Martedì 22 ottobre 2019
Io sono una missione su questa terra, e per questo mi trovo in questo mondo”. Queste parole di Papa Francesco vanno ascoltate pensando alla nostra vita e alla nostra vocazione. Quando sentiamo che la vita ci pulsa dentro, o quando ci sentiamo delusi e scoraggiati, proviamo a ripeterci “Io sono una missione”.
Soffermiamoci sull’uso del verbo essere e non del verbo avere. Le cose che facciamo esprimono qualcosa di noi, ma non son...o sufficienti a darci la pienezza di vita che cerchiamo. Chi ha avuto il dono di incontrare Gesù e di sentirsi raggiunto dal suo amore sente come una forza vitale che ci spinge fuori di noi stessi per annunciare l’incontro avuto e servire nello stile di Gesù. È un movimento interiore ricco di tenerezza e urgenza che chiama alla condivisione, all’incontro con l’altro, all’attenzione sincera per la realtà, a un impegno concreto a favore della vita e nei confronti di chi ha meno vita.
Così “l’essere missione” spinge oltre noi stessi, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori. Per alcuni uomini e donne, giovani o meno giovani, laici, religiosi, consacrati, la comprensione della vita cristiana come espressione di missione, come impegno primario per l’annuncio del Vangelo e per la condivisione di vita con gli ultimi e i più poveri, è diventata una vera scelta di vita, una vocazione particolare.
Ci è capitato di ascoltare con stupore i racconti di missionari che emettono una vitalità incredibile, raccontano spaccati di vita misti a dolore, povertà, umanità, solidarietà, Vangelo. Quelle parole possono metterci nel cuore una grande voglia di raggiungere i luoghi di missione, per condividere e conoscere.
La Chiesa e la società hanno bisogno di persone che conquistate da Gesù e sostenute dalla fede in Lui, rispondano alla chiamata di uscire dalla propria casa, per portare l’Annuncio “fino ai confini della terra”. Saper far propria una cultura diversa, condividere dal di dentro usi e costumi molto diversi dai propri, entrare in dialogo nel rispetto e nella valorizzazione delle varie tradizioni è partecipare alla passione di Cristo che ha dato la sua vita per amore di ogni uomo e donna.
“Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo” (Mt 28,19) è il mandato di Gesù, il mandato a creare una “cultura dell’incontro”. La vocazione diventa l’educarsi al rispetto, al dialogo, alla condivisione, a un’attenzione capace di sporcarsi le mani con le fasce più deboli e povere. Il mondo chiama a un mandato ben chiaro: portare Gesù a tutti. Allora ripetiamoci sempre: “Io sono una missione su questa terra, e per questo mi trovo in questo mondo”.
DUE LETTERE DALLA MISSIONE
Lettera di P. Elio Farronato
Bibwa – Repubblica democratica del Congo
Sorelle e fratelli amati, il tempo passa veloce e ciò mi interpella sempre più. Quest’anno ho mancato all'appuntamento abituale di comunicazione con la missione a causa di un’infezione nel sangue che mi ha colpito alla fine di maggio. Le cure per la malaria avevano aggravato la cosa e i valori ematici erano disastrosi, mi trovavo senza difese organiche per mancanza di globuli bianchi, con pericolo grave di infezioni di ogni genere. Tra l’altro i medici non si rischiavano a esami al midollo spinale per scoprire la causa dell’infezione perché per mancanza di piastrine non avrebbero potuto fermare l'emorragia.
Personalmente devo dire che mi sentivo veramente male e di una debolezza che non avevo mai provato. Così i medici mi hanno mandato in Italia dove sono stato preso sotto cure mediche, che sostenute dall’assistenza amorosa delle sorelle, mi hanno portato a una ripresa immediata e a una pronta, anche se lenta, guarigione. Da parte mia ho cercato di accelerare i tempi dedicandomi a un riposo totale e approfittando anche di montagna e mare. D’altra parte mi sentivo talmente privo di energie che non solo ho dovuto rinunciare alla gioia di potervi incontrare, ma pure non ero nello stato d’animo per scrivere o telefonare in giro. Mi trovavo pressato da due parti: il desiderio di tornare presto e l’impegno per guarire da una malattia che mi aveva tolto ogni energia. Mi sentivo incapace e apatico e tuttavia ora mi sento un po’ in colpa e vi chiedo sinceramente di perdonarmi, anche se così, in due mesi ho potuto riprendermi sufficientemente da poter tornare in missione e aiutare la mia comunità che si trovava nel bisogno. Devo dire che anche il ritorno è stato un po’ movimentato. Sono partito da casa alle sei del mattino per prendere l’aereo a Venezia per Kinshasa via Istanbul. Da Istanbul siamo partiti in orario e avremmo dovuto arrivare a Kinshasa alle 21 (20 ora locale), ma in volo l’aereo ha subito delle scosse terribili che hanno seminato il panico nei passeggeri. Si sentiva pregare in varie lingue e alcuni in piedi con le mani levate invocavano Dio e gridavano «Gesù salvaci». Io stavo pregando per conto mio e pensavo si trattasse di vuoti d’aria e trovavo eccessiva la loro reazione anche se mi aveva preso la nausea per le forti scosse e l’ondeggiamento dell’aereo. Quando siamo atterrati pensavo fosse lo scalo di Libreville, in Gabon, invece si era tornati a Istanbul. Lì le donne congolesi si son fatte sentire e siamo ripartiti con un altro aereo e, finalmente, al mattino siamo arrivati a Kinshasa e alle sette, dopo 23 ore sono arrivato a casa, a Bibwa.
Io, in tutto questo, e con la malattia e la debolezza che si aggrava con l’età ho come la sensazione di sentire la parola di Abbà che mi invita a prepararmi al gran passo. Quando ho visto i medici così preoccupati, e io svuotato di ogni energia, ho detto a Gesù: «avrei voluto terminare il lavoro sul “Padre Nostro” e su Anuarite, se guarirò voglio mettermi interamente al tuo servizio». È quello che cerco di fare ora. Ho lasciato da parte tante cose anche buone, ma per dedicarmi al meglio, ed essere pronto quando Gesù mi chiamerà. Vorrei essere più unito a Gesù in modo che parlando di qualsiasi cosa, sia lui a dirigere i miei pensieri e le mie azioni. Questo è importante perché la mia attività qui è soprattutto di dare parola di conforto alle persone che vengono da me.
È venuta subito Nonna Godelive, abita in una minuscola baracca di lamiere con il nipotino di tre anni. Aveva appena tre mesi quando la sua mamma se n’è andata, piantando il consorte, figlio di Godelive, e scaricandole il bebè che ora l’accompagna sempre. Come al solito ho dovuto consolarla dei dispetti che le fanno i vicini che la ritengono una strega malvagia. Lei purtroppo non sa difendersi, è vecchia e sciancata, e viene da me solo per trovare una persona che l’accolga con affetto e l’aiuti a non cedere al rancore: così le persone che la fanno soffrire sono quelle ricevono in cambio le sue preghiere.
Qualche giorno fa è venuta di nuovo, con un galletto, aveva anche una gallinella, mai i vicini per farle dispetto gliel’hanno uccisa. Così, perché non uccidano il galletto, me l’ha portato, ma come un suo dono senza nulla chiedere. «Beati i Poveri», diceva Gesù, e questa vecchietta è la testimonianza della verità della sua parola.
Robert invece è un giovane laureato, ha imparato anche a fare il falegname e ha seguito dei corso di informatica. Giorni fa, dopo la messa nel suo quartiere che sta diventando parrocchia, mi ha chiesto di benedire la nuova abitazione dove vive solo perché la famiglia è lontana. Per la strada ho notato che raccoglieva ciottoli di manufatti di cemento e, se ne trovava, anche pezzi più grossi. Bisogna ricordare che Kinshasa è tutta sulla sabbia e non c’è terra solida o pietrosa, quindi questi pezzi che raccoglie possono diventare utili per dare una certa stabilità al terreno sabbioso. Mi ha spiegato che, non avendo un buon salario, perché deve adattarsi ai lavori che trova, ha pensato di raccogliere questi pezzetti di cemento e quando ne ha un buon mucchio lo vende a chi ne fa richiesta. Di persone di fede come Nonna Godelive, e di giovani che si industriano come Robert, ce ne sono tanti e sono la speranza per la rinascita del paese dove la sovrabbondante ricchezza del suolo è diventata la sua maledizione perché la cupidigia internazionale preferisce mantenerlo nel disordine politico per poter razziare impunemente le immense ricchezze. Purtroppo tanti giovani, dopo aver tentato senza successo tante strade si danno alla droga distruggendo la loro vita. Come il giovane che ha cercato di entrare nel mio studio in piena notte e aveva visto la luce accesa perché stavo lavorando sul “Padre Nostro”. Abbiamo infatti recintato il cortile ma non abbiamo ancora sistemato i cancelli. Comunque, quando sono uscito, mi ha chiesto soldi per la droga ma io, dal modo di fare non mi sentivo tranquillo e così gli ho chiuso la porta in faccia. Lui però, in crisi di astinenza, ha cercato di entrare forzando le finestre e rompendo i vetri con una grossa pietra. Alla terza volta che cercavo di farlo smettere, con la pietra che teneva in mano, mi ha colpito sulla testa. Mi sono tirato indietro ma non abbastanza e la pietra mi ha colpito duramente, seppur di striscio sulla fronte provocandomi una ferita molto profonda e lunga 4 cm che ha cominciato a sanguinare abbondantemente. Poiché il dispensario medico delle suore è vicino sono andato subito a farmi ricucire e l’infermiere, un po’ al buio, è riuscito a darmi tre punti. Così ora sono guarito anche se la cicatrice è abbastanza vistosa. Ciò mi fa ricordare di più di quel povero giovane. Ho pregato parecchio per lui perché mi ha fatto molta pena e chiedo a Gesù che mi aiuti a comportami con più amore. Anche il vangelo di quest’oggi ci fa sentire che dobbiamo fare la scelta giusta e dobbiamo farla in fretta. Preghiamo allora tutti che Gesù sia la nostra guida e salvezza. Affidiamoci tutti a lui e troveremo la gioia piena. «gioia piena alla tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra» (Sl 15,11).
Mi affido alle vostre preghiere,
vostro fratello Elio.
Bibwa, Kinshasa,
22/9/2019
Lettera di P. Lorenzo Farronato
Kisangani – Repubblica democratica del Congo
Carissimi tutti amici e collaboratori missionari,
Quest’anno sono a Kisangani. I superiori erano preoccupati perché ritenevano troppo gravoso e pericoloso per me, ottantenne, il viaggio per Bondo, che è difficile e pericoloso e raggiungibile solo in moto.
Ora sono a Kisangani, nella casa del nostro postulato comboniano, dove c’era bisogno di un collaboratore. Pensate che abbiamo 40 giovani studenti di filosofia che si preparano al noviziato e poi alla vita comboniana come sacerdoti. Inoltre ne abbiamo altri 10 a Butembo che si preparano come fratelli. Ora stiamo vivendo il mese missionario straordinario con particolare attenzione al tema proposto dal Papa: «Battezzati e inviati» per far conoscere la gioia che porta il messaggio di Gesù.
Il nostro postulato di Kisangani ha il più alto numero di candidati del nostro istituto comboniano. Rettore del postulato è un giovane confratello congolese che è coadiuvato da altri tre confratelli: un congolese, un portoghese e io, italiano. Rettore del filosofato, che è frequentato anche da altri giovani, è un fratello comboniano.
Noi, formatori, sentiamo una grande responsabilità. Mentre altrove c’è scarsità di vocazioni noi dobbiamo limitare il numero per l’incapacità di accoglierne di più. Questo limite impone, fin dall’inizio, una selezione seria. Stiamo veramente vivendo un momento di grazia molto impegnativo per il nostro istituto e per la Chiesa. Con S. Agostino ci viene un sentimento di timore di non essere all’altezza per un compito così grande e, insieme, ci rallegriamo perché sentiamo che si sta avverando il sogno di Comboni: sarà l’Africa a salvare l’Africa.
Sappiamo già che non tutti questi giovani arriveranno ad essere comboniani, tuttavia siamo sicuri che tutti avranno una formazione tale che sarà una ricchezza inestimabile per il paese. Sono giovani che stanno crescendo con grandi aspirazioni spirituali e morali sostenute dalla formazione filosofica e culturale. Giovani che hanno un grande privilegio rispetto ad altri atenei qui a Kisangani. Già constatiamo come parecchi nostri ex allievi hanno impegni importanti con influenza molto positiva nella nostra Kisangani e quelli diventati Comboniani stanno lavorando in vari campi e in varie parti del mondo. Ringrazio perciò il Signore che mi ha chiamato a questo nuovo servizio missionario anche se il partire da Bondo è stato un po’ morire. Il giorno 10, festa di S. Daniele Comboni nostro fondatore. abbiamo avuto la cerimonia di introduzione ufficiale di 12 nuovi arrivati. La durata del filosofato/postulato è di tre anni dopo i quali possono entrare nel noviziato. Chiedo una preghiera perché questi nostri giovani diventino, secondo il desiderio di S. Daniele Comboni, Santi e Capaci. Preghiamo il Signore che faccia di loro dei santi missionari innamorati di Gesù e competenti nelle varie mansioni a cui saranno chiamati.
Cari amici, che con la vostra vicinanza e collaborazione ci sostenete nel compimento del nostro servizio, vi dico un vivo grazie e assicuro la nostra preghiera.
In unione di preghiere, P. Lorenzo
Kisangani, 13 ottobre 2019