In Pace Christi

Greggio Dante

Greggio Dante
Data de nascimento : 06/07/1926
Local de nascimento : Chiesanuova (PD)/I
Votos temporários : 09/09/1947
Votos perpétuos : 19/09/1952
Data de ordenação : 30/05/1953
Data da morte : 18/12/1997
Local da morte : Bussolengo (VR)/I

La famiglia Greggio, pur di condizioni modeste (papà Sante faceva l’elettricista) aveva un tenore di vita dignitoso, tanto che c’era spazio anche per la carità e l’accoglienza verso il prossimo bisognoso. La religione era vissuta in pienezza e si concretizzava con la messa quotidiana da parte dei ragazzi e con la recita del rosario e delle preghiere, tutte le sere. Animatrice era la mamma Teresa Contin, dal carattere tenace e deciso, alle prese con l’educazione dei 9 figli (sette maschi e due femmine) di cui Dante era il sesto.

A due anni di età il piccolo Dante si ammalò gravemente, tanto che il dottore aveva detto che non c’era più speranza. I genitori, da buoni padovani, si rivolsero a Sant’Antonio invocandolo per quel loro frugoletto. Ed ecco che, proprio durante la notte del “Santo”, 13 giugno, il piccino si svegliò dal suo torpore e chiese da mangiare. I genitori, sicuri di aver ottenuto la grazia tanto invocata, lo assecondarono ed il bambino si riprese completamente.

Nel 1928 la famiglia si trasferì da Chiesanuova a Padova, in Vicolo Castelfidardo, perché il papà aveva trovato un lavoro più redditizio e c’era la possibilità di formare meglio i figli, specie dal punto di vista scolastico. Così la loro nuova parrocchia divenne quella della Sacra Famiglia, che cominciò ad essere frequentata da tutti con assiduità.

“Da ragazzino Dante era vivace assai - racconta la sorella - gli piacevano gli scherzi, le comiche e amava esibirsi nel canto al quale era molto portato. Divenne chierichetto disinvolto e intraprendente, ma buono e generoso con tutti. Noi in famiglia lo chiamavamo ‘Ceo’ perché era basso di statura e paffutello.

Quando fu il momento di frequentare la scuola andò al ‘Patronato del Santo’ insieme ai fratelli Rino, Danilo e Umberto. Amava la chiesa e si trovava a suo agio attorno agli altari tanto che il parroco, alla fine delle elementari, gli propose di entrare nel seminario diocesano che, a quei tempi, si trovava a Thiene.

Il ragazzino accettò la proposta di buon grado anche se, lasciare i genitori e i fratelli, gli costò parecchio perché era molto affettuoso”.

La vocazione missionaria

Al termine delle medie, Dante passò a Padova per il ginnasio. Ma intanto a Thiene aveva conosciuto i missionari comboniani che, in quella cittadina, avevano un loro seminario per Fratelli. L’incontro con quei giovani e con i missionari che li formavano, in genere reduci dalle missioni dell’Africa, gli fece venire il desiderio di diventare uno di essi.

A Padova vagliò e maturò la sua vocazione missionaria, fino ad arrivare a una decisione.

Ed ecco che, il 2 agosto 1945, scrisse al superiore generale dei Comboniani la seguente lettera: “Reverendissimo Padre, già da due anni ho sentito in me l’impulso della divina chiamata all’apostolato tra i poveri infedeli. Sotto la direzione del mio padre spirituale, ho esaminato la vocazione fino ad arrivare alla certezza che è autentica.

Consigliato dal Rev.do p. Corbelli, con il quale sono in relazione, fiducioso mi rivolgo a lei chiedendole di essere accettato tra i Figli del Sacro Cuore per donare tutta la mia vita alla salvezza degli africani.

Ho terminato il primo corso liceale nel seminario di Padova. Le difficoltà incontrate per attuare il mio divino ideale sono ormai superate. Anche i miei familiari si rassegnano al mio desiderio, certo che esso è espressione della volontà di Dio...”.

Dante parla di difficoltà. Si è trattato di una forte opposizione da parte della famiglia che non era disposta a separarsi da un loro congiunto. La sorella, nella testimonianza che ha rilasciato dopo la morte del Padre, ha detto: “Dante è partito quasi di nascosto dalla famiglia perché nel suo cuore c’era un grande desiderio di andare in missione ad evangelizzare tanti fratelli. Successivamente la famiglia ha accettato la sua decisione con serenità”.

Il rettore scrisse: “Il seminarista Greggio Dante è un giovane sulla cui condotta morale e disciplinare non c’è nulla da dire. E’ anche molto pio e di ingegno sufficiente”.

Su di un pezzettino di carta trovato dopo la morte del Padre, c’era scritto, tra l’altro: “La mia vocazione ha avuto tre qualità: fu improvvisa, fu irresistibile, fu sicurissima”. L’amore alla vocazione sarà la forza che lo sosterrà nelle difficoltà che incontrerà nel periodo di formazione, da sacerdote e anche in missione.

Verso il sacerdozio

Il 10 ottobre del 1945, Dante Greggio entrò nel noviziato di Firenze. Scrive p. Patroni, maestro dei novizi: “Durante il noviziato ha lottato molto per la sua vocazione, ma l’amore che portava ad essa, lo aiutò a superare le difficoltà derivanti soprattutto dal suo carattere portato ad alternare momenti di entusiasmo ad altri di scoraggiamento.

Ha sempre dimostrato amore per le pratiche di pietà, per il sacrifico ed è tanto attaccato alla vocazione. E’ aperto e sincero con i superiori. Con i compagni è assai allegro. E’ un chiacchierone e, nella conversazione, è facile ad esagerare le cose o a inventarle di sana pianta, ma allo scopo di rallegrare i confratelli. Accetta volentieri le osservazioni e promette di emendarsi anche se non sempre vi riesce. E’ un giovane di ottime qualità”.

Il primo settembre 1947 emise i primi Voti temporanei, passando poi a Rebbio per il corso di Filosofia. Andò quindi a Venegono Superiore per la teologia ma, date le sue capacità di stare con i ragazzi, i superiori lo inviarono a Pesaro e poi a Padova (1949-1950) per fare l’assistente dei seminaristi di quei seminari missionari. Inutile dire che, in questo ufficio, riuscì in modo brillante. P. Aldo Gilli, che fu per un anno suo compagno di noviziato e poi di scolasticato, scrive:

“Nel tempo dello scolasticato dimostrava un carattere esuberante e di grande comunicazione. Quindi aveva buoni risultati sul piano dell’insegnamento catechistico (gli scolastici andavano nei paesi a fare catechismo)”.

Un anno di riposo

Ad un certo punto, si mise di mezzo la salute. Pensiamo che durante la guerra, e subito dopo, si mangiava poco e male, inoltre la vita con i ragazzi, che concedeva poco tempo allo studio e al riposo, influì sul suo fisico, per cui i superiori pensarono di concedergli un anno di riposo.

Da luglio del 1951 allo stesso mese del 1952, Dante fu inviato a Gozzano: “Un anno che mi ha fatto tanto bene per l’anima e per il corpo. Solo ora mi rendo conto dell’immenso amore del Sacro Cuore per me, suo povero figlio. Quanti scoraggiamenti, quante malinconie! Ma tutto è stato vinto guardando fisso la meta e aiutato dalla preghiera di tante persone care. Ora l’unico desiderio è quello di unirmi perpetuamente al caro Istituto, per questo faccio domanda dei Voti perpetui”, scrisse alla fine del suo tirocinio a Gozzano.

Nel libro “Missionari Comboniani a Gozzano”, leggiamo: “Dante Greggio, chiamato dai giovani gozzanesi ‘padre Ciò’ per il suo modo di esprimersi in dialetto veneto, si rese famoso per i suoi giochi di prestigio e per le infuocate ‘radiocronache’, fatte naturalmente con la sua voce, per commentare le partite al pallone nel campetto dietro casa, per la sua capacità di organizzare, con p. Cesare Pellegrini, teatri, commedie e giochi nei quali erano coinvolti i ragazzi dell’oratorio parrocchiale che, a quei tempi, era gestito dai Comboniani’.

A distanza di 50 anni, il Padre è ancora ricordato dai gozzanesi con ammirazione, affetto e riconoscenza.

P. Giordani, maestro e superiore della casa, scrisse: “E’ un giovane di buone qualità e spirito di iniziativa”.

Rientrato a Venegono per l’ultimo anno di teologia, venne ordinato sacerdote a Milano il 30 maggio 1953 dal card. Ildefonso Schuster.

Padre Dante commemorerà tutti gli anni l’anniversario della sua ordinazione con una festa solenne alla quale “dovevano partecipare” i confratelli, i parenti (quando era in Italia) e gli amici, segno della sua gioia di essere sacerdote.

In Portogallo

In quel periodo occorreva un animatore missionario in Portogallo, provincia povera di mezzi e ricca di vocazioni. I superiori pensarono subito a p. Dante. Col suo bel modo di fare, con la facilità di parola di cui era dotato e con il suo buon umore avrebbe certamente riscosso le simpatie dei sacerdoti portoghesi che dovevano conoscere ancora meglio i Comboniani e la loro opera missionaria.

P. Dante accettò di buon grado l’obbedienza e cominciò subito a studiare la lingua lusitana. Dopo le feste per la sua prima messa e i primi approcci con il ministero a Padova, partì per la sua nuova destinazione.

Il 13 settembre 1953, scrisse da Viseu: “Dopo il lungo viaggio sono arrivato a destinazione accolto con tanta gioia e carità dai confratelli. Ora sto imparando meglio la lingua. Spero in un mese di cavarmela”. Effettuò il viaggio Milano-Viseu in treno ed ebbe modo di fare tappa a Lourdes per un giorno intero.

I quattro anni trascorsi in Portogallo (1953-1957) furono vissuti in pienezza. I parroci andavano a gara per chiamarlo nelle loro parrocchie per cicli di predicazione, ritiri e giornate missionarie. In breve tempo molti divennero suoi penitenti trovando in questo giovane missionario un uomo comprensivo, cordiale, accogliente.

Le finanze del seminario di Viseu ne risentirono subito favorevolmente, e anche i seminaristi. Nei momenti in cui non era fuori per ministero, s’intratteneva con essi e li divertiva. Qualche nostro confratello ricorda ancora i suoi giochi di prestigio, le sue battute umoristiche, i racconti delle sue imprese apostoliche.

In Portogallo il Padre mostrò anche la tempra spirituale di cui era dotato: uomo di sacrificio, e di sacrifici da fare ce n’erano a iosa specialmente per i disagi richiesti dagli spostamenti e dal pernottamento e dal vitto in certe canoniche dove ‘madonna povertà’ regnava assoluta. Ma era anche uomo di preghiera. I sacerdoti, come i seminaristi e anche la gente se ne accorsero subito.

Oltre ai mezzi economici, frutto del suo ministero e delle giornate missionarie, il Padre reclutò tanti giovinetti che entrarono nel seminario missionario. Questo era lo scopo principale delle sue “visite vocazionali” che fece principalmente nella zona di Beira e di Minho.

Accompagnatore del Vescovo

Soprattutto brillava in lui lo spirito di carità che si esternava con la capacità di stare con tutti, di parlare con tutti, di accogliere tutti. Per tutte riportiamo la testimonianza di p. José de Sousa:

“Ho conosciuto p. Dante quando ero nel seminario di Viseu. In poco tempo divenne un impareggiabile animatore delle zelatrici missionarie. Accompagnava il Vescovo di Viseu nelle visite pastorali nelle diocesi di Viseu e Guarda. Ha trovato tantissimi nuovi e buoni amici e benefattori del nostro Istituto tra i parroci e tra la gente.

Nel 1956 venne aperto il noviziato di Vila Nova de Famalicão, proprio nel mio primo anno di noviziato. P. Dante era chiamato “Padre Dantas” perché la casa del noviziato era attaccata alla chiesa parrocchiale di Antas e fra Dante e Antas c’era poca differenza.

Il troppo slancio che mise nell’animazione creò anche qualche invidia, specie in qualche sacerdote locale che si vedeva diminuito nella considerazione della gente di fronte alle capacità del Padre. Ciò fu per lui motivo di sofferenza, tuttavia, non diminuì il suo zelo, ma applicò il detto evangelico: ‘Se non vi accettano in un posto, andate in un altro’. Quando partì per l’Italia, lasciò in tutti un ottimo ricordo e molto rimpianto”.

Pellegrina e Pordenone

Rientrato in Italia, fu inviato a Pellegrina (1957-1959) dove un gruppo di Fratelli mandava avanti una fattoria che doveva servire anche come scuola ai futuri tecnici agronomi dell’Africa.

A Pellegrina c’era una situazione un po’ particolare in quanto i nostri erano praticamente alle dipendenze della padrona della terra e della casa, un’anziana signorina, ex contessa, che aveva lo spirito di donna Prassede di manzoniana memoria. La vita non fu facile per nessuno, tanto che i Comboniani, ad un certo punto, lasciarono tutto ed emigrarono.

P. Dante fu il sostegno di tanti Fratelli che, in quell’ambiente, si sentivano un po’ frustrati. Contemporaneamente si dedicava all’animazione missionaria nella zona.

Dopo due anni andò a Pordenone, dove i Fratelli avevano scuole e laboratori fatti e diretti con criteri moderni ed efficienti. Vi rimase dal 1959 al 1963 dedicandosi ad un’intensa animazione missionaria nelle parrocchie. In comunità fu elemento di coesione e di buona armonia. In questo periodo ricoprì pure l’incarico di vice provinciale della provincia italiana.

Direttore della tipografia Nigrizia

Il 19 agosto 1962 il Padre ricevette una comunicazione da p. Peano nei seguenti termini: “Le mando la sua nuova assegnazione alla Curia Generalizia. Mi pare, però, che il Rev.mo p. Generale voglia darle un altro ufficio: la direzione della tipografia Nigrizia a Verona. P. Uberti non sta tanto bene e da lunghi anni vi lavora: un cambiamento si rende presto necessario.

Prendo l’occasione per ringraziarla del bel lavoro che ha fatto in questi tre anni a Pordenone sia nella scuola che nella predicazione. Pordenone sentirà molto la sua mancanza”.

La tipografia Nigrizia fu “delizia e croce” per p. Greggio. Quando vi entrò, la tipografia era classificata come “scuola tipografica” privata che formava i Fratelli destinati poi ad andare in missione ad aprire analoghe attività.

C’era anche una ventina di esterni che lavoravano stabilmente. Il lavoro che si portava avanti riguardava l’Istituto e alcuni enti ecclesiastici veronesi. I macchinari erano pochi e antiquati.

P. Greggio, sostituitosi all’eroico p. Uberti, cercò di modernizzare le strutture e chiese il permesso alla sacra Congregazione di Propaganda Fide di poter assumere operai e lavorare anche per clienti esterni “al fine di potersi sostenere finanziariamente”. Tale permesso, rinnovabile ogni dieci anni, venne concesso.

In pochi anni il lavoro aumentò notevolmente, i dipendenti raggiunsero la cifra di 150 e la tipografia divenne un ente commerciale a tutti gli effetti, cessando di essere “scuola”, anche perché i Fratelli che si specializzavano nel settore erano venuti a mancare. Dopo Mondadori, la prima tipografia a Verona era la “Nigrizia”. Ma proprio la sua espansione ne determinò la fine.

Gli ambienti, presso la Casa madre, erano angusti e inadatti a un simile lavoro, i camion carichi di carta non riuscivano a salire e a fare manovra, i macchinari troppo vecchi imponevano un lavoro continuo e, ciò nonostante, non riuscivano a far fronte alla concorrenza che, con macchine più moderne, realizzava molto più lavoro, quindi a prezzi migliori.

Ad un certo punto p. Dante capì che si imponeva un salto di qualità e cercò dei capannoni alla periferia della città perché aveva capito che, così come era strutturata la vecchia tipografia, non si poteva andare avanti. Ma a questo punto ci si domandava se ne valesse la pena o se invece fosse meglio lasciare certe imprese ai laici. Qualche confratello che andava nelle parrocchie della diocesi per le giornate missionarie si sentiva dire: “Perché venite a raccogliere soldi, voi che siete degli industriali?”.

Il discernimento fu lungo, difficile e sofferto. Chiudere tutto voleva dire mettere sulla strada le persone che avevano creduto nei Comboniani. Andare avanti, era impossibile perché ormai la tipografia rischiava di andare in passivo.

Si venne alla determinazione di trasformare l’impresa in una cooperativa gestita dagli operai stessi, in una sede diversa e con macchinari più moderni. I Comboniani si sarebbero serviti di essa per i loro lavori e anche i clienti di prima avrebbero accettato il cambio. Così nacque la Novastampa di Verona con sede in Via Lussemburgo. Alcuni dipendenti preferirono cercare lavoro altrove, altri accettarono il rischio di mettersi in proprio nella cooperativa.

I Comboniani seguirono tutte le fasi del passaggio con grande senso di responsabilità nei confronti degli operai, in genere giovani e con famiglia a carico, in modo che tutto avvenisse senza traumi. Fortunatamente le cose andarono bene perché i membri erano ben preparati professionalmente, giovani e pieni di buona volontà... Qualche anno fa la Novastampa ha celebrato il suo ventennio di vita, di florida vita.

Per p. Dante tutta questa operazione - è facile immaginarlo - costituì una grande sofferenza che, tuttavia, accettò con coraggio. Egli temeva per i dipendenti che amava e seguiva come un padre o un fratello. Quando vide che tutto andò per il meglio, fu il primo a rallegrarsi e a ringraziare il Signore.

Padre, non padrone

Un paragrafo a parte meriterebbe il suo rapporto con i dipendenti. P. Dante non era il “padrone” che comandava a bacchetta; era l’amico, il consigliere che riusciva ad ottenere il “più” e il “meglio” con la bontà, la comprensione. Non solo, ma molti dei suoi dipendenti lo interpellavano per i loro problemi di famiglia. Molti di loro erano stati uniti in matrimonio proprio da lui, ne aveva battezzato i figli, li seguiva con attenzione. La partecipazione dei suoi ex dipendenti al suo funerale, le testimonianze che hanno rilasciato, la dice lunga su chi era stato p. Greggio per ciascuno di loro.

Uno di essi ha detto: “In questa chiesa ci sono tanti ex dipendenti della tipografia Nigrizia e oggi membri della Novastampa. E’ questa una testimonianza di riconoscenza e di memoria per quanto p. Dante ha fatto per la crescita dell’azienda e per il bene individuale e collettivo... Eravamo una ventina a lavorare in un ambiente poco più che artigianale, ma già ambito da chi stava cercando un posto di lavoro. Quando la tipografia ha cessato la sua attività, cosa che ha stravolto i progetti imprenditoriali e le aspettative di p. Dante, eravamo in 150 che portavamo avanti una tipografia considerata un fiore all’occhiello nel campo grafico, tanto da attirare clienti anche da altre province. Credo di poter affermare, senza timore di esagerare, che anche a p. Dante va attribuita una fetta della storia della città di Verona”.

Il tempo della sofferenza

Nel luglio 1975 p. Greggio fu vittima di un incidente stradale che lo costrinse all’ospedale per alcuni mesi compromettendogli la corretta deambulazione. Tuttavia si riprese abbastanza bene tanto da sentirsi disposto a fare un’esperienza di missione, anche se non era più giovanissimo.

In data 13 agosto 1975 il p. Generale gli propose il Brasile “dato che conosci bene il portoghese”. E poi p. Agostoni concluse: “Approfitto dell’occasione per ringraziarti del lavoro che con grande buona volontà e dedizione hai fatto in questi anni. Oggi i segni dei tempi sono contrari alla tua opera come tipografo, ciò non diminuisce i meriti che ti sei fatto davanti al Signore nella tua dedizione al lavoro e alle persone. Grazie di cuore, caro p. Dante”.

Il Padre rispose manifestando la sua gioiosa disponibilità per un servizio alla missione “lei disponga di me come meglio crede, io sarò sempre contento”, rispose.

P. Dante fece il corso al CEIAL, spedì le valigie in Brasile, salutò amici e parenti in attesa del permesso che doveva arrivare da un momento all’altro. Col primo gennaio 1976, infatti, doveva essere in Brasile. Vide partire p. Chizzali, vide partire p. Podda... solo lui non partiva mai.

“Non le so dire la gioia che provo di fronte a questo passo. Conosco le difficoltà che incontrerò e i sacrifici che mi attendono, ma niente mi spaventa. Non trovo parole per ringraziare il Signore di questa grande grazia della missione dove spero di far conoscere e amare Gesù Cristo da tutti”, scriveva nel marzo 1976.

I picconatori...

Poi aggiungeva una nota triste: “Sono abbastanza sereno nonostante le calunnie e diffamazioni messe in giro per distruggermi. Dio mi è testimone che ho sempre cercato di agire con rettitudine e nel modo migliore. La Madonna di Monte Berico, che mi ha visto salire ogni settimana al suo santuario, può testimoniare quanto sia attaccato alla mia vocazione e quanto ami i miei confratelli”.

La faccenda della tipografia, che non lo aveva trovato concorde con altri, portava i suoi frutti velenosi. Ma la cosa divenne ancor più penosa se leggiamo una lettera del 16 luglio 1976, scritta da Verona al p. Generale:

“Sono profondamente scoraggiato. Il motivo lo conosce e io non so più cosa pensare. Quando il 13 giugno lei è stato a Verona per il 50ø di messa di p. Todesco, e mi disse che il permesso era arrivato, non sapevo più come contenere la mia gioia. Tre giorni dopo stavo per venire a Roma e, alla mia telefonata, mi si disse di non partire perché il permesso non c’era.

Ora tutto sta crollando in me, caro Padre: fervore, entusiasmo e perfino la salute. Uno stato di agitazione e di insonnia mi accompagnano. A tutto questo si aggiungono certe voci alle quali non voglio credere... ‘Il permesso per te non l’avranno mai chiesto... Qualcuno avrà messo dei pali tra le ruote... Si sono divertiti a darti l’illusione della partenza, ma là non ti vogliono...’. Non so più cosa fare e cosa dire a coloro che mi pensano già in Brasile. C’è sotto qualcosa che io non conosco?

Da Balsas mi hanno comunicato che sono destinato alla missione dell’Alto Parnaiba con p. Sesenna... Scusi se ho scritto in un momento veramente difficile per il mio stato d’animo che è sempre pronto a dare gioia, felicità e serenità agli altri...”.

E’ triste constatare come alle volte ci si diverta a farci del male! Fortunatamente, prima ancora della risposta del superiore generale, arrivò il permesse di partire e p. Dante non attese un giorno di più.

Vent’anni di Brasile

Giunto in Brasile, venne destinato alla missione di Uru‡uì, ma subito il sigillo della croce segnò i suoi primi mesi di ministero. Infatti gli giunse la notizia della morte di un suo fratello. Scrisse a p. Centis: “Fu per me una scossa tremenda perché eravamo molto intimi. Penso che da lassù mi aiuterà di sicuro. Infatti sto bene e ho un lavoro che soddisfa avendo incontrato terreno vergine. Ero stato destinato ad Alto Parnaiba ma, giunto in Brasile, le necessità di Uru‡uì erano più gravi per cui sono qui e sono contento”.

La parrocchia misurava 30.000 Kmq e la cittadina 8.000 abitanti. In più c’erano tre grossi quartieri, per cui il lavoro non mancava sia a p. Dante che a p. Lombardi, suo compagno di missione. Il caldo era piuttosto intenso, in più i viaggi erano alquanto disagevoli. Molto spesso il Padre usava il cavallo e, più spesso, la canoa “che mi mette paura. Ma i sacrifici che si fanno sono ben ricompensati dal Signore. Dire quello che si prova è difficile: dico solo che sono felice, sono contento”.

Qualche amico di Verona, di tanto in tanto, riceveva un suo scritto con le notizie della missione e qualche foto. Chi scrive ne ricorda una in particolare: p. Dante circondato da una folla immensa di bambini con le mani alzate che lo salutavano al suo arrivo in un quartiere. Sì, era il p. Dante di sempre, capace di suscitare entusiasmo e gioia in chi gli stava accanto.

Anche i sentimenti che accompagnavano il suo lavoro pastorale erano belli. Scrisse a un confratello:

“Passando su questa terra tanto desiderata e tanto attesa, chiedo al Signore che si serva di me per fare qualcosa di buono per il suo regno e per questa povera gente. E se tu sei mio amico, non dimenticarmi nella tua messa, ma chiedi al Signore che io sia veramente quello che Lui vuole che sia, e che cerchi solo Lui, che lavori solo per Lui. Non chiedo altro...”.

Il Padre lavorò bene e i frutti, tra quella gente semplice e spontanea, non si fecero attendere: la chiesa si riempiva di gente sempre più convinta, le catechesi erano frequentatissime e i sacramenti venivano ricevuti con devozione.

Padre degli orfani

Anche p. Dante s’imbatté nel dramma dei “meninos de rua”. Egli non pensò a costruire scuole od orfanotrofi per loro, ma cercò di inserirli in vere famiglie. P. Danilo Volonté, durante la messa funebre del Padre, ha raccontato degli episodi toccanti su questo argomento.

“Un giorno, mentre andavo con p. Dante in un luogo, mi chiese di fermarmi in una certa località. Entrati in una casa, vidi una quindicina di ragazzi che gli si gettarono al collo abbracciandolo. Il Padre celebrò la santa messa, catechizzò i ragazzi e i genitori, fece un po’ di festa con loro e poi riprese la strada. Quindi mi spiegò che i figli veri di quella famiglia erano solo 6, gli altri 9 li aveva portati lui, uno alla volta, a seconda che li aveva trovati davanti alla porta della canonica.

‘Per i ragazzi occorrono le famiglie vere, non quelle artificiali’, mi disse col solito sorriso. Seppi che ne aveva tante di queste famiglie in giro e, per aiutare i genitori a mantenere tutti quei ‘suoi figli sfortunati’, come li chiamava lui, si faceva aiutare dai suoi familiari, amici e parenti. E poi concludeva: ‘Anche economicamente, in questo modo, il loro mantenimento costa meno e rende di più’.

Ho potuto constatare che i bambini ai quali aveva trovato una famiglia lo consideravano come il loro papà. Vorrei aggiungere - ha concluso p. Danilo - che uguale attenzione usava anche per i confratelli di passaggio o che dimoravano nella sua parrocchia. Era attento alle loro necessità e cercava di prevenire i loro bisogni. Con loro condivideva anche gli aiuti economici che riceveva dai suoi amici in Italia con grande larghezza di cuore. ‘Ma sì - diceva - siamo tutti fratelli, tutti sulla stessa barca, remiamo insieme’. Davvero è stato uomo di pace, di dialogo di condivisione”.

Tutto concorre per un bene maggiore

Nel novembre del 1980 scriveva: “La mia salute è ancora buona. Sono terminati i lunghi e difficili viaggi all’interno e ora, a causa delle piogge che mutano le strade in torrenti, il lavoro è concentrato in città. Ho avuto grandi soddisfazioni quest’anno poiché abbiamo inaugurato sei nuove cappelle che si aggiungono a quelle costruite negli anni scorsi, le cresime furono più di 800, le prime comunioni più di 1.000, 600 i matrimoni e più di 2.000 i battesimi. Questo popolo è capace di grandi cose”.

Scrivendo al p. Generale, disse. “I sacrifici fatti prima di venire qui, le umiliazioni, le sofferenze fisiche, morali e spirituali abbracciate per un ideale al quale avevo sempre creduto, mi hanno offerto una missione che mi ha fatto credere ancora di più che ‘Lui tutto permette perché noi ne ricaviamo un bene maggiore’. Oggi ho tutto dimenticato e non mi resta che ringraziare il Signore anche delle croci.

In questi tre anni ho dato tutto al mio popolo che mi ha accolto a braccia aperte. A Uru‡uì oggi tutti si sentono fratelli e nessuno è emarginato. Qui non c’è solo povertà, c’è anche miseria, le malattie sono numerose e tanti bambini muoiono. I grandi, gli adulti, vogliono il Padre quando la malattia si fa seria. Finora nessuno è morto senza sacramenti.

Le comunità sono 79. Abbiamo restaurata la grande chiesa e l’attività pastorale è sempre più massiccia. Ci sono i capi comunità che sono ben preparati e fanno molto bene. Noi abbiamo puntato tutto su di loro”.

Pericolo evitato

Nel 1985 il Padre corse serio pericolo di rientrare in Italia. P. Milani, infatti, scrisse al provinciale del Brasile Nord, p. Lello Gasperoni, che cominciasse a preparare l’animo di p. Greggio per un suo ritorno in patria come predicatore di giornate missionarie.

“Dopo quasi 10 anni di Brasile, potrebbe fare animazione missionaria e giornate missionarie nel Lazio. Il Padre apparterrebbe alla provincia italiana, ma abiterebbe qui in Curia. Sarebbe un servizio molto utile e in linea con le nostre finalità. La scelta del Padre è fatta conoscendo le sue capacità”.

Fortunatamente non se ne fece nulla e il Padre poté continuare il suo lavoro in Brasile.

Dal 1988 al 1989 fu superiore locale a Timon. Interruppe questo incarico per dare inizio al Centro di Animazione Missionaria di Teresina, e poi, dal 1990 al 1995 fu incaricato della parrocchia di Paraibano dove rimase fino a quando dovette ritornare in Italia per il manifestarsi dei problemi circolatori che lo avrebbero condotto alla tomba.

A Paraibano, piccola parrocchia, il Padre rimase da solo per parecchio tempo. Egli, però, insieme ai laici, seppe organizzare il lavoro così bene, che non si sentì il bisogno di mandargli un altro sacerdote. Viveva con lui il Fratello Guido Tosi, un po’ sofferente e perciò limitato nelle sue possibilità di lavoro. Tra i due c’era un’amicizia così sincera e cordiale che costituì motivo di edificazione per tutta la parrocchia.

Quale fu il dolore del Padre quando, una mattina, trovò il confratello morto nel suo letto. Ciò gli accentuò gli acciacchi che già si portava dietro da un po’ di tempo. Le gambe, infatti, non lo reggevano più tanto bene, per carenza circolatoria. Fu ricoverato più volte all’ospedale e riuscì sempre a cavarsela in modo da riprendere il suo lavoro.

In Italia

Ad un certo punto il Padre non era più in grado di svolgere le sue funzioni. Già da tempo, infatti, non era in grado di guidare l’auto perché le gambe non gli obbedivano più.

P. Daniele Coppe andò ad aiutarlo e anche a sostituirlo insieme a p. Giovanni Caliari, quando si decise di farlo venire in Italia per analisi più approfondite e cure radicali. Scrive la sorella Bruna:

“E’ tornato in Italia nell’agosto del 1995 già molto debilitato nel fisico, ma contento nello spirito perché pensava che, dopo qualche mese, sarebbe tornato alla sua missione. E’ stato ricoverato all’ospedale di Negrar e Borgo Trento. I sanitari riscontrarono che la situazione era peggiore di quanto ci si aspettasse. Tuttavia il Padre, grazie anche al suo perenne ottimismo, riuscì a riprendersi. Volle trascorrere il Natale del 1996 in famiglia, ma verso la fine dell’anno le sue condizioni si aggravarono ulteriormente così da essere ricoverato in rianimazione a Padova.

La malattia è stata un vero Calvario: tanta sofferenza, poche speranze, tuttavia il Padre era sicuro che ce l’avrebbe fatta. E infatti fu proprio così. Il suo spirito era sempre alto e nei suoi pensieri c’era solo il giorno in cui sarebbe salito sull’aereo che lo avrebbe riportato in Brasile, anche se noi fratelli cercavamo di scoraggiarlo. Ma la sua risposta, accompagnata sempre da un grande sorriso era questa: ‘Non preoccupatevi per me, perché dovrò essere sepolto in Brasile insieme alla mia gente’”.

Sempre sulla breccia

Nel tempo della sua malattia, era difficile tenerlo in casa: andava a trovare gli amici, le famiglie dei suoi ex dipendenti della tipografia, i sacerdoti che conosceva da tanto tempo.

Per la celebrazione dei 21 anni della Novastampa, fu invitato e partecipò alla festa. Fu un momento bello per lui vedere attorno a sé i suoi vecchi dipendenti con i loro figli, le loro famiglie. Non riuscendo a esprimersi alla fine della festa causa la commozione, il giorno dopo scrisse a ciascuno una lettera:

“Nel ringraziare tutti, posso affermare che con il vostro gesto mi avete rubato il cuore. Avervi ritrovati dopo tanti anni ancora tutti uniti, ben animati, e responsabili per il vostro lavoro, è stata per me una grande soddisfazione... Abbiamo rivissuto la bella grande famiglia della tipografia Nigrizia di vent’anni fa. Il vostro gesto ha fatto onore alla Novastampa”.

E poi balzò fuori lo spirito paterno che lo aveva sempre animato: “Miei cari figlioli, in questi vent’anni passati in Brasile non vi ho mai dimenticati, ho continuato a portarvi nel cuore. Se volete sentirvi felici e far felici le vostre famiglie, vi esorto a stare sempre uniti. A volervi bene, ad aiutarvi, a perdonarvi. Siate sempre buoni cristiani e pregate per me. Con affetto benedico tutti e già vi annuncio che, dopo Pasqua, spero di ritornare in Brasile. Verona 14 febbraio 1997”.

Bisogna dire che il Padre si era ripreso abbastanza bene anche se gli infermieri scrollavano la testa quando diceva che si sentiva di tornare in Brasile. Intanto viveva la sua vita presso il Centro Ammalati di Verona, passeggiando in corridoio, scendendo in cortile, intrattenendosi con i confratelli in piacevoli discorsi.

Si parte?

In data 27 novembre 1997 scrisse a p. Daniele Coppe, che era in Italia: “Ti scrivo per farti una proposta. Mi hai detto che il nostro Provinciale ti ha telefonato chiedendoti quando sarà il tuo rientro. Dovendo programmare la mia partenza (i medici sono stati soddisfatti dell’esito ultimo delle mie analisi e mi hanno dato il via libera) potremmo partire insieme verso la metà di gennaio 1998. Ti andrebbe bene? Attendo, dunque, la tua visita per fissare il volo e così terminerà la mia via crucis in Italia. Stammi bene e sii sempre il mio caro Daniele d’una volta. Dio ti vuole bene e anch’io te ne voglio moltissimo”.

P. Dante era deciso a partire. Ma è bastato un piccolo spostamento per condividere una giornata insieme ad un amico parroco, per far precipitare le cose.

In seguito ad un collasso cardiaco con insufficienza respiratoria, fu portato d’urgenza all’ospedale di Bussolengo. Durante la sua degenza i sanitari hanno scoperto che un polmone era completamente invaso da tumore. Nonostante le cure massicce, la situazione precipitò e il giorno 18 dicembre alle ore 8.00 tornò alla casa del Padre per improvvisa rottura di una vena polmonare.

I funerali in Casa madre videro un gran numero di confratelli concelebranti e un foltissimo gruppo di parenti, amici, conoscenti ed ex dipendenti della tipografia Nigrizia, tanto che la chiesa non poteva contenerli tutti.

Le testimonianze dei suoi ex operai furono toccanti: “Grazie, Signore per aver messo sulla nostra strada p. Dante che ci è stato maestro, padre e consigliere”... “Dacci la forza, Signore, di seguire la via che lui ha tracciato nei nostri anni giovanili”...

“Quando andavo a trovarlo nella sua camera, sopra il suo tavolo c’era il ritratto del beato Comboni e alcune foto di bambini brasiliani. Con gioia mi parlava delle visite ricevute da questo o quel collega di lavoro, da questa o quella coppia di sposi ai quali egli stesso, in quegli anni, aveva benedetto le nozze... Mai che gli sia uscito dalla bocca un’espressione di biasimo per nessuno o che abbia rivangato le sofferenze e le umiliazioni di tanti anni fa.

P. Dante aveva già le valige pronte per la sua amata missione, ma c’è stato Qualcuno, con la ‘Q’ maiuscola, che ha pensato per lui un viaggio diverso”.

Fu pianto in Brasile

Anche dal Brasile sono arrivate testimonianze di affetto e di riconoscenza per quanto il Padre aveva fatto: “Tutto il popolo di Paraibano soffre per la sua partenza da questo mondo, ma sa che ormai si trova accanto al Signore. Noi cerchiamo di mettere in pratica quello che lui ci ha insegnato con tanto amore e dedizione”.

“Zelo nella missione, gioia nella vocazione, amicizia a lungo coltivata, stima e apprezzamento degli altri, sono le caratteristiche che hanno contrassegnato la vita di p. Dante, il suo essere sacerdote, il suo appartenere ai missionari comboniani”, ha detto il celebrante. E poi ha aggiunto: “Sopra l’immaginetta che ricorda i suoi 40 anni di sacerdozio ha scritto, tra l’altro: ‘Ho voluto essere sacerdote perché Gesù mi ha chiamato; ho voluto essere missionario per portare Cristo ai più lontani; ho voluto essere comboniano per essere solidale con un popolo sofferente e oppresso. Mai mi sono pentito di essermi offerto a Dio, e mi sento la persona più felice di questo mondo. Mi piacerebbe che la mia felicità risvegliasse nei giovani il desiderio di fare la stessa esperienza’.

Il ricordo del caro p. Dante sia per noi missionari comboniani, fratelli, familiari ed amici in benedizione per il cammino che ci sarà concesso da Dio. Il suo esempio gioioso, zelante, costruttivo ci sia di stimolo nella coerenza quotidiana e nell’impegno di edificare la nostra felicità sulla roccia della carità e del perdono”.

Dopo il funerale in Casa madre, la salma è stata portata nel cimitero di Chiesanuova, accanto ad altri suoi familiari.

P. Lorenzo Gaiga, mccj

Da Mccj Bulletin n. 199, aprile 1998, pp. 102-110

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Vai perdurar na nossa memória a figura sorridente e bem disposta do padre Dante Greggio e a sua peculiar maneira de saudar as pessoas: um afago de mâo seguida pela saudaçâo jocosa `ciao, menino/a ruim!’ A sua presença transmitia boa disposiçâo, alegria e simpatia. O itinerário e o dinamismo da sua vida, deixou-os ele mesmo num pequeno escrito alguns meses antes de morrer: “abençoa, Senhor, os campos do meu trabalho: Portugal, Uru-çuí, Teresina, Paraibano, mas especialmente as crianças, os pobres, os doentes e os velhi-nhos...” Os necessitados encontraram nele um coraçâo acolhedor e vibrante de humanidade.

P. Dante Greggio nasceu a 6 de Julho de 1926 na diocese de Pádua. Aos 18 anos, entrou no noviciado de Florença onde professou dois anos mais tarde , a 9 de Setembro de 1947. Em Rebbio fez o triénio do curso de Filosofia, passando para Venegono Superiore onde fez a Teologia e fez a profissâo perpétua. Foi ordenado sacerdote a 30/05/1953.

Primeiro campo de trabalho: Portugal desde 1953-57.

Após a guerra, o Instituto sentiu a necessidade de alargar as fronteiras para fora da Itália. Em Portugal, apostou energica e decididamente na promoçâo vocacional. O seminário menor em Viseu, apenas inaugurado, tinha acolhido os primeiros grupos de seminaristas pro-venientes da regiâo; urgia ir mais longe, abranger toda a regiâo das Beiras, propícia em vocaçâes missionárias. P. Dante foi enviado como promotor vocacional. Jovem e forte, bom falador e simpático, sempre de mota, envolto de batina e impermeável, dedicou-se a percor-rer as paróquias, sobretudo as da diocese da Guarda, visitar as escolas, pregaçâes quares-mais, retiros. Revelou-se um grande animador missionário. Sua preocupaçâo era sensibilizar as paróquias e o povo para que sentissem como seu o seminário. Para isso, constituiu grupos paroquiais de colaboradoras que foram a semente geradora de milhares de núcleos, hoje espalhados por Portugal. Inesquecíveis os dias de passeio de todo o seminário, seminaristas e superiores, às paróquias da regiâo de Tondela e Belmonte. Eram necessários dois ou três autocarros e ficar fora um ou dois dias. Nâo eram obstáculo para as grandiosas idéias do P. Dante. As colaboradoras tudo organizavam, a recepçâo, refeiçâes, custo dos autocarros e com quanta dedicaçâo. Era uma grandiosa jornada de animaçâo missionária! O povo ficava boquiaberto com o canto dos seminaristas na missa cantada e com a melodia das cançâes, ao ar livre, na hora da despedida.

Um confrade, que com ele trabalhou nesta época, testemunha : eceu-me um livro que ainda hoje tenho comigo, um manual do missionário. Foi meu conselheiro e amigo.”

Em 1956 foi destinado para Famalicâo, onde os Combonianos abriram o Noviciado na antiga residência paroquial, expropriada pelo Governo massónico e vendida a um particular o qual, por sua vez, a vendia aos Combonianos. Nessa altura, faleceu o pároco idoso; na emergência, o Arcebispo de Braga pediu que os Combonianos assumissem a orientaçâo da paróquia de S. Tiago d’Antas. O P. Dante, em poucos meses, deu uma grande safanâo na pastoral sonolenta e conservadora de alguns párocos, através do espírito missionário e de várias várias associaçâes, privilegiando o sector das crianlas e jovens. Hoje ainda sâo recordados oe encontros de formaçâo e programaçâo bem como os passeios da Catequese, envolvendo os pais, catequistas e educandos.

É deste tempo um episódio revelador da magnanimidade que o P. Dante mantinha com os amigos. Um amigo, que ele encontrou anos antes na Guarda, telefonou-lhe dizendo que nâo estava bem e solicitava a sua presença para pôr as contas em dia. Só com ele era capaz de endireitá-las. A cidade da Guarda ficava distante 250-300 km, inverno, estradas tortuo-sas... P. Dante, com a sua inseparável mota, viajou toda a noite, regressou de madrugada, depois de ter acontentado e ajudado o seu amigo a morrer serenamente.

Na Itália

Em 1957, regressou à Itália. Continuou o serviço de animador missionário na casa de Pellegrina, e mais tarde, em Pordenone, exercendo também o cargo de Vice-Provincial.

Em 1960 assumiu a direcçâo da Tipografia Nigrizia em Verona, aqui permaneceu até 1976.  testemunha um confrade. Modernizou a tipografia preocupando-se que fosse uma escola de qualificaçâo profissional. Os jovens escolásticos encontravam nele um amigo atento e conversador. Por vezes, os empregados eram insuficientes para atender às encomendas da Tipografia. Sobretudo na embalagem e despacho, pedia a colaboraçâo dos escolásticos. No dia de S.Luzia, dia dos presentes, o director da Tipografia sabia retribuir com muita largueza.

Apesar de sentir-se bem empenhado na Tipografia, nâo era pessoa para estar parada: respondia e satisfazia os pedidos, pronto para o ministério e animaçâo missionária nas paró-quias. Era uma pessoa de uma grandeza humana e apostólica fora do comum e de uma sensibilidade muito fina. Passando por Verona um missionário comboniano, colega seu em Portugal e agora com destinaçâo para Moçambique, o P. Dante chamou-o e deu-lhe uma garrafa de Amaretto de Saronno: “ a tua querida mâe ao ter conhecimento da tua destinaçâo para a âfrica, ficará, com certeza contente, mas, ao mesmo tempo, triste... fica bem um Ama-retto-Saronno: tu realizarás o teu sonho, mas ficarás mais longe da mâe”.

No Nordeste do Brasil : 1976-94.

Em 1976 solicitou e foi-lhe concedido partir para a missâo. O desejo acalentado por tantos anos, começou a realizar-se na paróquia de Uruçuí, diocese de Floriano, no sul do estado do Piauí. Uma paróquia com cerca de 40 mil pessoas, esparsas pelos municípios de Ribeiro Gonçalves, António Almeida e Aruçuí, numa áera de 22 mil km2. mboni. O P. Greggio foi Dante: ele dava a todos, tudo e sempre. Qualquer pessoa que se driigisse a ele suplicando, muito dificilmente saía sem obter o que pedia. Esta sua característica atraía o povo que a ele recorria por qualquer necessidade, mas naturalmente colocava em apuros quem lhe sucederia, nâo dispondo dos recursos como ele. E houve quem obtivesse mais do que convinha».

Incentivou a animaçâo missionária, levada para a frente com grupos actualmente activos: coroinhas, catequistas e líderes de comunidade. Olhava com especial carinho o Jardim infantil. Esforçou-se para que a comunidade sentisse e assumisse progressivamente a manutençâo das diversas pastorais, implementou a prática do dízimo quando ainda pouco dele se falava. Foi sobretudo na pregaçâo que o povo teve a possibilidade de contactar a sua alma fervorosa e entusiasmante.

Nas longas visitas pelas comunidades, durante vários dias seguidos, era normal deixar o carro e prosseguir a cavalo ou a pé, carregando o indispensável para dormir e para a celebraçâo da Eucaristia. Tudo era enfrentado com alegria e no mais sereno optimismo. Numa dessas desobrigas, despoletou uma infecçâo no pé que, nâo devida e prontamente curada, lhe causará sérios problemas pela vida fora. As contínuas viagens pela vastíssima área da paró-quia foram minando a robustez física do P. Dante.

No meio das contrariedades apostólicas, sonhava com a criaçâo de varias paróquias: evitaria desgastantes viagens, possibilitaria melhor acompanhamento às populaçâes afastadas do centro, evitaria as deslocaçâes do povo, e valorizaria os maiores centros populacionais.

Outro grande problema vivido em Uruçuí foi o da igreja matriz, construída há muitos anos pelo Padre Pequeno, e que agora ameaçava desmoronar pela aproximaçâo das águas do rio Parnaíba, por causa da construçâo da barragem da Boa Esperança. O P. Dante procu-rou conscientizar o povo para o problema da construçâo da nova igreja, em lugar mais seguro e mais central, e adquiriu o terreno na parte alta da cidade. Nâo viu o seu sonho realizado. Concretizou-o o seu sucessor, P.  António di Lella, ajudado pela maestria do grande construtor, Irmâo Elígio Locatelli, missionário comboniano e com o apóio técnico, completa-mente gratuito, do sr. Agenor Santana de saudosa memória.

Teresina (1988-89)

Em Maio de 1988 foi enviado para Teresina para integrar a equipe do Centro de Animaçâo Missionária, que, provisoriamente usava a casa do seminário menor diocesano, emprestada pelo Arcebispo. Antes de assunir o trabalho, fez uma viagem pelo sul do País, Rondónia e Porto Velho para se inteirar da animaçâo missionária e seus desafios mais prementes em todo o Brasil. Fica admirado pela organizaçâo em várias comunidades comprometidas pelos oprimidos e pelo trabalho do CIMI. Com o P. Filippi Andrea e o Irmâo António Marchi organizam o plano de acçâo para os estados do Piauí e Maranhâo. O P. Dante fala nas paróquias da cidade de Teresina e faz-se acompanhar pelos jovens animadores que se encarregam sobretudo da difusâo da imprensa missionária. Aos domingos, o CAM transforma-se em casa de oraçâo e reflexâo missionária. Os participantes interessados e pontuais, sâo enviados pelos párocos ou aparecem espontaneamente. Organiza vários cursos de formaçâo nos fins de semana, ajudado por outros combonianos e por um ou outro pároco, postulantes, noviças, religiosas e seminaristas do seminário maior. Após um ano de presença em Teresina, a avaliaçâo foi muito positiva : “muitas comunidades despertaram para a dimensâo missionária e têm os seus leigos comprometidos sem medo e sem respeito humano; alguns párocos colaboram ; a rifa missionária realizada na catedral; o bom êxito da campanha missionária deste ano...” . No ano de 1989, foram intensificados os contactos com as paróquias com vista a criar grupos paroquiais missionários, as visitas às escolas e colégios particulares, cursos missionários para formaçâo de animadores missionários. Sempre se fazia acompanhar por leigos/as. No meio desta azáfama, surgem com acuidade as dores do pé que o impedem de conduzir, fazendo-se ajudar por um motorista.

Em Março de 1990, chegou o P. Primo Silvestri trazendo a experiência de 27 anos de Brasil nas diversas pastorais de animaçâo missionária e promoçâo vocacional no Brasil Sul. P. Dante partiu de férias, em Abril de 1990 deixando admiraçâo sobretudo no Arcebispo Dom Miguel e dos párocos.

Paraibano : 1990-94.

Foi o último campo de trabalho no Brasil Nordeste. Já sem a irruência dos primeiros anos, mais maduro e mais ponderado, revela-se muito humano e próximo dos que mais sofrem. Dele diz um paroquiano: usiasmo sobravam naquele homem apesar dos problemas de saúde. Homem batalhador em prol dos seus ideais cristâos, recarregava as suas baterias na oraçâo e no amor pelo próximo». A frequência religiosa, sobretudo dos homens, foi sempre o calcanhar de Aquiles na pastoral do Maranhâo. P. Dante nâo perdia o ânimo de convidar e congregar o povo para as celebraçâes e comprometê-lo com a Palavra de Deus. Anunciava a reconciliaçâo e o amor de Deus, repetindo frequentemente nas suas homilias `nâo existe pecado algum que a misericórdia de Deus nâo possa perdoar’.

A comunidade das Irmâs, presente em Paraibano, testemunha: osta era sempre a mesma ‘estou óptimo, repousarei só no céu’. Os seus preferidos nas visistas e nas oraçâes quotidianas foram os doentinhos, os idosos e as crianças».

Como sempre, nâo descuidava os jovens, indo ao seu encontro nas escolas e propondo espaços concretos e empenhativos de acçâo. Lembra uma jovem : o grupo que hoje continua firme... Para mim, P. Dante continua a ser sinónimo de amor, fé, bondade, humildade, sensibilidade aos amigos em todas a horas, pai dos mais necessitados, pessoa que possuía a mais bela das virtudes: o altruísmo».

Nos últimos meses agravou-se o estado de saúde. P. Dante teve que ser assistido num dos hospitais em S.Luís, onde foi submetido a um transplante na base do pé. Oportunidade para criar simpatia e amizade com médicos e pessoal de assistência.

Verona : 1995-97

Vindo de férias, e passou pelo Centro de doentes em Verona. A resistência física foi diminuindo, surgiram os problemas cardiovasculares e de diabete. Foi forçoso parar e fazer uma reparaçâo geral.  alegria por ter conseguido uma simples casa ou um pedacinho de terreno para algumas famílias pobres». Ansiava melhorar rapidamente e regressar à terra da sua saudade, o Nordeste do Brasil.»

Quando apresentava melhoras de recuperaçâo e parecia que o sonho do regresso era possí-vel, no aconchego de família em Bussolengo de Verona, no dia 18 de Dezembro, P. Dante foi chamado, como servo bom e fiel, a entrar na alegria sem fim do Senhor, a quem serviu na pessoa dos mais pequeninos. A sua dedicaçâo, doaçâo, entusiasmo, ardor missionário, foram para nós um grande dom de Deus. O menino ruim continua sendo estímulo para nós combonianos para anunciarmos o Reino entre os empobrecidos e excluídos deste malogrado e esquecido Nordeste brasileiro.        P. A. Alves