Sabato 4 gennaio 2013
Come cristiani e comunità siamo “chiamati” a testimoniare e a far sperimentare nella vita pratica l’innovazione della Dottrina Sociale della Chiesa: “Il mondo sta vivendo avvolto in bolla gassosa alimentata dalla cattiva finanza, dalla cattiva politica, dalla cattiva etica, dalla cattiva cultura, pronto ad esplodere alla prima occasione endogena e/o esogena”, scrive Carmine Tabarro, professore all’Università Gregoriana di Roma.

Gli stilemi sopra riportati, declinati dal lato della prassi, fotografano la nostra crisi sistemica: trionfo del pensiero debole; carenza della cultura della fraternità; mancanza di una cultura umanistica nei diversi processi di globalizzazione asimmetrica; un modello di sviluppo nichilista; una crescita economica che non pone al centro la persona in tutte le sue dimensioni a partire dalla lotta alle diseguaglianze; necessità di ricostruire l'etica del bene comune in campo culturale, economico, politico, sociale; combattere la cultura che genera “vite di scarto”.

Dinanzi a queste emergenze, la Chiesa sente con sempre maggiore urgenza il compito di una nuova evangelizzazione del sociale. In tal senso la Caritas in veritate (CIV) del papa emerito Benedetto XVI, viene considerata la ‘magna carta’ della nuova evangelizzazione del sociale di cui la Dottrina Sociale della Chiesa (DSC) è l'elemento essenziale (cfr. CIV n. 9). La CIV afferma che la DSC è "annuncio e testimonianza di fede" (CIV n. 15).

La CIV, al n. 31, chiede ai cristiani che la fede non sia professata solo con le parole, ma che sia riempita dall'esperienza di vita attraverso il servizio al discernimento della Parola di Dio, alle persone e alla società.

Scendendo a livello pratico in merito alla crisi che stiamo attraversando e all'importanza della nuova evangelizzazione del sociale, nella CIV il Papa emerito non ha una lettura manichea del processo di globalizzazione: premette che la globalizzazione non può svilupparsi senza regole o lasciata all'impulso compulsivo del mito di Prometeo che ruba il fuoco agli dei per donarlo agli uomini senza "volto e senza umanità". Tutto questo deforma la verità come avviene con il pensiero debole che postula che la parola vuota sia capace di creare la realtà, così come la cattiva finanza sostiene che sia il denaro facile a creare la felicità.

Per Benedetto XVI la globalizzazione, per rispondere ai criteri di giustizia, deve essere fondata sul bene comune dell’umanità, la cui antropologia è generata dalla cultura personalista, comunitaria, aperta alla trascendenza (cfr CIV n. 42).

Se analizziamo la potenza della cultura del mainstream, dobbiamo riconoscere che ci troviamo dinanzi a una missione grandiosa che richiede discernimento attento e una revisione antropologica, filosofica e dell'azione sociale. Purtroppo l'affermazione del pensiero debole ha ridotto gli strumenti di lettura (gnoseologici ed etici), progettuali ed istituzionali, a tal punto che sembra non far intravedere nessuna via d'uscita da questa crisi sistemica (nichilismo).

Il Papa emerito propone una serie di indicazioni che aprono le porte alla speranza: abbiamo bisogno di un nuova cultura umanistica, frutto dell'armonia di diversi saperi (cfr. CIV n. 30) che sappia realizzare una nuova epistemologia in dia-logos (in una ricerca e in un'analisi fondata e motivata) anche dal lato delle buone pratiche. Difatti un certo modo di presentare  il cristianesimo corre il rischio di trasformarsi in "pettegolezzo spirituale" o in "forme di buonismo sentimentale" (cfr CIV n. 4), perdendo la carica di resurrezione che nasce attraverso l'incontro con il Cristo, Amore pieno di tenerezza e di misericordia, il solo capace di superare gli egoismi e le dicotomie della società postmoderna, in particolare le dicotomie tra etica del bene comune e antropologia, politica, economia, tecnica, ambiente. Solo seguendo Cristo si compie pienamente il processo di umanizzazione in ogni donna e uomo.

Non è questo che ci ha appena ricordato il Natale? Solo attraverso Cristo potremo costruire una società più giusta, fraterna, pacificata e civile.

A questo punto è fondamentale delineare alcune indicazioni pastorali e pedagogiche della nuova evangelizzazione del sociale, sia come singoli che come comunità.

Il telos della formazione e della vita spirituale, deve avere come riferimento la nuova evangelizzazione del sociale. Solo in questo modo si attiverà quel circolo virtuoso di conversione della cultura, delle relazioni, delle istituzioni, della politica, dell'educazione, ecc.

Come già scriveva Paolo VI: "L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri o, se ascolta i maestri, è perché sono dei testimoni" (Evangelii nuntiandi n. 41), che sappiano accompagnare nella formazione e nella vita spirituale dei singoli cristiani e delle comunità cristiane, includendo associazioni, movimenti, aggregazioni, istituzioni ecclesiastiche, ecc.

La nuova evangelizzazione del sociale porterà frutti (come testimonia la storia dei carismi delle diverse famiglie religiose), solo se ci sarà una vera conversione dei singoli cristiani e delle comunità cristiane. In altre parole, per la nuova evangelizzazione del sociale, non è sufficiente una generica predicazione.

Occorre che i cristiani e le comunità siano autentici testimoni, quindi convertiti dalla parola vivente e vissuta del Cristo Trasfigurante, affinché si possano "spalancare le porte di Cristo a tutti" (Giovanni Paolo II, Discorso a Tor Vergata, 15 Agosto 2000), in una società sempre più segnata dal secolarismo e da un pensiero debole aggressivo.

Siamo "chiamati" a costruire la vita, inclusa la dimensione sociale, su Cristo, sia come persone che come comunità.

Come cristiani e comunità siamo "chiamati" a testimoniare e a far sperimentare nella vita pratica, l'innovazione della DSC, facendo vivere e gustare la vita cristiana.

In altre parole siamo "chiamati" a far prendere corpo a una nuova pedagogia volta a una conversione alla vita bella e buona del Vangelo; per far prendere corpo a questa nuova evangelizzazione, è necessario aiutare a vivere e a testimoniare la DSC come "caritas in veritate in re sociali" (cfr. CIV n. 5).

Come cristiani e come comunità cristiana dobbiamo fare un lungo cammino per vivere l'evangelizzazione del sociale.

Rifiutando questa missione, come singoli e come comunità, mettiamo a rischio la nostra conversione.

"Il Concilio esorta i cristiani, cittadini dell'una e dell'altra città, di sforzarsi di compiere fedelmente i propri doveri terreni, facendosi guidare dallo spirito del Vangelo. 

Sbagliano coloro che, sapendo che qui noi non abbiamo una cittadinanza stabile ma che cerchiamo quella futura, pensano che per questo possono trascurare i propri doveri terreni, e non riflettono che invece proprio la fede li obbliga ancora di più a compierli, secondo la vocazione di ciascuno" (Gaudium et spes, n. 43).

Solo attraverso la nuova evangelizzazione del sociale e l'innovazione della DSC, il mondo potrà essere liberato dal secolarismo, dal relativismo etico, dall'egolatria, dall'ideologia mercantista e tecnocratica, e si potrà rispettare in maniera evangelica il creato, tutelare la vita in ogni sua fase, eliminare la cultura dello scarto e le ineguaglianze e le ingiustizie sociali.
Prof. Carmine Tabarro