Sabato 16 gennaio 2021
Come ogni uomo di fede, San Daniele Comboni si mise alla “scuola del deserto”, perciò nella sua vita è possibile mettere in evidenza le caratteristiche fondamentali d’una spiritualità, che possiamo chiamare “spiritualità del deserto”. È un cammino all’inizio personale e poi proseguito e condiviso con la Nigrizia, una volta che questa entra nel processo di rigenerazione, del quale Comboni è servo-guida. Perciò la Terra Promessa che si profila allo sguardo di Comboni ha come approdo immediato la Nigrizia da rigenerare e quindi la Nigrizia soggetto della propria rigenerazione; approdo finale per entrambi è l’Eternità. [Vedi allegati]
1. Alla scuola del deserto: Per imparare a vivere davanti a Dio per il mondo
Le riflessioni che seguono sono nate a suo tempo per aiutare i Novizi nel loro cammino di iniziazione alla vita del servizio missionario. Questo cammino si sviluppa come una progressiva liberazione da una vita concentrata su se stesso verso una vita decentrata da se stesso e centrata in Dio, e da Dio donata ai fratelli e alle sorelle.
Questa è l’esperienza basica che deve accompagnare e crescere durante tutta la vita del missionario, giacché: «Chi cerca di fare ed agire in favore degli altri, o del mondo, senza approfondire la conoscenza di sé, la propria libertà, integrità e capacità di amare, non avrà niente da dare agli altri. Comunicherà loro nient’altro che il contagio delle proprie ossessioni, aggressività, delusioni riguardanti fini e mezzi e ambizioni, egocentriche». (Cfr. Joyce Ridich, I voti: un tesoro in vasi di argilla, Piemme, p. 32).
L’esperienza del deserto mentre porta il cristiano a liberarsi dai suoi idoli, gli fa capire che egli non esiste e non agisce soltanto per sé, ma anche per gli altri e lo spinge necessariamente al servizio di Dio nel prossimo; così divien sempre più “libero per amare e servire” nella gioia e quindi progetta la sua vita come servizio. Il servizio agli altri è l’esercizio della libertà conquistata alla “scuola del deserto”.
Infatti, «per l’Evangelo tutta la vita cristiana deve essere vista come un servizio. Si può senza esitare tracciare un segno di uguaglianza tra la parola discepolo e servo (discepolo = servo). C’è tra i due termini una totale corrispondenza. Ogni cristiano deve essere al servizio di qualcuno, tutti noi dobbiamo essere servi. Il Popolo di Dio è un popolo di servi incaricato di realizzare una diaconia in beneficio del mondo, secondo l’esempio lasciato da Gesù, che fu il primo Servo» (cfr. Congar, Palavras ino-portunas, p. 23).
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2. Il deserto dei chiamati a una missione particolare
C’è nella Bibbia il “deserto” dei chiamati ad una missione particolare in seno al Popolo dell’Antica Alleanza e del nuovo Popolo di Dio, la Chiesa.
Difatti, l’ambiente spirituale dove si effettua la formazione e la crescita per tutta vita dei messaggeri e collaboratori di Dio per la guida del suo Popolo, è il deserto, che ha caratteristiche proprie, identiche per tutti i chiamati.
Prima di cominciare in pieno l’esercizio della vocazione profetica o apostolica, c’è un periodo di preparazione, un tempo d’attesa in cui Dio, per mezzo della sua azione, prepara lo spirito di coloro che devono essere gli strumenti della sua salvezza.
Un'attenta lettura della Bibbia dimostra che praticamente tutti gli uomini di cui Dio si è servito con maggiore potenza sono passati attraverso il deserto, alcuni nel senso più letterale, altri in senso spirituale: la formazione dei chiamati è realizzata per mezzo di un contatto diretto con Dio nel deserto o per mezzo di un contatto con l’azione di un Maestro.
Il tempo di formazione per il ministero in nome di Dio, è quello durante il chiamati, per mezzo dell’azione e dell’anima di un Maestro, entrano in contatto con la Parola di Dio, che è il vero ambiente dove il loro spirito può arrivare alla maturità e alla pienezza, e conseguentemente, alla capacità di andare all’incontro degli altri. I profeti, dopo la prima chiamata, vivono continuamente in ascolto della Parola di Dio e questa diviene come l’atmosfera luminosa in cui vivono e per mezzo della quale giudicano tutte le cose e tutti gli avvenimenti.
Possiamo vedere nei chiamati ad una missione particolare in seno al Popol di Dio dell’Antica e Nuova Alleanza, di cui ci parla la Lettera agli Ebrei, quel “gran nugolo di testimoni”, che siamo chiamati ad emulare, giacché “tutti costoro pur avendo ricevuto per la loro fede una buona testimonianza, non conseguirono la promessa: Dio aveva qualcosa di meglio per noi, perché essi non ottenessero la perfezione senza di noi. Anche noi, dunque, circondati da un così gran nugolo di testimoni, deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sia davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatone della fede” (cfr. Eb 11, 1-2.39-40; 12, 1-2).
Tra questo nugolo di testimoni fissiamo il nostro sguardo su alcuni di essi dell’Antico e del Nuovo Testamento.
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3. In cammino guidati da san Daniele Comboni – Dal deserto alla missione
Il deserto, nel cammino spirituale dell’umanità e in modo particolare in quello ebraico e cristiano, è una parola evocatrice di un evento biblico, che designa un esodo, una Pasqua, un passaggio dalla dispersione della schiavitù sotto gli idoli alla libertà dell’unificazione nella Terra della Promessa.
Il deserto biblico è simbolo d’un cammino verso Dio che chiama l’uomo ed esce ad incontrarlo. Il credente è un cercatore di Dio, che è la fonte di cui ha sempre sete. A questo sforzo umano, all’ascesa corrisponde quindi la discesa. E, anche se sembra che l’uomo va in cerca d’un Altro Assoluto che non conosce, ma dal qual si sente attratto, subito riconosce che quest’attrazione è causata in lui da un Dio che l’ha creato per comunicarglisi. Questo fatto cambia il senso dello forzo spirituale: non si tratta più di salire e prendere; in quest’ascesa si tratta di ricevere. Così l’avventura spirituale dell’uomo si trasforma in una storia e in un incontro.
Nella Bibbia, il deserto è presentato come il luogo privilegiato e il tempo provvidenziale, il Kairós, simbolo del dono e della sollecitudine divina verso il suo popolo, l’ambiente vitale, dove Israele nacque come popolo di Dio.
Quel lungo pellegrinare per 40 anni (40: il periodo di tempo necessario per l’avvento di una nuova generazione) è il paradigma dell’itinerario spirituale, mediante il quale l’uomo si converte veramente in amico di Dio, in strumento del disegno salvifico divino e realizza la sua vocazione e missione.
Il deserto, sotto l’iniziativa divina, designa l’esperienza d’un itinerario spirituale, mediante il quale il Popolo eletto e, nel suo seno, numerosi individui, prendono coscienza della loro vocazione e nello stesso tempo si convertono in strumenti capaci per la realizzazione del piano salvifico divino, che è universale.
L’esperienza d’Israele nel deserto si estende alla vita della Chiesa. Infatti, con il suo simbolismo, svolge una funzione indispensabile in ordine alla comprensione della sua condizione di comunità pellegrina in questo mondo, immersa fin d’ora nel Mistero di Dio-Trinità, fin d’ora cittadina della Patria Trinitaria, ma ancora in cammino verso il possesso totale e definitivo. Per questo è esposta alla prova finché non sia entrata definitivamente nel “riposo di Dio” (Eb 1,4), quando “Dio sarà tutto in tutti” (1Cor 15,28).
Daniele Comboni, come ogni uomo di fede, percorse questo cammino spirituale, si mise cioè alla “scuola del deserto”, perciò nella sua vita è possibile mettere in evidenza le caratteristiche fondamentali d’una spiritualità, che possiamo chiamare “spiritualità del deserto”. È un cammino all’inizio personale e poi proseguito e condiviso con la Nigrizia, una volta che questa entra nel processo di rigenerazione, del quale Comboni è servo-guida. Perciò la Terra Promessa che si profila allo sguardo di Comboni ha come approdo immediato la Nigrizia da rigenerare e quindi la Nigrizia soggetto della propria rigenerazione; approdo finale per entrambi è l’Eternità.
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4. Guida per il giorno del deserto
L’unico modo per vivificare le cose di Dio e così approfondire l’esperienza di Dio in Cristo (cf. RV 46), consiste nel vivificare il cuore. Quando il cuore si popola di Dio, i fatti della vita si riempiono dell’incanto di Dio.
Il cuore si vivifica nei Tempi Forti di preghiera. Questi nostri “tempi forti” non sono una novità. Con essi ci facciamo contemporanei dei profeti, dei santi e soprattutto di Gesù: quando gli uomini di Dio si ritiravano nella solitudine completa - per lo più nei deserti o sulle montagne -, per dedicarsi interamente alla familiarità con Dio, guarivano dalle ferite ricevute nei combattimenti dello spirito e tornavano alla lotta sani e rinfrancati.
“Tempo forte” significa riservare, per stare con il Signore, alcune parti di tempo nel programma delle attività (cf. RV 47 e 49).
Quando si dedica al Signore un tempo particolarmente prolungato, come un giorno in silenzio, in solitudine e con un certo carattere penitenziale riguardo al cibo, questo giorno si chiama “DESERTO”, parola evocatrice dell’esperienza dei profeti, dei santi e, soprattutto, dello stesso Gesù.
“Fare il deserto significa isolarsi, distaccarsi dalle cose e dagli uomini, principio indiscusso di sanità mentale. Fare il deserto significa abituarsi all’autonomia personale e restare con i propri pensieri, la propria preghiera, il proprio destino. Fare il deserto significa chiudersi in una camera, restare soli in una chiesa deserta... per riprendere il respiro, ritrovare la pace. Fare il deserto significa di tanto in tanto dedicare una giornata completa alla preghiera, significa partire per una giornata solitaria, significa alzarsi nella notte a pregare” (C. Carretto).
Perché il “deserto” non si trasformi in una giornata temibile, è necessario che chi lo vuol praticare, si tracci e porti con sé uno schema o ordine del giorno, che gli serva da guida per occupare produttivamente tutte le ore della giornata. Decida anticipatamente quali strumenti usare: determinati Salmi, testi biblici, esercizi di concentrazione che sia abituato a praticare, un quaderno per annotare impressioni, orazioni vocali (per es. il Rosario), letture meditate, ecc. ...
Naturalmente lo schema stabilito deve essere utilizzato con flessibilità, perché lo Spirito Santo può avere altri piani. Si deve lasciare, per tanto, un margine alla spontaneità della Grazia ed usare con molta libertà il tempo assegnato alle tappe previste.
Essendo una giornata intensa in quanto all’attività cerebrale, è necessario che ci siano vari brevi intervalli di riposo, in cui quello che importa è far niente, soltanto riposare per riprendere l’attività. Non lasciare, per tanto, di essere creativo e prendi la tua iniziativa su questo punto; se ti trovi in campagna, riposa affidandoti alle mani materne della natura che ti accoglie e ti circonda...
Per ritornare dal “deserto” alla vita normale rinforzato ed animato, devi rimanere sempre in compagnia degli Angeli custodi del “deserto”, che sono la Pazienza, la Costanza e la Speranza.
Qui una proposta di come si può svolgere un giorno di “deserto”.
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