e un fastidioso tremito alle mani lo costrinsero, nel 1970, a ritirarsi defi­nitivamente a Verona. Ma il suo mi­nistero sacerdotale non subì né tre­gue né arresti. Fino a tre giorni pri­ma di morire poté recarsi a San Tornio, dove era solito andare due volte alla settimana per soddisfare le esigenze dei suoi penitenti, senza parlare di coloro che andava a visi­tare nelle loro case (quando si trat­tava di malati) o che venivano a fargli visita in casa madre.

Questa è un po' la storia esteriore di padre Egidio Ramponi. Quella in­terna che si è maturata nell'intimo della sua coscienza, della sua anima e del suo cuore, è più difficile da descrivere perché affonda le radici nel suo temperamento e nei doni che lo Spirito Santo gli ha elargito.

Padre Ramponi potrebbe essere definito: «L'amico di tutti», oppure «colui che fece del bene a tutti».

Credo che non ci sia membro del­la Congregazione, almeno di una cer­ta età, che non sia stato conosciuto e aiutato da lui, specialmente tra i Fratelli per i quali aveva una predi­lezione tutta speciale.

Si interessava di tutto ciò che ri­guardava quella persona, fino quasi a sembrare possessivo, ma lo faceva nell'intento di aiutare, di facilitare il dialogo, di sdrammatizzare le situa­zioni. Possedeva in modo eminente il dono del consiglio. Sapeva dire la parola giusta al momento giusto, e nell'orizzonte delle anime sapeva ve­dere lontano. In questo orizzonte aiutava a scoprire il valore della pro­pria consacrazione a Dio, dell'amore per le anime, dell'importanza della sofferenza per la vita del missionario.

Egli stesso, di temperamento estre­mamente sensibile e portato un po' allo scoraggiamento, aveva imparato a infondere fiducia negli altri. Per questo il suo confessionale era sem­pre assiepato, e nelle foresterie di Verona la gente faceva la coda, e il suo telefono era sempre in funzio­ne. E lui, anche se stanco, non rifiu­tava mai il suo ministero, interrom­pendo anche il pranzo e la cena per essere disponibile a chi lo cercava.

Col suo buon senso di uomo della montagna, valorizzato da uno spirito soprannaturale e da una acuta intel­ligenza, seppe risolvere tanti casi difficili e portare la pace in tante famiglie.

Tra le sue devozioni aveva un posto preminente quella alla Madon­na. Era ormai tradizione che la chiu­sura del mese di maggio, che la parrocchia di San Giovanni in Valle conclude davanti alla grotta dei Comboniani, lo vedesse oratore ufficiale. I suoi discorsi erano sempre ag­giornati e documentati.

Abbiamo già accennato al suo ani­mo sensibile e delicato. Come sapeva godere per le piccole gioie, soffriva intensamente, fino a piangere qualche volta, per gli inevitabili sgarbi o incomprensioni che poteva trovare.

Era il classico padre spirituale ca­pace di capire, di comprendere, di aiutare, di incoraggiare.

Quando un confratello passava da Verona, padre Egidio era il primo che si accorgeva del nuovo venuto, che si alzava da tavola per salutarlo, che si interessava della sua salute e della sua attività.

Così lo ricorda Fr. Avi: «Un Padre Egidio in ogni comunità sarebbe un elemento di serenità e di concordia. Quando lo incontravi, ti dava l'im­pressione di essere vissuto con lui per tanti anni, anche se l'avevi visto solo di rado».

Seguiva con interesse e competen­za il cammino della Congregazione e l'andamento delle missioni.

Il pensiero della morte gli era fa­miliare. Ne parlava tutti i giorni, ma con serenità.

Quando morì padre Franceschin, colpito da embolia mentre si accin­geva a celebrare la quarta messa di quella domenica, padre Ramponi ri­mase molto impressionato perché pa­dre Franceschin era suo amico.

Qualche giorno dopo padre Ram­poni sognò il confratello, e lo vide vicino a Porta San Giorgio a Vero­na, al di là di un fosso insieme ad altra gente. Tutti erano molto felici. Padre Franceschin, rivolgendosi a padre Egidio che si trovava di qua del fosso, gli disse: «Morire è pro­prio niente, non costa nessuna fati­ca. Basta fare un piccolo passo e poi si è felici». Padre Ramponi raccontò più volte questo sogno.

E anche lui ebbe la grazia di morire facendo un piccolo passo, molto in fretta e senza troppo sof­frire. Ora è certamente nella felici­tà insieme ai missionari che tanto ha amato e assistito.                             P. Lorenzo Gaiga, Mccj

Da Mccj Bulletin n. 136, giugno 1982, pp.90-92

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Egidio nacque a Bolca l’11 novembre 1909 da Pio Ramponi e Clementina Cattazzo. L'avevano preceduto tre sorelle ed un fratello del quale assunse il nome perché questi morì a 9 anni di età. I lutti, le tribolazioni e le prove in cui fu coinvolta la famiglia dedita, come quasi tutte quelle di quel tempo, al lavoro contadino, furono molti.

Sua madre, Clementina, morì quando Egidio aveva appena 14 mesi la­sciandolo orfano in tenerissima età. Il giorno prima di spirare - narra il P. Lorenzo Gaiga dal cui scritto traiamo queste e le notizie che seguono - rac­comandò il piccino a sua sorella Letizia, vedova di Giovanni, fratello dì Pio, deceduto in seguito ad una caduta dal fienile.

Clementina si portò a casa il bambino e lo crebbe amorevolmente. Dopo qualche anno si sposò con quello che prima era suo cognato e papa del pic­colo. Il primo risvegliarsi della sua vocazione Egidio l'avvertì già agli otto anni e lo attribuiva a un viaggio al Santuario della Madonna della Corona che fece assieme al papà ed alla zia risalendo a piedi, da Brentino, i tratti di sentiero e i circa mille scalini che portano fino al santuario appollaiato tra le rocce. L'allora parroco di Bolca, Don Mansueto Siviera, morto in concetto di santità, seppe cogliere ed incoraggiare quei segni di vocazione.

Il curato, Don Giulio Morcelli, si prestò poi per integrare l'apprendimen­to scolastico ricevuto dal bambino nella scuola elementare e così Egidio nel 1922 poteva entrare per frequentare la seconda media nel Seminario dio­cesano di Verona.

Raggiungere il Seminario in cit­tà di Verona a quei tempi non era impresa facile. A tal fine, Egidio do­veva scendere da Bolca a Tregnago a piedi portando avanti e indietro la biancheria piegata dentro la federa di un guanciale che serviva da ba­gaglio.

A Tregnago prendeva il trenino che lo avrebbe portato fino a Porta Vescovo e, di lì, di nuovo a piedi e bagaglio in spalla fino a Via Semina­rio. Nel Seminario Egidio si distinse per pietà, buona condotta ed impegno nello studio.

Dal Seminario passava all'Istituto del Comboni

Proprio in quegli anni gli capitò tra le mani e lesse avidamente la vita di Mons. Daniele Comboni scritta da Mons. Grancelli, professore in Semi­nario. Ne rimase affascinato e fu quella a far scattare in lui la scintilla della vocazione missionaria.

Quando però si decise a parlarne al papà, questi fu recisamente contrario. Andò perfino dal Vescovo a pregarlo di dissuadere Egidio da quell'idea che, a suo modo di vedere, significava forse non rivedere più quel figlio.

Ma Egidio rimase irremovibilmente deciso per quella scelta e, di fronte a tanta determinazione, il padre finì per accordargli la sua approvazione.

Per la sua spiccata intelligenza, i superiori gli fecero saltare un anno di liceo e così fu ordinato sacerdote il 9 luglio del 1933. Quando l’anno successivo, 1934, P. Egidio Ramponi partiva per l'Uganda, quasi in segno di pacificazio­ne gioiosa e totale, papà Pio vendette un terreno che possedeva a Cazzano di Tramigna per comperargli un moto carro Guzzi che gli sarebbe servito per spostarsi in quella zona missionaria del grande continente africano.

La sua destinazione fu la stazione missionaria di Lodonga, fondata nel 1927. A ricordo di quella esperienza missionaria resta una foto che lo ri­trae tra una folla di ragazzi e che inviò al papà con scritto sul retro: "Caro papà, ecco la mia famiglia! Sono i tuoi nipotini! Ti chiamano nonno. Non li dimenticare!"

Non durò a lungo però questa sua esperienza a Lodonga perché presto fu chiamato nel Seminario di Gulu, prima come insegnante e poi come rettore.

Scrisse in quel periodo un volumetto di carattere etnografico, sui costumi di quelle popolazioni, intitolato: "II tramonto degli spiriti sui monti della luna". Numerosi furono i suoi articoli di costume, e descrittivi di esperienze missionarie, pubblicati all'epoca da NIGRIZIA.

Costretto al rientro in Italia da problemi di salute

Ma dopo 4 anni e mezzo, la sua salute si rivelò malferma e le continue e pericolose malarie che lo affliggevano lo costrinsero a rimpatriare. Cosa che gli costò molto, anche perché in quel periodo l'Uganda viveva un momento di esaltazione sia da un punto di vista socio culturale, come ecclesiale. Folle di giovani frequentavano le scuole dei missionari.

Le scuole cristiane poi, oltre che favorire il crollo dell'imperialismo in Uganda, sfornavano cittadini onesti, istruiti e capaci d'intraprendere qualsiasi carriera. Quello dal 1933 al 1943 fu definito il "decennio glorioso" per le missioni in Africa e lo stesso Papa Pio XI, in una conferenza stampa, ebbe ad affermare che le maggiori consolazioni gli venivano dall'Africa per il suo rapido progresso nella fede.

Il 14 giugno 1938 P. Egidio celebrò la sua ultima messa nella missione di Gulu. Lo affliggeva il presentimento che non avrebbe fatto più ritorno all'A­frica. Chiese quindi al superiore il permesso di visitare il maggior numero possibile di missioni, almeno durante il viaggio di ritorno, e celebrare in esse almeno una santa messa.

Nel suo diario stese relazione dettagliata delle tappe di quel suo viaggio: "Il 15 giugno ero già nel Sudan ed ho celebrato nella missione di Loa; il 16 ero a Palotaka; il 17 a Torit; il 18 a Okaru dove c'era il grande seminario, ricco di promesse per la Chiesa Africana; il 20 a Bor; il 21 a Sciambe; il 22 a Tonga; il 23 a Lalakai; il 24 a Renk. Ognuno di questi nomi mi ricorda le avventure apostoliche di tanti miei confratelli e il mio cuore si commuove".

Durante i giorni 26-30 e anche il 1 ° luglio ho viaggiato in treno e non ho potuto celebrare la messa. Ricordo di aver visto più volte il miraggio e la fata morgana. Feci tappa a Khartoum e visitai i luoghi dove visse e morì Combo­ni. Poi proseguii per il Cairo, dove mi fermai alcune settimane. Quindi sono partito sulla "Gerusalemme" da Alessandria.

Da Alessandria d'Egitto, ultima tappa del suo viaggio dentro la terra afri­cana, partì per l'Italia. Prima di giungere a Verona il 29 e rivedere il suo nativo paese di Bolca il 30 luglio 1938, passando per Roma, sull'esempio del Comboni, s'era fermato pure lui a pregare sulla tomba di S. Pietro.

"Ad una lunga preghiera - scrive il P.L. Gaiga - aggiunse anche tante lacrime. Era un uomo estremamente sensibile e inoltre portava nel cuore l'ombra di un fallimento come missionario per quel mesto ritorno, costret­tovi dalla salute! Che cosa voleva il Signore da lui? Quella preghiera e quelle lacrime, sgorgate da un cuore esacerbato, gli fecero del bene e lo cambiarono interiormente. Usci sereno dalla Basilica e con l'impressione che, seppur in altro modo, avrebbe continuato la sua feconda opera missionaria".

Al riapprodare a Bolca, ridente paesino di contrade sparpagliate su poggi di feconde terre vulcaniche digradanti in parte verso la Val d'Alpone ed in parte verso la valle del Chiampo, ebbe modo di ritemprarsi un po' nella salute grazie anche alle arie salubri che a quest’altitudine, intorno agli 800 metri sul mare, poté respirare specie sul finire di quell'estate.

In occasione di questo suo ritorno, come un po' di tutti i suoi rientri nel paese -ricorda la sua compaesana Suor Rosetta Presa -"Raccoglieva attorno a sé la gioventù e parlava delle missioni, della bellezza della vocazione mis­sionaria, di anime che aspettavano l'annuncio del Vangelo".

Anche la sorella Clementina testimonia: "Quando veniva in vacanza a Bolca, una delle sue prime preoccupazioni era quella di radunare la gioventù nella chiesa parrocchiale". E lì, con la parola e tutti i mezzi audiovisivi di cui disponeva, faceva opera di animazione missionaria che certo influì nella decisione di ben 6 ragazze del paesino a farsi suore missionarie comboniane.

Tra di esse c'è la citata Suor Rosetta che ricorda come il giorno in cui en­trò nella casa delle comboniane di santa Maria in Organo nel centro storico della città di Verona, volle passare, col papà, anche a salutare il P. Egidio che così la incoraggiò: "Guarda che per essere bravi missionari, bisogna essere duri come i sassi della nostra Purga di Bolca".

E così dicendo, le diede una benedizione perché potesse perseverare gene­rosamente nella sua vocazione.

Nuovi incarichi e scoppio della seconda guerra mondiale

Non durò molto la sua vacanza nel paese nativo, dopo essere rientrato dall'Africa. Appena riprese un poco le forze, gli fu dato dai superiori un nuovo incarico: quello di visitare alcuni seminari diocesani d'Italia trasmet­tendo ai seminaristi la sua esperienza.

Intanto però si era alla vigilia della seconda guerra mondiale.

L'1 settembre 1939 la Germania invase la Polonia e, due giorni dopo, la Francia e l'Inghilterra dichiararono guerra alla Germania. L'anno successi­vo, il 10 giugno 1940, anche l'Italia entrò in guerra a fianco della Germania contro la Francia e l'Inghilterra.

In quello stesso anno il P. Egidio era stato inviato nel seminario minore comboniano di Sulmona (L'Aquila) dove rimase fino al 1947, prima con il compito di Padre Spirituale e poi quello di Superiore.

Naturalmente questo seminario che, come annota P. Egidio nel suo dia­rio, giunse a contare un centinaio di ragazzi, dieci Padri e cinque fratelli, fu coinvolto nelle vicende della guerra e si passarono momenti difficili, ma non ci furono vittime e rappresaglie.

Anzi, grazie a certa conoscenza della lingua tedesca da parte del P. Egidio, in varie circostanze poté intercedere per la salvezza di un certo numero di prigionieri italiani ed in altre prestarsi per il servizio della confessione anche di soldati tedeschi di fede cattolica e loro cappellani.

A Sulmona ebbe dal Vescovo Mons. Luciano Marcone anche l'incarico di assistere spiritualmente un gruppo di Missionarie della Regalità: Istitu­to fondato da Padre Gemelli e Armida Barelli. Fu provvidenziale questa esperienza perché gli fece intravedere la possibilità di un Istituto Secolare Missionario tra il popolo, di cui il P. Ramponi sarebbe diventato in seguito il fondatore.

Già in Sulmona elaborò un progetto al riguardo e lo espose al vescovo locale ricevendone l'approvazione e incoraggiamento. Lì però non lo poté realizzare per non aver incontrato la collaborazione di una certa signorina su cui aveva contato e per il sopraggiungere del suo trasferimento. Solo più tardi, a Gozzano, come vedremo, per una concomitanza di cause favorevoli, il suo piano poté concretizzarsi.

Al terminare, dopo sei anni, il suo servizio a Sulmona, chiedeva ed otte­neva di fare un mese di Esercizi Spirituali secondo il metodo di S. Ignazio di Loyola. Esperienza che visse a S. Mauro Torinese.

Al termine di quel corso di Esercizi, egli sarebbe stato disposto a tornare in Uganda, ma il superiore pareva intenzionato ad inviarlo negli Stati Uniti: "Devi tagliarti la barba per fare il nuovo passaporto" - gli disse il Segretario Generale della Congregazione.

Ma presto vennero un contrordine ed altra disposizione: quella di andar a fare da superiore nella casa di Gozzano che i Comboniani avevano appena acquistato dai Gesuiti. Lì, come superiore provvisorio, rimase dal settembre 1947 all'ottobre del 1948.

A Gozzano, come annunciavamo, prese vita concretamente quanto aveva ideato e tentato di mettere in piedi a Sulmona, ma non era stato possibile per l'indisponibilità di chi aveva scelto come collaboratrice. E cioè il Sodali­zio delle MISSIONARIE SECOLARI COMBONIANE.

Fisionomia dell'Istituto Secolare da lui fondato

Di esso il P. Ramponi scriveva: "L'Istituto delle Missionarie Secolari è stato concepito nella mia mente ancor prima che la Chiesa emanasse la costi­tuzione Apostolica "Provida Mater", il documento base per gli Istituti Se­colari". Nel dar vita allo stesso, dichiarava di essersi ispirato al pensiero del Comboni, ma anche a quello di S. Francesco di Sales.

A favorire la nascita dello stesso a Gozzano fu l'incontrare il P. Ramponi, in questo luogo, un gruppo di signorine, animate spiritualmente da Padre Giulio Picco, superiore dei Gesuiti di Gozzano, le quali erano alla ricerca di un Istituto secolare che le accogliesse.

P. Egidio comprese che "quelle brave ragazze erano appunto il segno di Dio per dare inizio al suo Istituto". Dopo i primi approcci con le giovani, egli spiegò loro la sua idea dì formare un Sodalizio e in seguito un Istituto Secolare in cui signorine legate dai voti di obbedienza, povertà e castità, ma senza vita comune, senza una particolare divisa, e vivendo nelle proprie famiglie, potessero consacrarsi all'animazione missionaria nel proprio am­biente di vita.

Come avrebbe meglio precisato il P. Ramponi in una sua lettera: compito di queste religiose laiche era anche quello di "sostenere con le preghiere e la loro animazione, l'apostolato dei missionari comboniani". Quanto al loro accompagnamento spirituale, egli che spesso era chiamato ad un apostolato itinerante per l'Italia, ebbe un grande aiuto, a Gozzano, nel Padre Vitti con il quale si teneva in continuo contatto epistolare.

Alcune non se la sentirono di votarsi ad un impegno così vincolante.

Parallelamente alle Missionarie Secolari, in un primo tempo chiamate "Zelatrici dell'Immacolata" egli fondò quindi il gruppo "Amici Vocazioni Comboniane" che, su sua proposta, s'impegnava nella comunione mensile, preghiera quotidiana per le vocazioni e offerta periodica di un regalo spiri­tuale al Cuore Immacolato di Maria.

I nomi delle prime 4 "Zelatrici dell'Immacolata" sono: Maria Savoini, Sara Savoini, Ida Caviglioli e Battaglia Rosa. Queste prime zelatrici ini­ziarono il noviziato e ricevettero la Medaglia miracolosa nella cappella dei Comboniani a Gozzano il 22 agosto 1950.

Anche con le Zelatrici egli si teneva in contatto epistolare. Ad esse per esempio in una lettera, datata 24 Agosto 1951, scriveva: "Dio ha scelto, per la conversione dei pagani, non solo missionarie in divisa che portano lon­tano la luce del Vangelo, ma ha scelto anche voi a collaborare nelle retrovie con la preghiera...".

Il 15 marzo 1954 P. Ramponi imponeva la Medaglia a 7 aspiranti nella chiesa di San Tomio a Verona. Poco a poco sorsero altri gruppi dì Zelatrici in varie parti d'Italia. A Pesato si costituì il primo gruppo delle Marche. Lo seguirono il gruppo di Thiene nella provincia di Vicenza, quello di Altamura in provincia di Bari e di Piedimonte a Casetta.

Nel 1954 il Sodalizio otteneva l'approvazione del Vescovo di Troia e Fog­gia e quella del Generale dei Comboniani P. Antonio Tedesco.

Le successive vicissitudini del P. Egidio e della sua Fondazione

Al divenire nel 1953 il P. Ramponi Rettore della Chiesa di San Tomio, si­tuata nel cuore del centro storico di Verona all'inizio di Via Mazzini, via che porta direttamente da Piazza Erbe all'Arena, il suo confessionale divenne punto di riferimento, oltre che di intellettuali, sacerdoti e professionisti, anche di gente semplice e alle prese con il problema della sofferenza.

Fu propriamente l'incontro con una giovane gravemente inferma, Ines Castagna di Velo, a dargli l'ispirazione di accogliere nell'Istituto anche le ammalate che volessero dare un significato missionario alla loro sofferenza, offrirla al Signore a sostegno dei missionari.

"Ecco la mia vocazione - avrebbe scritto la stessa Ines - essere missionaria attraverso il sacrificio".

In una lettera che scriveva il P. Egidio il 27 settembre 1951 alle 7 missiona­rie che emettevano i voti a Limone sul Garda, diceva tra l'altro: "Ricordatevi delle nostre ammalate, esse sono sempre state le nostre predilette; se venisse­ro a mancare sarebbe un grave danno all'Opera".

"Voi malate, unendovi alla Passione di Cristo e soffrendo con lui - ebbe a dire ad Ines Castagna e ad altre inferme durante un incontro - potete essere missionarie più delle sane".

Nel 1961 il Sodalizio assunse la denominazione di "Pia Unione delle Ausiliarie Comboniane" e ottenne l'approvazione della competente autorità ecclesiastica e del Superiore Generale della Congregazione.

La direzione del Sodalizio fu affidata ad una presidente assistita da un Consiglio Direttivo composto da 4 zelatrici. I gruppi effettivi, al momento, erano quelli costituitisi ad Altamura, Carraia, Como, Gozzano, Riccione, Thiene, Troia e Verona. Comprendevano un totale di 77 professe, 12 aspi­ranti e 17 simpatizzanti.

Tre anni dopo, nel 1964, le ausiliarie professe erano 112. Si dividevano in "volontarie" o disposte ad andare anche in missione, "esterne", o meglio: che restavano in casa e impegnate a far fermentare cristianamente il loro ambiente professionale e parrocchiale e "le ammalate" che costituivano una categoria a sé.

Il 20 maggio 1983 l'Istituto che "si ricollegava attraverso l'impulso ori­ginario di P. Ramponi, alla spiritualità e al dinamismo operativo di Mons. Comboni", riceveva anche il riconoscimento pontificio. Ma in quella data il P. Ramponi già era tornato nella Casa del Padre.

Il fatto che egli ne fosse stato l'ispiratore e il fondatore, ma ne seguisse il cammino con discrezione lasciando ad altri l'accompagnamento spirituale più assiduo e ravvicinato dei vari gruppi dello stesso, dislocati in vari punti della penisola, ad un certo punto indusse alcuni a dimenticare e miscono­scere questa sua stessa dimensione di fondatore di un istituto che, pur da lontano e per via epistolare, egli mai finì di sostenere, orientare ed esserne l'ispiratore.

Assiduo lavoratore fino all'ultimo

Nel 1965 P. Ramponi fu trasferito a Venegono Superiore con l'incarico di direttore spirituale degli studenti comboniani di teologia. Col suo trasferi­mento da Verona, l'incarico di assistente del gruppo Missionarie Secolari fu assunto dal P. Giulio Rizzi. Il trasferimento a Venegono invece gli diede l'opportunità di unire all'accompagnamento spirituale degli studenti com­boniani di quella località anche quello delle Ausiliarie di Milano.

Nel 1970 dovette però ritirarsi in Casa Madre a Verona per il fastidio­so tremito alle mani che da un po' di tempo lo affliggeva. "Ma le sue sofferenze non erano solo quelle fi­siche - scrive il P. L. Gaiga - le più lancinanti sono state quelle morali, derivanti proprio da chi cercava di intralciare in ogni modo lo sviluppo del suo Istituto, anzi negando che egli ne fosse stato il fondatore".

P. Ramponi, non senza soffrire di tutto questo, seppe mettersi in di­sparte, in silenzio, sicuro che Dio sarebbe intervenuto a tempo opportu­no per far luce sulla verità dei fatti.

Come uomo e come sacerdote, anche dai confratelli era considerato "l'amico di tutti". Possedeva in modo eminente il dono del consiglio. Sapeva dire la parola giusta al momento giu­sto, sapeva infondere fiducia e per questo il suo confessionale era assiepato. Col suo buon senso di uomo della montagna, valorizzato da uno spirito soprannaturale e da un'acuta intelligenza, seppe risolvere tanti casi difficili e portare la pace in tante famiglie. Insomma era il classico padre spirituale capace di capire, di comprendere, di aiutare e di incoraggiare".

Fra le amicizie che P. Ramponi seppe coltivare, vale la pena segnalare quella con San Giovanni Calabria. Questi - annota il P. L. Gaiga - durante la guerra portò i suoi "Buoni Fanciulli" a Bolca per tenerli lontani dal peri­colo delle bombe che piovevano su Verona. Don Calabria era amico intimo del parroco di Bolca, Don Mansueto Siviere, che era stato suo compagno di Seminario, ed anche di P. Egidio Ramponi.

Quando nel 1939 Don Mansueto mori, il papà di Egidio e un altro signo­re scesero da Bolca a Verona per portare la notizia a Don Calabria il quale, vedendoli, disse loro: "Venite per dirmi che è morto Don Mansueto? Lo sapevo già perché è passato di qui". Il P. Lorenzo Gaiga non si sofferma sui precedenti immediati della morte del P. Ramponi. Rileva semplicemente che il pensiero della morte gli era così familiare che, quando è arrivata, l'ha ac­colta con il sorriso sulle labbra, tanto che il medico che lo assistette all'ospe­dale ebbe ad esclamare: "Accidenti, come sanno morire questi missionari!"

Il funerale si svolse a San Tomio e seguì una celebrazione anche a Bolca, dove è sepolto nella piccola cappella del cimitero vicino al parroco Don Mansueto, il primo grande maestro della sua vita sacerdotale.

Nel discorso funebre Mons. Mason, che presiedette le esequie in San To­mio, disse tra l'altro: "P. Egidio è stato un figlio di Comboni e ha saputo imitare i suoi esempi. Come Comboni, anche il P. Egidio ha creduto tena­cemente, ha accettato la sua porzione di sofferenza non solo con rassegna­zione, ma con amore filiale. E mai si ritirò da quello che credeva di poter fare per aiutare tante anime che ricorrevano a lui. P. Ramponi ha lavorato fino all'ultimo istante della sua vita". Sulla sua tomba sono riportate queste parole di Comboni: "Io sono felice nella croce che, portata volentieri e per amore di Dio, genera il trionfo della vita eterna".

Da Don Gioacchino Gaiga, La stagione benedetta, gbe / Gianni Bussinelli editore, Vago di Lavagno 2013, pp. 42-50