Mercoledì 17 aprile 2019
“Pasqua, Natale, gli anniversari, sono momenti in cui senza volerlo ci troviamo a fare memoria. Memoria di eventi, persone, esperienze passate che hanno segnato la nostra vita e sono rimasti in noi e che risorgono come la primavera dopo ogni inverno, come l'alba dopo ogni notte oscura, illuminando, non solo il presente, ma dando senso a quanto vissuto nel passato e quanto aspettiamo con fiducia nel futuro.” (P. Gian Paolo Pezzi)
Carissim@,
Pasqua, Natale, gli anniversari, sono momenti in cui senza volerlo ci troviamo a fare memoria. Memoria di eventi, persone, esperienze passate che hanno segnato la nostra vita e sono rimasti in noi e che risorgono come la primavera dopo ogni inverno, come l'alba dopo ogni notte oscura, illuminando, non solo il presente, ma dando senso a quanto vissuto nel passato e quanto aspettiamo con fiducia nel futuro.
Nel 2018 ho celebrato i 50 anni di ordinazione sacerdotale e il 6 di ottobre prossimo ricorderò i 50 anni della mia prima partenza per la missione, ma quell’evento affondava le sue radici in un lontano passato rivissuto quest'anno, quando il 737 della Sudan Airlines decollò dalla pista di Wau, nel Sud Sudan per riportarmi a Juba, la capitale.
Guardavo in basso l'orizzonte che si allargava, i alberi di mango, le acacie, i rari arbusti che spuntavano dalla sabbia grigia e rossastra; le piccole capanne di fango e paglia che prendevano il posto delle casette dai tetti di zinco non appena l’aereo abbandonava lo spazio aereo della città. Una terra senza confini definiti scorreva dietro di noi, e una nuvola di ricordi mi venne incontro.
Wau! Avevo sentito quel nome nel lontano 1957, quando Don Gino mi orientò verso i comboniani. Un padre, di recente rientrato in Italia dal Sudan, doveva insegnarci la geografia europea. In realtà, passava il tempo parlando della sua missione, delle tribu Shiluk, Dinka, Nuer, Bari, Acholi e delle città di Juba, Rumbek, Malakal, Kondokoro, e Wau. Questi nomi ci divennero più familiari delle capitali europee e dei fiumi spagnoli e francesi. Condotti dalla sua fantasia seguivamo leoni ed elefanti, antilopi e gazzelle nella savana africana. Poi, un avvenimento inaspettato mandò in frantumi i nostri sogni di giovani fantasiosi. Nel 1959 gran parte dei missionari furono espulsi dal Sudan dal governo islamico di Khartoum, la capitale. Quanto poi avvenne è storia, una storia fatta di sofferenze e lacrime, di rinascite e speranze: alcuni dei quei missionari incontrarono la morte nel Congo, la loro nuova missione, durante la rivolta Simba; i gruppi etnici sud-sudanesi - cristiani e animisti-, si rivoltarono contro Khartoum, sempre più dominata dall'estremismo islamico e arabe; una lunga guerra mise a ferro e fuoco il sud del paese distruggendo fauna e foreste. Quando i gruppi ribelli del sud trovarono l’unità, rinacque la speranza che, il 9 luglio 2011, vide l'indipendenza di un nuovo paese con il nome di Sud Sudan.
La gioia di un futuro di pace diede luogo presto, troppo presto, a conflitti e lotte per il potere e le ricchezze, tra cui il petrolio. Le rivalse tribali provocarono guerra aperta, guerriglia, ribellioni, riunioni per accordi di pace, sospensione dei combattimenti, dialoghi nazionali e internazionali. La produzione del petrolio, localizzata nel sud, si arenò svuotando l'erario statale: le forze al potere si sono date ad una corruzione spietata e i militari ai soprusi più sfrenati, con risvolti anche internazionali. Dal Sud Sudan, l’oleodotto va al nord, per commercializzare il petrolio attraverso il Mar Rosso arricchendo l’erario del Sudan, la parte nord del paese che ha conservato l'antico nome. Per sopravvivere e foraggiare la fedeltà dell'esercito, al governo corrotto di El Bashir - presidente del Sudan arabe, al potere da 35 anni, con una condanna della Corte Internazionale di Giustizia per crimini contro l'umanità -, non rimaneva che aumentare le tasse, tagliare i programmi sociali, tripplicare perfino il prezzo del pane, affamando il popolo. E questo ha portato alla sua destituzione, notizia di questi giorni. Quali saranno le conseguenze per il Sudan di nuovo in mani ai militari, e per il Sud Sudan se chi ha firmato gli accordi di pace e commerciali non è più al potere?
Passare dai ricordi alle aspettative per vivere il presente, sì, però come? Mi ritrovo a pensare a Gesù, l’uomo. Era salito a Gerusalemme per bere lì, con i suoi discepoli, il vino del nuovo Regno e invece vede arrivare quanto aveva calcolato come un rischio: lo vogliono morto. Gesù non si abbatte per il suo fallimento, non rimprovera i suoi discepoli. Sa chi lo tradirà e come pecora portata al macello, non resiste: quello che hai intenzione di fare, fallo in fretta, dice a Giuda, e Giuda esce, nella notte, verso le tenebre del mondo. Gesù non perde la sua fede: dice ai suoi discepoli, non berrò più il frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò, vino nuovo nel regno di Dio. Arriverà il momento, quando nel Regno di Dio sarà stabilito. Per questo, Gesù prende il pane e dice: Questo è il mio corpo. Non è il pane non lievitato della schiavitù in Egitto, né il pane che i padri mangiarono nel deserto, separati dagli altri popoli. E’ il pane che viene dal cielo; il pane comune, quotidiano che chiedete al Padre mio e che egli vi dona. Questo pane diventa ora il mio corpo donato per voi e che mangerete per la pace e la salvezza del mondo intero. Poi prende il calice e dice: Questo è il mio sangue, non il sangue della vecchia alleanza che né i vostri padri, né voi non avete rispettato. E’ il sangue di un'alleanza eterna che vivrete nel mio nome. Caifa, che era sommo sacerdote quell'anno, lo profetizzò: Gesù moriva per la nazione, non solo, ma anche per riunire nell’unità i figli di Dio dispersi nel mondo.
Luca aggiunge una breve parola: fate questo in mia memoria. Cosa fare nella memoria di Gesù? Il rito che lui ha appena fatto? L'evangelista Giovanni nel suo racconto dell'ultima cena non menziona l'istituzione dell'Eucaristia. Dice invece: Gesù si rese conto che la sua ora era arrivata. Aveva amato i suoi che erano nel mondo e li amò fino alla fine. Si alzò da tavola e lavò i piedi dei discepoli. Quando ebbe finito disse loro, vi ho dato un esempio, come ho fatto io fate anche voi. Fate questo in memoria di me, vuol dire fate pure voi quello che ho fatto io.
L'Eucaristia che iniziamo in Chiesa si conclude quando laviamo i piedi ai nostri fratelli e sorelle, fuori nel mondo. Il rito eucaristico termina con l’invito a portare la pace e l'amore del Signore risorto al mondo intero. Ogni Eucaristia conclude quando il povero, il sofferente, il morente riceve il corpo di Cristo, ne condivide la sua forza, pace, amore e gloria: e così facendo porta sulla terra il Regno di Dio.
A Wau sono stato con Matteo, un amico che a cinquant'anni ha lasciato il posto di professore al Politecnico di Milano per trascorrere la sua vita nel Sud Sudan. Nel cimitero di Wau ho visto le tombe di una dozzina di Comboniani, alcuni morti all’età di 29, 32, 36 anni. Tra loro fratello Giosuè dei Cass che passò la vita tra i lebbrosi ed lebbroso morì. Ho celebrato l’eucaristia nei campi degli sfollati, ho visto i disastri della guerra, percepito che la pace in Sud Sudan è sognata come una speranza, forse sempre più lontana ora che in Sudan, nel vicino nord, c’è la rivoluzione.
Quanti segni! Mi parlano di una tomba nel Getsemani, ma mi ricordano pure di una voce che risuona anche oggi in quella tomba ormai vuota: Chi cercate non è qui. Andate in Galilea, lì lo vedrete. Galilea terra di confine, dove s’incrociano le vicende umane, terra di pagani e indifferenti, terra senza il Dio di Israele: è lì, dove s’incrociano le vicende umane, i ricordi del passato, le speranze del futuro che si vive con la fede nel presente.
Buona Pasqua di risurrezione a tutti allora!
Gian Paolo Pezzi