Sabato 15 marzo 2025
Nella nazione africana non si placano gli scontri tra truppe regolari e milizie. Il vescovo di Bentiu, Christian Carlassare, invoca la pace, lavoro e dialogo sociale, mentre denuncia l’abbandono della comunità internazionale. “Le chiese nel Paese - ribadisce - sono unite al Papa in questo momento di debolezza fisica”. [Vatican News]

Lo Stato più giovane al mondo, il Sud Sudan, rischia di sprofondare ancora una volta nel baratro delle violenze senza fine. Da mesi ormai si fronteggiano le Forze di difesa del popolo del Sud Sudan (SSPDF) che fanno capo al presidente Salva Kiir e la milizia White Army, affiliata al Movimento di liberazione del popolo sudanese - in Opposizione (SPLA-IO), legato al primo vicepresidente del Riek Machar. La repubblica, nata le 2011 dopo decenni di scontri, ha già conosciuto l’orrore dalla guerra civile tra il 2013 e il 2018, spetto che ora sembra riprendere forma. Le elezioni previste per dicembre 2024 sono state rinviate alla fine del 2026 e potrebbero saltare gli accordi di pace siglati nel 2018. Per Christian Carlassare, vescovo di Bentiu, è necessario costruire la pace e ridare speranza alla popolazione.

Eccellenza il Sud Sudan è di nuovo scomparso dai radar internazionali. Giace letteralmente sul petrolio eppure è uno dei Paesi più poveri al mondo. Come è possibile?

Probabilmente, rimane tra i Paesi più poveri proprio perché è dimenticato e abbandonato dall’interesse e dal sostegno internazionale, mentre è vittima delle dinamiche mondiali di sfruttamento delle risorse, petrolio in primis al momento, ma anche altre risorse. Tutto ciò aggravato dal fatto che le istituzioni sono ancora povere ed incapaci di stare dalla parte dei cittadini garantendo lo stato di diritto.

Come vive la popolazione la situazione attuale?

La popolazione tende a vivere la situazione con rassegnazione. In fondo non ha mai conosciuto istituzioni capaci di garantire il dialogo sociale, la risoluzione dei conflitti senza l’uso della violenza e la stabilità economica per favorire l’impresa, perché il lavoro produca ricchezza e sviluppo. Vive spesso di espedienti e chi si arricchisce lo fa perché coglie l’occasione, a volte anche in modo molto discutibile. Gran parte fa affidamento sull’aiuto umanitario come una opportunità importante ma, in questo momento, anche questo aiuto umanitario viene messe in discussione.

Le elezioni sono state rinviate, ma sono fondamentali per rilanciare il Paese…

Sono un esercizio importante nel processo di democratizzazione del Paese. Sono previste dall’Accordo di Pace come coronamento del processo, in seguito anche all’attuazione di molte altre Risoluzioni. Una di queste Risoluzioni è, per esempio, quella dell’unificazione dell’esercito nazionale, mettendo fine alle tante milizie che rispondono a vari capi o gruppi.

Negli anni passati c’è stato il tentativo di chiamare le reclute per un addestramento, ma non si è mai riusciti a posizionarle in tutte le regioni del Sud Sudan, perché?

Permangono gruppi armati che non rispondono allo Stato Maggiore; rimane una tribalizzazione di questi gruppi armati: qui sta il problema! E la politica ne sembra implicata, perché li usa quando possibile, pur non avendone totalmente il controllo. Perché succede così con la violenza: quando la si usa poi non si ha più il controllo di quello che la violenza può fare dentro un Paese. In questi giorni infatti seguiamo con preoccupazione l’azione del governo per cambiare il battaglione presente a Nassir. In questo tentativo si è scontrato con la milizia locale, conosciuta come White Army (Esercito Bianco) che sono giovani reclute dei gruppi di opposizione contro il governo.

Cosa ha innescato lo scontro?

La ragione di questo scontro sembra essere la presenza, insieme ai soldati governativi, di un’altra milizia contraria a quella locale nel posto. Quindi stiamo ricevendo notizie di scontri che stanno avvenendo per la miopia di chi ha il comando ed è incapace di mettersi in dialogo prima di prendere delle scelte. Perciò le incomprensioni che ci sono nella capitale si traducono poi in scontri nei territori, perché non si parla lo stesso linguaggio e non c’è la stessa comprensione delle problematiche che le popolazioni locali vivono lì nel territorio dove si trovano.

Torniamo alle elezioni. Perché lo slittamento al 2026?

Bisogna capire se ci sia davvero la volontà di raggiungere le elezioni o, se anche nell’ambiente politico, si voglia semplicemente mantenere la situazione che c’è con i suoi equilibri: e, per la verità, equilibri molto labili ma pur sempre equilibri. Credo che la questione per i nostri governanti sia proprio come sia possibile, ad oggi, tenere insieme il Paese in questa situazione di crisi economica piuttosto grave, cercando di non mantenere gli stessi gruppi politici o gruppi al potere ma piuttosto di avere come amministratori del Paese persone competenti che siano in grado di rispondere alle gravi situazioni che si verificano a tutti i livelli: di sicurezza, di sviluppo economico, della sanità, di educazione; dove i Ministri che sono incaricati siano davvero in grado di mettere in campo un percorso che porti il Paese ad essere migliore di quanto lo è ora.

Il Papa ha visitato il Paese nel 2023 e ha ribadito con forza la necessità del coinvolgimento della comunità internazionale nel processo di sviluppo, puntò il dito contro le armi e lo sfruttamento. Quale è l’eredità di quella visita?

Il ricordo della visita del Santo Padre a Giuba è ancora molto vivido nella gente, e certamente offre una grande forza e autorità al ministero della Chiesa in un Paese che chiede evangelizzazione, coniugata con un processo di dialogo e riconciliazione. Una pacificazione che può realizzarsi solo quando la popolazione si riconcilia con il proprio passato e riconosce che non c’è altra via che quella di vivere la fraternità fra tutti i gruppi etnici presenti nel Paese. Ci sono molti sudsudanesi che sono già sintonizzati su questo percorso - penso alla comunità civile -, ma molti altri che sono ancora plagiati o manipolati per mantenere divisione e l’interesse parziale di alcuni gruppi.

Come vivono in questo momento le comunità nel Paese?

Le chiese in Sud Sudan sono unite intorno al Papa e pregano per lui in questo momento di debolezza fisica; e il Papa ci insegna che ad indicare la strada non sono sempre i più forti, i potenti, i sani, ma chi è debole e spesso messo da parte, magari anche i malati come lui ora, forse hanno uno sguardo diverso sulla realtà. E allora l’invito è per quelli che hanno il passo veloce, di rallentarlo, di accostarsi ai poveri, agli ultimi, e imparare un altro tipo di passo, che non è quello spedito, veloce, dell’economia e dell’interesse del nostro mondo moderno, ma quello della fraternità, che è l’unico passo che produce comunità e comunione.

Quale è il rapporto tra le fedi presenti?

Abbiamo tante chiese cristiane, o denominazioni cristiane, una buona presenza anche di musulmani. C’è rispetto, ma non sempre comunione. Il cammino comune è quello della fede e della speranza: una visione e un approccio di vita che ci accomuna. Ora viviamo la Quaresima mentre i musulmani stanno vivendo il loro Ramadan. Tutti rivolti verso il Signore. Quindi, questa fede ci chiama anche ad approfondire l’amore fraterno perché ciascuno non sia focalizzato solo sulla propria casa, ma sulla famiglia dell’umanità tutta, dove nessuna appartenenza terrena può dividere o mettere in discussione la nostra appartenenza ultima a Dio.

Il Sud Sudan affronta anche il dramma delle alluvioni e del caldo intenso che provocano flussi di migliaia di sfollati interni…

Il cambiamento climatico è aggravato dal nostro comportamento e sfruttamento delle risorse naturali, per esempio il disboscamento presso le città per fare combustibile, ha reso alcune aree delle piane senza vegetazione e luoghi di vita pressoché invivibili anche per la presenza di rifiuti ovunque. Un’altra questione è la gestione del bacino del Nilo: le dighe, la pulizia del fiume e quindi il flusso dell’acqua, gli argini che praticamente sono inesistenti. Il territorio della nostra diocesi, nello Stato dell’Unità, è coperto da acqua per il 40 per cento e circa 800.000 persone sono sfollate verso i luoghi più elevati, perdendo bestiame e le terre coltivabili. A rendere tutto più complesso c’è anche l’inquinamento prodotto dalle compagnie petrolifere, per cui l’acqua – in prossimità delle loro fabbriche – non è sicura ma tanta gente non ha scelta e attinge acqua anche se contaminata.

A questa situazione si aggiungono migliaia di profughi che scappano dal conflitto in Sudan…

Nel territorio, oltre agli sfollati, ci sono circa 130.000 rifugiati sudanesi che fanno conto sugli aiuti delle Agenzie umanitarie. Quindi guardiamo oggi con preoccupazione alla politica internazionale di questo momento, sempre più scettica verso gli aiuti. C’è bisogno certamente di una riforma su modalità e pratiche ma l’aiuto umanitario ancora rimane l’ultimo appiglio per tante persone che cercano vita e dignità.

Cose serve?

Serve un tempo di stabilità politica ed economica, serve la pace per poter affrontare i veri problemi del Paese: l’analfabetismo; la mancanza di scuole e maestri qualificati; la mancanza di una sanità pubblica che raggiunga tutti; di infrastrutture e strade che uniscano il Paese; e la possibilità di investire nel lavoro e quindi anche di produrre vita per quelle comunità che vivono davvero in una situazione di grande povertà.

Eccellenza da agosto 2024 guida la diocesi di Bentiu, un’area di circa 38 mila chilometri quadrati e oltre un milione di abitanti…

Siamo una diocesi molto giovane, che nasce senza strutture ma con una folta comunità di fedeli che si è raccolta intorno a Dio nella preghiera per promuovere vite in un contesto di paura, insicurezza, e morte. Costruiamo sull’eredità dell’opera di tanti catechisti e fedeli laici che hanno cristianizzato questa popolazione. Ora si tratta di seminare la parola di Dio a piene mani, perché la vita e pratica siano davvero evangeliche. Si tratta di condividere nelle persone la fiducia e la speranza in un cambiamento possibile, dove non si deve più vivere di espedienti per sopravvivere, ma che si possa vivere la fraternità. Abbiamo sette parrocchie dal territorio davvero immenso, nove preti diocesani, e due comunità religiose di comboniani e francescani.

Quali saranno i prossimi passi per concretizzare questa missione?

Valorizzeremo la formazione degli agenti pastorali laici, il ministero di giustizia e pace, e la scuola per i nostri ragazzi. Cercheremo anche di promuovere attività economiche, comunitarie, soprattutto legate all’agricoltura e alla cura dell’ambiente dove viviamo. L’importante è riuscire a mobilizzare le comunità locali, come comunità di fede e speranza: che siano in grado di incidere sulla vita comune della società allargata. Così che ad una economia aggressiva, di oppressione, e di competizione – quindi una economia violenta – si possa vivere un’economia della fratellanza. Guardate come si amano: e con questo amore si modella la società intera.

Quale è il suo augurio in questo anno giubilare, segnato anche dalle difficoltà del Paese, da così tante tensioni e guerre nel mondo?

L’augurio per il Giubileo lo faccio con la parole di Michèa: “Ti è stato insegnato ciò che è bene, ciò che il Signore vuole da te: praticare la giustizia, amare con tenerezza, e camminare umilmente con il tuo Dio”. Ecco, questo è il mio augurio per la Chiesa di Bentiu in questo momento, per il Sud Sudan, e anche per questo cammino comune che il mondo è chiamato a fare, a vivere insieme da fratelli riconoscendoci figli.

Massimiliano Menichetti – Vatican News